VELTRONI, PRODI E IL PARTITO DEMOCRATICO
Ritengo di fare
parte di quella numerosa minoranza, in
Italia e nel mondo, che per storia
personale, tradizione, cultura, sentimenti
ha una visione della società in cui viviamo
o vorremmo vivere.
nella quale si faccia ogni sforzo per
ridurre (eliminarle è utopico) le
ingiustizie, le differenze sociali, la
povertà con strumenti legislativi forti, fra
i quali anzitutto la leva fiscale, con
interventi compensativi, con l’eliminazione
di privilegi e ostacoli corporativi. Non con
la semplice politica cosiddetta
“compassionevole”, tipica del
conservatorismo liberista e, purtroppo,
anche di quello ultra religioso, in America
e altrove.
La nostra è, in questo ciclo storico, una
minoranza al momento decrescente, sulla
difensiva, nonostante i disastri che il
liberismo conservatore, che
ha dominato le società sviluppate negli
ultimi decenni, ha provocato e sta
provocando in tutto il mondo, con una crisi
economica e finanziaria che si sta
diffondendo a macchia d’olio, con i governi
e le autorità sovranazionali privi di
strumenti risolutivi e, soprattutto,
mancanti della volontà di prendere misure
rilevanti a favore dei ceti più colpiti e di
quelli che nel prossimo futuro dovranno
sopportarne il maggior peso.
Gli americani, eleggendo Barack Obama, hanno
mostrato di capire che il “conservatorismo
compassionevole” di Bush, unito a una
politica di potenza militare, ha portato il
loro paese a un disastro senza precedenti,
ma forse è già troppo tardi anche per loro e
potrà essere molto lungo e faticoso
rimediarvi.
Qui da noi, la maggioranza degli elettori
sembra convinta che la visione che il
centrodestra ha della società possa
correggere i mali atavici che la
caratterizzano, dimenticando che il nostro
paese è stato quasi sempre governato da
coalizioni liberalconservatrici o
addirittura, nel periodo fascista ed anche
in precedenza, reazionarie.
Confesso che la nascita del Partito
Democratico, due anni fa, con la coraggiosa
convergenza di correnti di pensiero laiche,
socialiste, liberalsocialiste,
cristianodemocratiche, alla stregua di
quanto esisteva già da tempo in quasi tutti
i paesi occidentali democratici, aveva
suscitato in me e in milioni di cittadini
grandi speranze. Avevamo pensato che
finalmente si sarebbero potute sbaragliare
tutte quelle forze, lobbie, clan, congreghe
che tradizionalmente frenano lo sviluppo e
riescono a condizionare i governi nazionali
e locali, relegando la nostra Italia agli
ultimi posti in Europa in tante classifiche
che rappresentano il termometro dello
sviluppo e della civiltà.
Avevamo fatto i conti ignorando due fattori
di base. Il primo si chiama Berlusconi e il
secondo si chiama con i nomi dei vari
esponenti del Partito Democratico.
Il fattore Berlusconi ha successo perché è
tipicamente italiano. Non è la prima volta
nella nostra storia che il carisma
populistico attrae tanta parte del nostro
popolo. Limitandoci agli ultimi due secoli,
accadde con Garibaldi, con Crispi, con
Mussolini. Quest’ultimo, fior di mascalzone
in gioventù, poi megalomane aggressore di
popoli ritenuti più deboli, persecutore di
avversari in patria, oratore pagliaccesco,
godette per due decenni di vasti
consensi,
qualunque cosa facesse.
Berlusconi e i suoi fedeli (così li chiamo
perché in genere si tratta di persone scelte
personalmente da lui stesso in ragione della
loro fedeltà aziendale, professionale,
politica, anche se non mancano, nella
coalizione, politici intelligenti arruolati
dalle più varie provenienze, comunisti,
socialisti, democristiani, missini) non
offrono certamente la soluzione dei problemi
del nostro paese. L’hanno dimostrato ormai
nei lunghi anni in cui hanno governato e lo
stanno dimostrando in questi mesi. Basta
esaminare i provvedimenti scaturiti
dall’attività di governo e del Parlamento,
mirati a risolvere problemi giudiziari del
capo, favorire questa o quella lobby,
attenuare la lotta all’evasione fiscale,
cavalcare l’insofferenza verso gli
immigrati, fare la voce grossa in tema di
sicurezza adottando poi provvedimenti in
senso contrario (come la riduzione dei
finanziamenti alle forze dell’ordine e alle
forze armate), schierarsi strumentalmente a
fianco delle posizioni più retrive del
fondamentalismo clericale, togliere fondi
alle scuole, all’università e alla ricerca.
