Un pezzo di storia (triste) d'Italia

 

Giacomo Morandi ci ha inviato un articolo sull'ultimo libro di Giampaolo Pansa, i "Vinti non dimenticano".
Come in passato la posizione di Giacomo, che ha vissuto in prima persona gli orrori della guerra civile, si pone in senso critico nei confronti dell'autore, che ingiustamente tende ad equiparare i delitti di entrambe le parti allora in contrapposizione.
Da parte nostra ci limitiamo a trascrivere un pensiero recente del Presidente Napolitano (più o meno condiviso da Bersani e Bertinotti), il quale in una recente intervista al "Corriere" diceva, a proposito dell'Istria e delle Foibe:
"““La disumana ferocia delle Foibe fu una delle barbarie del secolo scorso. Non bisogna mai smarrire consapevolezza di ciò nel valorizzare i tratti più nobili della nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo costruendo da oltre 50 anni….. Non dobbiamo tacere, dobbiamo assumerci la responsabilità dell’aver negato o teso a ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali…… Una tragedia che ha rischiato di essere cancellata e che invece deve essere trasmessa ai giovani nello spirito della legge del 2004 che ha istituito il Giorno del Ricordo. Nell’autunno del ’43 si intrecciarono giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno dello sradicamento della presenza italiana da quella che era e cessò di essere la Venezia Giulia....."““

Per completezza e per meglio permettere ai nostri lettori di trarre le proprie conclusioni riportiamo uno scritto dello stesso Pansa a margine della presentazione del libro.
Piazza Scala - ottobre 2010

 

 

IL FILONE DEI "VINTI" CONTINUA

Ci risiamo. Gianpaolo Pansa sforna l’ennesimo libro sul tema dei “vinti”. Gli americani del nord la chiamerebbero una “soap opera”, quelli del sud “telenovela” per descrivere un film, una fiction, un reality, un libro a puntate dopo il successo economico di un prodotto, del quale non si vuole e non si può rinunciare allo sfruttamento. Si trovano nuovi personaggi, nuovi intrecci, si calca la mano nei commenti, si azzardano conclusioni sempre più audaci per stupire i lettori o gli spettatori acritici. Lo scopo degli autori, dei produttori, degli editori è evidentemente economico. Pansa racconta al suo milione di lettori ciò che questi vogliono sentirsi raccontare.
Ho letto i libri precedenti di questo filone e, naturalmente, anche alcuni del Pansa precedente, quello di “Repubblica” e “L’Espresso”, disinvoltamente d’idee opposte, usciti prima dell’inizio del nuovo secolo, prima della provvidenziale (per lui) visione sui “vinti”.
Quando uscì “Il sangue dei vinti”, primo della serie, lo commentai sulle colonne di questo giornale e so che Pansa saltò un po’ sulla sedia del suo studio, come lo fece per le numerose e ben più autorevoli critiche degli storici “veri” che gli contestarono soprattutto due gravi lacune, molto gravi per chi, come lui, pur non professandosi ufficialmente come “storico”, fa credere di aver effettuato ricerche rigorose su diverse fonti, di aver sentito tutte le campane e non soltanto i parenti dei suoi personaggi e di non aver consultato solo o quasi i libelli delle associazioni dei reduci, riportandone spesso acriticamente non tanto i fatti, bensì le tesi aberranti. Le lacune contestate, sotto l’aspetto scientifico, erano: l’assoluta mancanza di contestualizzazione dei fatti, veri o meno veri, raccontati e l’assenza di bibliografia e di note per risalire alle fonti, il minimo che deve fare uno storico “vero”.
La prima di queste gravi mancanze è, per il lettore comune di storia come il sottoscritto, la più grave e, da sola, condanna il metodo adottato da Pansa per raggiungere il lettore poco informato e acritico.
Quando racconta dei fatti accaduti in Istria all’atto della liberazione (ma ne erano già avvenuti subito dopo l’8 settembre 1943) sorvola quasi del tutto sugli antefatti, sulle cause delle uccisioni e degli infoibamenti anche di persone innocenti insieme a fascisti veri autori di angherie, soprusi, assassinii, deportazioni di slavi durante il ventennio e soprattutto nel periodo dell’occupazione nazista, 1943-45, anche da parte delle Forze Armate. Non parla degli incendi di villaggi, deportazioni in campi di concentramento e sterminio d’intere popolazioni durante l’occupazione italiana di Slovenia e Croazia. Vi furono poi deprecabili vendette da parte degli slavi e migliaia d’italiani già residenti in quelle regioni dovettero lasciare le loro città e le loro case.
Lo stesso dicasi delle vendette avvenute qua e là in Italia all’atto della Liberazione. Troppe ne avevano fatte i nazisti e i fascisti di Salò e loro stessi sapevano che la resa dei conti sarebbe un giorno arrivata. E’ vero che la vita umana dovrebbe essere sacra, ma è un’ingenuità credere (e una falsità far credere) che una guerra come quella “totale”, scatenata per ingordigia di territori e posti al sole dai nazisti e dai fascisti non provocasse bagni di sangue, sia sui campi di battaglia, sia nei bombardamenti aerei (iniziati dai tedeschi sulle città inglesi, ai quali Mussolini chiese l’onore di partecipare, ricordiamolo), sia nelle rese dei conti finali, avvenute ovunque, in Europa anche in modo più grave.
Ci sarebbero da commentare alcune affermazioni faziose di Pansa nell’intervista di Mauro Molinaroli su “Libertà” del 1° ottobre u.s. e nell’articolo dello scrittore nella stessa pagina. Dice, ad esempio, “…il passaggio dei Savoia e del Maresciallo Badoglio nel campo degli alleati” come se non si fosse trattato del governo italiano legittimo e come se, invece, gli italiani volessero tutti continuare quella guerra criminale a fianco dei nazisti. Dice che “la guerra per bande è sempre stata secondaria rispetto alla tattica del terrorismo diffuso”. Il terrorismo nei confronti della popolazione civile l’avevano fatto gli altri, non certo le brigate partigiane. Dice che l’obiettivo dei partigiani “comunisti” (le formazioni garibaldine, per intenderci) era quello di “fare dell’Italia un paese satellite dell’Unione Sovietica”. Secondo lui quei giovani combattevano una dittatura sapendo di volerne instaurare un’altra. Parla di torture nel piacentino da parte dei partigiani sui prigionieri repubblichini. Se qualche episodio c’è stato (ma allora nemmeno la propaganda fascista ne parlò) fu per iniziativa di qualche piccolo gruppo o di singoli. E’certo che i comandi non ne diedero mai l’ordine, a differenza di quelli nazisti e fascisti che la tortura nei confronti dei prigionieri partigiani e antifascisti l’avevano generalizzata e istituzionalizzata ed era pratica comune, non solo da parte delle numerose formazioni semiautonome che davano la caccia ai resistenti. Molti militi fascisti, catturati, furono poi fucilati per rappresaglia alle uccisioni e alle stragi, ma fu l’eccezione, non la regola, e dall’altra parte non si fece molto peggio? Quanti ritornarono dalle carceri e dalle deportazioni in Germania? Molti prigionieri fascisti, specie all’inizio, furono liberati per necessità logistiche o scambiati, e i partigiani se li ritrovarono di fronte nei successivi rastrellamenti.
Ripeto, sono le tesi e le conclusioni faziose di Pansa, in questi suoi libri, che sono inaccettabili e fuorvianti e servono esclusivamente a rivalutare, con la scusa che “i morti sono tutti uguali”, non i morti stessi, ma le ideologie criminali che li hanno sacrificati. Non è forse pericoloso per la nostra poco solida democrazia la diffusione di simili tesi? Non si tratta forse del tentativo di minare le basi della nostra Costituzione nata dal ripudio del nazifascismo e dal glorioso movimento resistenziale?
Due parole su una lettera di un lettore di “Libertà” che critica l’intervento del signor Romano Repetti sullo stesso argomento. Se Pansa non nega i delitti e le stragi neofasciste (non potrebbe farlo ovviamente), tenta di equipararle alle uccisioni di fascisti da parte dei partigiani, definititi “terroristi”. Lo stesso lettore, sposando acriticamente le tesi di parte, indica in ventimila i morti fascisti del dopo-Liberazione, quando le cifre ufficiali (fonti Ministero dell’Interno, fonti giudiziarie, anagrafiche, relazioni dei carabinieri e delle Prefetture, registri degli obitori ed altre), concordano sostanzialmente su meno della metà, per l’intero periodo 25 aprile 1945-fine 1946, compresi omicidi non ascrivibili chiaramente a motivazionj politiche (vendette personali, regolamento di conti privati eccetera). Si veda, fra gli altri, lo studio accurato di Mirco Dondi “La lunga Liberazione – Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano”.
Giacomo Morandi - ottobre 2010

