Nel novembre scorso, Libertà pubblicò un mio intervento sul tema del
debito pubblico italiano nel quale sostenevo, come avevo già fatto in
precedenza, la necessità impellente di affrontare finalmente il problema
dell’elevatissimo debito pubblico italiano che. con il suo costo, tarpa le
ali alla crescita economica e con la sua entità, la terza al mondo, espone
fortemente il paese al rischio di attacchi speculativi, come stava
succedendo per altri paesi della zona Euro.
Leggo ora sul nostro quotidiano, in data 4 febbraio, un articolo a firma
Riccardo Narduzzi, nel quale si sostiene che il debito non è più
un’emergenza, dato che anche altri paesi dell’Unione, a causa della crisi
finanziaria, sono stati costretti ad aumentarlo e che, a questo punto, sia
possibile una riduzione graduale, diluita nel tempo, sfruttando l’eventuale
crescita economica prevista o sperata per i prossimi anni.
Rispetto ovviamente la sua analisi, ma vorrei ricordare al signor Narduzzi
che l’aumento del debito dei principali nostri partner della zona Euro ha
lasciato lo stesso a livelli notevolmente inferiori al nostro che ora si sta
avvicinando al 120% del Prodotto Interno Lordo, con un aumento di più del
10% in due anni. Esempi: Germania 75%, Francia 83,5%, Regno Unito 68,1%,
Olanda 61%, Portogallo 83%, Grecia 144%, Spagna 53%. Come si vede, dei tre
paesi recentemente colpiti dagli attacchi della speculazione, solo la Grecia
ha un rapporto superiore al nostro mentre il deficit annuale, come in altri
paesi, è superiore al nostro. Inoltre, la nostra crescita è notevolmente
inferiore a quella di molti dei paesi elencati e non si vede, almeno per
ora, quali margini esistano per una riduzione del debito e le previsioni per
il 2011 e per il 2012 non indicano sostanziali cambiamenti di rotta.
Infine, non va trascurato il forte rischio di un aumento dei tassi
d’interesse, ora molto bassi, visto che l’inflazione si sta rimettendo in
moto, il che renderebbe ancora più oneroso il servizio del debito.
E’ vero che la crisi economica ha costretto gli organi comunitari a una
maggiore flessibilità in tema di rientro nei parametri di Maastricht, ma si
tratta di un atteggiamento temporaneo e vi sono già alcuni segni che i
partner più forti ritornino ad esigere maggior rigore nella tenuta dei conti
nell’interesse di tutti. E’ imperativo che lo facciano se non vogliono
mettere in pericolo l’Euro.
Qui veniamo all’aspetto pratico. Il debito pubblico va ridotto? Mi pare che
su questo punto tutti concordino, almeno in teoria. Come e in che tempi? Qui
casca l’asino. C’è chi è indifferente ed è la maggioranza. Ciò significa,
oltre ai rischi gravi sopra descritti, trasferirne il peso gravoso sulle
spalle della prossima generazione, sui nostri figli e sui nostri nipoti,
nella speranza che nel frattempo non succeda il patatrac. C’è chi spera,
come il signor Narduzzi e come ha recentemente dichiarato il nostro
Presidente del Consiglio, in
una
crescita tanto forte da consentire margini sufficienti alla riduzione
dell’indebitamento, senza manovre fiscali. Anche il parlamentare piacentino,
in una nota su “Libertà” del 6 febbraio Tommaso Foti sposa la risibile
affermazione della “scossa” all’economia per ridurre il debito, per la quale
mi pare che manchi e mancherà anche nei prossimi anni la necessaria corrente
ad alto voltaggio.
Facciamo due conti: il debito italiano ammonta più o meno a 1,8 migliaia di
miliardi di Euro. Per portarlo, poniamo, a 1,3 migliaia di miliardi, cioè a
circa l’80% del PIL, in dieci anni, occorrerebbe trovare 50 miliardi
all’anno, quasi due finanziarie supplementari, scremando la crescita
(sperata) e quindi agendo sulla leva fiscale, sui redditi. Ricordo ancora
che il parametro previsto dal Trattato di Maastricht è invece del 60%.
