Feltre, cittadina meravigliosa, per certi versi accostabile a Venezia,
malgrado la sua storia antica e le sue variegate manifestazioni, fra cui il
Palio, rimane incollata a circa 20.000 abitanti, da almeno 20 anni. Eppure,
questa antichissima città, fondata dai Reti in età preromana,
successivamente miscelata con varie etnie, dai Veneti ai Reti, dai Celti ai
Romani che si insediarano nel 90 a.C., rimane al palo da quando la conosco,
e cioè da circa mezzo secolo. Eppure, le condizioni ci sono e ci sarebbero
tutte per il suo sviluppo in tutti i contesti, considerata la sua storia
antichissima, i suoi commerci già dai tempi della Serenissima Repubblica, ma
anche e soprattutto per i personaggi che l’hanno da sempre resa famosa, come
l’umanista Vittorino da Feltre, Panfilo Castaldi, il beato Bernardino
Tomitano, Lorenzo Luzzo, Pietro Marescalchi, Carlo Rizzarda e persino Carlo
Goldoni…ed i contemporanei.
Molto verosimilmente, ma questo è un mio personale giudizio, la città è
vittima di un vizio consolidato: il piangersi addosso in continuazione
insieme con la politica dell’orticello sociale in base al quale, tutti
coloro che abitano oltre il confine della città, sono “foresti”... e la
stessa politica secessionista delle ultime amministrazioni ne sarebbe, a mio
avviso, una conferma.
Mi accorgo che sto uscendo dal tema, per cui entro subito nella più sentita
manifestazione della città, ma anche del Paese: il Palio di Feltre che, come
racconta la storia, ebbe inizio nel 1388 sotto il duca di Milano,
Giangaleazzo Visconti, al quale poi si intrecciarono dinastie varie,
sfociate alla fine in una sorta di annessione alla Serenissima di Venezia,
in data 15 giugno 1404.
La storia vera del Palio di Feltre però è del novecento, che ha disegnato la
città in quattro quartieri: il Duomo, Santo Stefano, Port’Oria e Castello,
che si affrontano tutti gli anni, in questo periodo, attraverso una miriade
di manifestazioni abbinate, con sbandieratori, tamburi, figuranti, costumi,
e…la corsa dei cavalli naturalmente.
Per la storia, va ricordato che il responsabile delle gare del Palio e che
proclama vincitore l’uno o l’altro quartiere viene chiamato Capitano del
Palio. Poi c’è il Mossiere che è colui che da la via alla corsa dei cavalli,
compito assai difficile in quanto i cavalli, alla partenza, sono piuttosto
nervosi e non si allineano quasi mai, fino a originare delle false partenze,
come quest’anno: tre partenze tutte irregolari a cui si è data per buona la
terza, per regolamento. Poi ci sono il Gran scudiero o Maresciallo Generale,
i Maestri di campo, il Provveditore alle scene ed il Gran Cerimoniere.
Nota dolens. La festa è stata un po’ disturbata dalla LAV che si è opposta
alla corsa dei cavalli con manifestazioni, dialetticamente violente, che
hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine.
Una cosa è certa: il buon risultato che ha visto 10.000 spettatori, anche
molti stranieri, in pratica, la metà degli abitanti di Feltre.
Una nota storica. Nel 1978, in occasione del sesto centenario della nascita
del grande educatore umanista Vittorino da Feltre, cui ho fatto cenno
dianzi, si decise di ricordare l’evento della donazione di Feltre a Venezia.
Così, il 15 giugno dell’anno successivo, in Piazza Maggiore ebbe luogo la
prima rievocazione. Si trattò di una cosa piuttosto modesta: un piccolo
numero di figuranti feltrini sfilò per la città accompagnato dagli
sbandieratori di Asti che poi si esibirono in Piazza. In quell’occasione si
tenne una gara di archi tra le città di Feltre e di Mantova, “patria
elettiva” del celebrato Vittorino. Furono gli arcieri del Piave che vinsero
la gara per Feltre, superando in bravura gli avversari mantovani.
L’anno seguente fu ripristinato il Palio dei Quindici Ducati e con esso gli
antichi quartieri cittadini che ne sarebbero stati da allora in poi i
concorrenti. Con un alacre lavoro di ricerca e di fantasia si ricreò
un’araldica, si confezionarono gli stendardi ed i costumi, si acquistarono i
tamburi. Fu anche stabilita la serie delle gare che prevedeva il tiro con
l’arco, il tiro alla fune, una staffetta ed il tiro degli anelli.
Quest’ultimo gioco fu abbandonato dopo qualche anno in quanto ritenuto poco
“spettacolare”. In città e nelle campagne si assistette dunque agli
allenamenti degli atleti e dei tamburini.
La gara dei cavalli fu ripresa, come volevano la storia feltrina e gli
statuti, non appena si ebbe a disposizione il circuito di Prà del Moro, e
questa fu da subito la competizione più seguita ed amata dal pubblico.
Il racconto sarà molto più eloquente e significativo guardando le numerose
foto che seguono.
Arnaldo De Porti - agosto 2012
Piazza Scala - agosto 2012