WELFARE, alla ricerca del benessere perduto - di Gennaro Angelini
(da NUOVA REALTA'  n.ro 1 del marzo 2008)

Il dibattito politico è da tempo incentrato sull'esigenza di riorganizzare il welfare alla luce delle muta­te condizioni socio-economiche del paese.
Fuor di dubbio che interventi in materia sono resi ormai indifferibili dalla situazione economica in cui versa gran parte della popolazione a causa di problemi non affrontati per tempo; l'elemento che ne condiziona l'avvio è il reperimento delle risorse utili a finanziare gli interventi che si intendono adottare.
Al di là delle sempre presenti pregiudiziali ideologiche, è un dato di fatto che parte consistente della popolazione vive ormai alle soglie della fascia di povertà per via di diversi fattori, in parte riconducibili a cause esterne quali la globalizzazione dei mercati
o il costo delle materie prime e in parte a cause interne quali il mancato adeguamento delle retribuzioni al valore d'acquisto della moneta o gli effetti indotti sull'occupazione dalla delocalizzazione delle imprese di produzione.
I comparti che maggiormente hanno subito le cause di tale involuzione sono senza dubbio quelli del lavoro a reddito fisso e dei pensionati, strutturati con forme di retribuzioni rigide che non consentono interventi immediati per fronteggiare la spirale evolutiva dei prezzi.
Le risoluzioni allo studio mirano a sostenere
i ceti meno abbienti e le famiglie che hanno maggiormente subito gli effetti dei diversi fattori congiunturali, mediante provvedimenti fondati su politiche fiscali e interventi a sostegno dei redditi medio bassi.
A ciò si aggiunga che lo slittamento verso il basso della "middle class", alimentato da un effetto moltiplicatore fino a pochi anni fa impensabile, ha ampliato la platea degli
"aventi diritto" rendendo necessario il reperimento di risorse finanziarie sempre più ingenti.
Tutti costoro, peraltro - con linguaggio
mediatico che potrebbe rivelare una certa dose di ironia se non fosse per la gravità dei problemi sottostanti - sono definiti nella prassi corrente
"consumatori" anche se dotati di capacità di spesa pressoché nulla.
A tutt'oggi non risulta che alcuno, economista, gior­nalista
o imprenditore che sia, perlopiù tuttologi ospitati nei diversi talk show televisivi, sia stato destinatario di una sonora pernacchia prima di essere reso edotto del fatto che il consumatore, per dirla alla Totò, è colui che consuma e se non può consumare che consumatore è? Ma non disperiamo che ciò avvenga!Anche perché la componente consumo non è rappresentativa se disgiunta dal fattore reddito, poiché esprime solo il livello di spesa occorrente per soddisfare i bisogni primari. L'elemento qualificante è l'incremento dei consumi che però dipende dall'incremento del reddito.
Il rapporto tra le due componenti, noto nella teoria economica come
"propensione marginale al consumo ", rappresenta la quota di maggior reddito riservata ai consumi ed è la variabile che qualifica i consumi determi­nando non solo un livello di benessere elevato ma anche minore disoccupazione grazie al migliore indice di pro­duttività che consegue al rafforzamento della domanda.
Defìscalizzazione
, sostegno al reddito, politiche a favore dell'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, riallocazione delle risorse non occupate, politiche a sostegno dell'imprenditoria virtuosa, queste le necessità primarie che meriterebbero l'impegno di una vasta maggioranza nelle diverse componenti sociali e politiche chiamate a farsene carico.
Un impegno peraltro propedeutico alla soluzione di altri problemi concernenti la vita pubblica, ma che richiede il sostegno della collettività mediante adeguate politiche fiscali.
Il tutto in un paese in cui livello di evasione ed elusione fiscale è sempre elevato, anche perché - al pari di altre anomalie tutte italiane - il deprecabile fenomeno non per tutti rappresenta una frode in danno della collettività che, per questo, vede alcune sue componenti obiettivamente tartassate.
E si sa che il prelievo fiscale non è mai stato ben visto - e tantomeno lo è al giorno d'oggi - neanche se giustificato dal principio di solidarietà.
Vero è che anche i percettori di reddito fisso collocati in fascia più elevata, subiscono la progressiva erosione del loro potere d'acquisto e vivono con una certa preoccupazione la condizione di chi, non beneficiando per livello di reddito di alcun sostegno, è costretto a sopportare comunque l'onere di un maggior prelievo fiscale.
Non a caso si assiste oggi al fenomeno dell'indebitamento parcellizzato e generalizzato, dovuto a volte alla necessità di soddisfare bisogni primari ma altre volte all'esigenza di conservare una condizione sociale non diversamente sostenibile.
Da tale stato di cose discendono altri problemi che affliggono la cosa pubblica:

- la sanità,
mai liberatasi dalla mala pianta delle baronie e delle clientele, drena risorse che in un ciclo virtuoso potrebbero essere altrimenti destinate o comunque meglio utilizzate; poche cose sono eticamente meno corrette dell'accesso all'assistenza sanitaria in base al reddito, ma ormai la congenita inefficienza della sanità pubblica e la colpevole se non consapevole inettitudine con la quale è stata nel tempo amministrata, ne sta progressivamente delegittimando il ruolo come
dimostrano alcune strutture già ora declassate al rango di sussidiarie;

- l'istruzione, anch'essa afflitta da congeniti problemi soprattutto nell'ambito universitario, denuncia inefficienze e reclama maggiore dignità nei confronti del corpo docente; preparazione insufficiente, ricerca non adeguatamente sostenuta e scostamento dal mondo del lavoro sono i punti di degrado che alimentano il mito del ricorso a strutture alternative forse meglio organizzate ma non sempre qualificate per garantire profili formativi idonei a recepire le istanze dell'universo produttivo;
-
la difesa dell'ambiente,
solo da poco elevata a materia degna di attenzione, dopo decenni di insensata rin­corsa al consumismo più becero e di totale assenza di ogni forma di consapevole utilizzo delle risorse naturali. Ancora oggi si assiste a forme di ostruzionismo esplicito o mediato volto a sostenere il primato del benessere astratto, rispetto ad un modello di crescita sociale moderno capace di coniugare sviluppo economico e qualità della vita.
Ne deriva che
interventi mirati al recupero di un benessere diffuso o quantomeno di un livello di vita dignitoso, non sono più differibili. E ognuno deve fare la sua parte, accantonando pervasivi atteggiamenti di egoismo e superficialità.
Lo dobbiamo soprattutto ai più giovani
che hanno diritto a sperare in un futuro fatto di opportunità e ambi­zioni, non di rinunce e precarietà.
Perché, in fondo, lo stato sociale è lo specchio di un Paese.

Gennaro Angelini