Lo stanno dimostrando ancor più con il
sostanziale immobilismo di fronte alla
gravissima crisi economica e finanziaria che
anche in Italia stiamo attraversando. Il
conflitto d’interessi? Le disavventure
giudiziarie? Se anche esistono, si sente
dire in giro, possono essere perdonati. Ma,
secondo la maggioranza, non esistono. E’ la
magistratura che perseguita. Deve essere
così perché lo dicono le TV. Le gaffes e le
infelici battute nei consessi
internazionali? Al massimo, sono simpatiche
goliardate e del resto è per questo che noi
italiani siamo simpatici al resto del mondo
(magari non ai giornali internazionali che
sono influenzati dalla nostra sinistra)Molti
italiani non si rendono conto che sono
emblematiche della mentalità e del tipo di
cultura del personaggio.
Veniamo al secondo fattore che avevamo
ignorato. Non credo che si tratti
principalmente della provenienza delle
diverse anime che vi sono confluite. In
tutti i partiti occidentali, di sinistra e
di destra, convivono correnti di pensiero
diverse anche se limitrofe e tutte
sostanzialmente accettano il concetto di
laicità dello stato. In Italia, peraltro,
questo concetto è più debole a causa della
presenza sul territorio di uno stato
sovrano, lo Stato della Città del Vaticano,
che è contemporaneamente la Sede della
Chiesa Cattolica Romana. E’ comprensibile
che la Chiesa persegua i propri interessi,
le proprie istanze e cerchi di influenzare
la politica italiana per ottenere leggi e
comportamenti compatibili con detti
interessi e dette istanze, più, molto più di
quanto osi fare in altri paesi, anche a
maggioranza cattolica. Anche nel Partito
Democratico queste pressioni trovano
ascolto, mandando a farsi benedire l’unità
nella laicità.
Non credo, tuttavia, che sia questo il
motivo principale per cui il Partito
Democratico non riesce a sfondare
nell’elettorato fino a diventare
maggioranza, sia pur relativa. A mio parere,
i cittadini, com’era successo ai tempi del
governo Prodi, percepiscono le divisioni
personali fra i dirigenti che impediscono la
formazione di un programma condiviso, di una
politica ben chiara, sia pure nel rispetto
del pluralismo delle idee. Troppi galli nel
pollaio che tengono alta la cresta, anziché
mettersi d’accordo nell’interesse comune e
del paese, con le dovute limature e i dovuti
compromessi. E’ un peccato, perché gli
uomini di valore e di specchiata onestà non
mancano affatto, ma sono spesso tentati di
remare contro.
E’ anche la mancanza di un vero leader (non
in stile berlusconiano ma, eventualmente,
degasperiano), di qualcuno che possa
riassumere, interpretare, eventualmente
conciliare le varie idee e le varie tendenze
che sempre esistono in un partito
democratico. Quell’uomo, a mio avviso, era
Romano Prodi, ma è stato bruciato, com’è
avvenuto con il buon Veltroni e con tanti
altri degni esponenti nella storia della
sinistra.
Se a tutto ciò aggiungiamo la dipendenza
televisiva degli italiani ed il sostanziale
controllo di questo mezzo di comunicazione
da parte della coalizione che fa capo al
Presidente del Consiglio, molte cose
diventano più chiare.
Il futuro si presenta cupo per la sinistra
italiana (anche per quella radicale) a causa
delle sue divisioni, ma sarà soprattutto
cupo per il nostro paese, se non si troverà
un rimedio.
Giacomo Morandi, 23 febbraio 2009 |