Esistono alternative? La riduzione della spesa pubblica per la cifra
indicata? Come si fa a ottenerla senza agire sulla sanità, sulle pensioni,
sulla scuola, sulle forze armate, sulla sicurezza e sul necessario
ammodernamento delle infrastrutture?. Il recupero drastico dell’evasione? Si
è visto come sia faticoso, come è provato dal fatto che, a fronte di un
certo recupero, l’evasione in generale è sostanzialmente aumentata. La
ristrutturazione del debito sul tipo di quella argentina? Chi investirebbe
più nei titoli italiani? E poi ciò addosserebbe il peso della riduzione solo
sui risparmiatori in possesso di titoli di stato.
Un’imposta patrimoniale graduata in diversi anni? La soluzione permetterebbe
di non toccare il reddito. Ciò significherebbe trasferire una piccola parte
della ricchezza dal privato al pubblico, cioè l’opposto di quanto è avvenuto
fin qui e, in principio, la soluzione sembrerebbe equa o, almeno,
necessaria. La difficoltà consiste, appunto, nell’equità: Gli evasori non
pagherebbero nulla o comunque non il dovuto. I proprietari d’immobili
sarebbero i più tartassati, i risparmiatori in titoli sarebbero colpiti
senza distinzione, probabilmente, fra grandi e piccoli. Con ciò intendo dire
che anche un’imposta patrimoniale, senza adeguati strumenti che ora non
esistono, finirebbe per risultare non equa, anche se, in fin dei conti, io
non riesco a vedere una soluzione diversa, come hanno affermato diversi
economisti..
Concordo peraltro con l’affermazione del signor Narduzzi per quanto riguarda
l’impopolarità dell’argomento, anche solo a parlarne. Per questo non ha
padrini e i politici si guardano bene dal parlarne, anzi, la escludono con
forza. Può solo parlarne chi non ha ambizioni legate alla politica,
specialmente in vista di una campagna elettorale.
Giacomo Morandi - febbraio 2011
E' tornata di moda la patrimoniale, che peraltro esiste già e si chiama ICI (in precedenza ILOR).
A fine anni '90 il "Dottor Sottile" (al secolo Giuliano Amato) aveva operato il deprecabile "scippo" dai conti correnti per farci entrare in Europa: ora ricominciamo daccapo in quanto gli economisti delle solite correnti politiche - prontamente smentiti dai vertici - cercano di convincerci che è l'unico mezzo per farci restare in Europa......
Non se può proprio più! Fra scandali, presumibile (anzi certo) aumento delle tasse che scaturirà dal "federalismo municipale", probabile caduta del Governo in tempi brevi ed altro che ora non mi viene in mente i cittadini italiani sono sconcertati e non riescono più a capire chi ha torto e chi ha ragione.
Proverò a mettere per iscritto alcune osservazioni:
I rimedi?
Premesso che non devono essere assolutamente toccate le prerogative del
Welfare, esistono spazi notevoli per arrivare ad un calo del debito
pubblico:
Il tutto senza tener conto del federalismo fiscale che, quando a regime,
dovrebbe essere l'arma vincente (almeno secondo quanto affermato da Bossi &
C.)
Per quanto ovvio questi introiti dovrebbero essere assegnati esclusivamente
alla decurtazione del debito pubblico e non utilizzati quando fa comodo per
tacitare i dicasteri recalcitranti.
Un'ultima osservazione: che a livello di deficit (dato più significativo del
debito) l'Italia stia decisamente meglio degli altri stati UE (ad eccezione
della Germania) è evidente dall'analisi della tabella allegata
(visualizzala).
Piazza Scala è stata creata per confrontarci: conto di conoscere un gran
numero di opinioni (anche contrastanti, per quanto ovvio: in questo ha sede
il sale della democrazia).
Alfredo Izeta - febbraio 2011
Commenti: archeologici e culturali? 4) vedi Benetton come munge le autostrade 5) si possono vendere gli immobili in disuso ma per il resto andiamo in affitto? Se non è zuppa è pan bagnato 6) d'accordo per le province ma occorre dimezzare il numero dei comuni e quello dei parlamentari,consiglieri eccetera Misure largamente insufficienti a ridurre di almeno 500-700 miliardi il debito e servono non per la famosa "scossa" ma almeno per una scossettina. |
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