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Due belle ragazze nell’antico Egitto. Una è la
figlia del Faraone; l’altra è la sua schiava, a sua volta figlia, in incognito,
del Re etiope sconfitto. Entrambe sono innamorate di un brillante giovanotto in
carriera (militare, ovviamente, dati i tempi). La prescelta dal giovane
guerriero è la schiava; l’altra, preda della gelosia e della delusione e forte
del suo rango, si vendica. La conseguente morte dei due innamorati non le è però
di grande conforto: non le resta che
piangerne sulla tomba la triste fine da lei stessa provocata.
Questa, in grande sintesi, la trama dell’Aida, terzultima opera di Verdi, che
nelle intenzioni del Maestro sarebbe dovuta essere l’ultima. Infatti ad Aida
seguono sedici anni di silenzio; solo dopo grandi insistenze, Verdi si rassegnò
a musicare Otello e, sull'abbrivio, anche Falstaff. Ma era un Verdi diverso, che
aveva voltato pagina ed era stato in grado, in età senile, di rinnovarsi in modo
pressoché radicale. Il Verdi di Otello e Falstaff è un compositore moderno,
proiettato già verso il Novecento. Nulla di quello che aveva fatto prima fu
rinnegato – tutt’altro - ma il genio di Verdi, dopo aver attraversato tutto il
secolo, comprese appieno che sarebbe stato anacronistico perseverare in un
linguaggio non più consono ai tempi, fatalmente destinato a cambiare e poiché
lui era il più grande, dimostrò di essere più avanti anche di quei giovani che a
volte ne avevano criticato l'attaccamento alla tradizione, dandogli del vecchio.
Opera elettivamente conclusiva, Aida costituisce quindi la summa di tutta la
produzione verdiana, iniziata oltre quarant’anni prima. E poiché Verdi, forte
dell'esperienza umana e artistica dei suoi quasi sessant’anni, ne vuole fare il
“documento di sintesi” di una intera carriera, fa riemergere antichi palpiti
della giovinezza, unitamente a sofisticate elaborazioni della maturità. La
disomogeneità che alcuni critici trovano nell’Aida può benissimo essere
considerata ricchezza, completezza. Rispetto ad alcune raffinate produzioni
dell’ultimo periodo, come Ballo in Maschera o Don Carlos, riaffiorano in Aida
alcuni elementi della forza barbarica del primo Verdi, soprattutto nei pezzi
d’insieme. C’è anche un più frequente abbandono alla melodia, ovviamente non più
accompagnata dagli elementari accordi del Verdi prima maniera, ma sostenuta da
una complessità orchestrale ricercata e sofisticata.
Filippo Vasta - maggio 2009
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Verdi ricevette nel 1870 un progetto di Camille Du
Locle, tratto da una novella di Auguste Mariette, insieme alla proposta di
metterlo in musica per conto di Ismail Pascià, vicerè d'Egitto, nell'ambito dei
sontuosi festeggiamenti indetti per l'apertura del Canale di Suez, per la cui
inaugurazione era andato in scena al Cairo Rigoletto. Su proposta
dell'editore Ricordi, il musicista incaricò Antonio Ghislanzoni della redazione
del libretto di Aida. La rappresentazione dell'opera, strutturata in
quattro atti e terminata da Verdi nel novembre 1870, fu rinviata di un anno a
causa degli avvenimenti politici e bellici che si verificarono in Europa: andò
in scena al Teatro Reale del Cairo il 24 dicembre 1871 con ottimo esito. La
direzione d'orchestra venne affidata a Giovanni Bottesini e gli interpreti
principali furono: Antonietta Pozzoni (soprano), Aida; Pietro Mongini (tenore),
Radames; Eleonora Grossi (mezzosoprano), Amneris; Francesco Steller (baritono),
Amonasro; Tommaso Costa (basso), il Re; Paolo Medini (basso), Ramfis.
L'8 febbraio 1872 Aida venne allestita, e accolta con entusiasmo, al Teatro alla
Scala di Milano. Direttore d'orchestra fu Franco Faccio: Verdi stesso ne curò
minuziosamente la messa in scena. Nelle parti principali cantarono: Teresa Stolz
(soprano), Aida; Giuseppe Fancelli (tenore), Radames; Maria Waldmann
(mezzosoprano), Amneris; Adriano Pantaleoni (baritono), Amonasro. Il musicista
scrisse in questa occasione al conte Arrivabene: "Il pubblico le ha fatto buon
viso. Non voglio con te affettare modestia e certamente questa è fra le mie meno
cattive. Il tempo poi le darà il posto che le conviene".
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