 

 

 

 

I Vinti non dimenticano 

“Quando pubblicai Il sangue dei vinti nell’ottobre 2003, venni linciato dalle sinistre. Mi accusarono di tutte le perversioni, la prima di aver scritto il falso per ingraziarmi Silvio Berlusconi. Tre anni dopo, nel 2006, per l’uscita di un altro mio lavoro revisionista, La grande bugia, fui aggredito a Reggio Emilia da una squadra di postcomunisti violenti. Perché i nipoti dei  trinariciuti dipinti da Giovanni Guareschi mi inseguivano? I motivi erano soprattutto due. Avevo dato voce ai fascisti, obbligati dai vincitori a un lungo silenzio. E avevo posto il problema del Pci e del suo obiettivo nella guerra civile: fare dell’Italia un paese satellite dell ’Unione sovietica. Oggi l ’Urss non esiste più, anche il Pci è scomparso. Eppure le sinistre continuano a non accettare che si parli delle pulsioni autoritarie dei comunisti italiani e del loro legame con Mosca. È per sf ida che nei Vinti non dimenticano ho scritto le pagine che mi ero lasciato alle spalle. L’occupazione jugoslava di Trieste, Gorizia e Fiume, guidata dal servizio segreto di Tito, con migliaia di deportati scomparsi nel nulla: un esempio di quanto sarebbe accaduto nel resto d’Italia se il partito di Togliatti avesse trionfato. Le stragi in Toscana dopo la Liberazione. La sorte delle donne fasciste, stuprate e poi soppresse. La strategia del terrorismo rosso per eccitare le rappresaglie ed estendere il conflitto. Le uccisioni di comandanti partigiani e di politici socialisti e democristiani che si opponevano al predominio comunista. I lager infernali per i fascisti da fucilare, a cominciare da quello di Bogli. E senza nascondere le nefandezze degli Alleati. Come le violenze sessuali delle truppe marocchine a Siena. O i tantissimi civili uccisi dai bombardamenti angloamericani. La verità è sempre una chimera. Ma non si può cercarla quando si è accecati dalla faziosità politica. Nei Vinti non dimenticano ho rifiutato ancora una volta la storia inquinata dall’ ideologia. Questo mi fa sentire un uomo libero, come lo sono i miei lettori.”

Giampaolo Pansa.

 

 

 

 

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