La Sede della Banca Commerciale Italiana  di Piazza della Scala
a cura di Filippo Vasta (dal cessato sito NOICOMIT Milano)


Dal Palazzo Rosso alla nuova Sede
Agli albori del XX secolo i vertici della Banca, sorta pochi anni prima, nel 1894, si posero il problema di dotare l’Istituto di una nuova sede.
In quegli anni stava sorgendo, secondo le linee del piano regolatore Beruto, la city milanese; nel vicino Cordusio (la curtis ducis longobarda), intorno al 1901 sorsero i palazzi che ancora oggi delimitano l’ellisse della Piazza. Due fra i più insigni architetti del momento, Luca Beltrami e Luigi Broggi, si spartirono gli incarichi, realizzando il primo gli edifici delle Assicurazioni Generali e la Casa Dario, ora occupata dal Banco di Napoli, mentre sono opera del Broggi la sede del Credito Italiano e, dall’altra parte di Via Orefici, la facciata dell’allora Palazzo della Borsa, ora delle Poste.
Ubicata in un Palazzo di metà Ottocento collocato nel lato Sud di Piazza della Scala, fra la Galleria da poco costruita e Via Santa Margherita, la Banca Commerciale necessitava di spazi più adeguati e di una sede di ben altro prestigio rispetto al laterizio rosso di una casa destinata originariamente ad esponenti della borghesia (la famiglia del senatore Pietro Brambilla), ancorché opera di un architetto importante come Giuseppe Pestagalli
L’area della nuova sede fu individuata nel lato opposto di Piazza della Scala, in uno spazio occupato da vecchie e sconnesse case, confinante, su Via Manzoni, con il Palazzo Greppi, occupato dalla Banca d’Italia e, sull’altro lato, con la chiesa sconsacrata di San Giovanni Decollato, conosciuta, per la sua ubicazione, come San Giovanni alle Case Rotte, di proprietà comunale ed adibita ad archivio.
La costruzione della nuova Sede (si era frattanto arrivati al 1906) si inseriva pertanto nel processo di modernizzazione e decoro promosso dalle autorità comunali per cambiare il volto del centro di Milano. In quest’ottica fu quanto mai opportuna, per la progettazione e la realizzazione dell’opera, la scelta di Luca Beltrami, quale esponente fra i più autorevoli dell’architettura del periodo.

Il Palazzo di Piazza Scala 6 – Luca Beltrami
L’architetto Luca Beltrami, nato a Milano nel 1854, si era distinto giovanissimo nel restauro di Palazzo Marino, del quale aveva completato proprio la fronte verso Piazza della Scala, interpretando i progetti e le linee architettoniche dell’Alessi; aveva poi restaurato il Castello Sforzesco, anche qui reinterpretando l’opera del Filarete, con la ricostruzione della torre d’ingresso tuttora conosciuta con il nome dell’architetto fiorentino del XV secolo. Oltre ai palazzi del Cordusio, opere sue erano anche il Palazzo per l’Esposizione di Belle Arti (in Via Turati), il Tempio Israelitico di Via Guastalla e la sede del Corriere della Sera.
Il prestigio di cui godeva il Beltrami avrebbe garantito alla Banca un processo sollecito nella concessione delle autorizzazioni, neutralizzando le eventuali opposizioni al corso dell’opera.
Già sin dall’inizio, infatti, si prospettò la possibilità di allargare il fronte della costruzione con la demolizione della chiesa di S. Giovanni, per guadagnare il prospetto verso S. Fedele e Via Case Rotte; malgrado le proteste dell’Associazione Artistica, la vecchia chiesa venne infatti demolita.
La realizzazione durò cinque anni e il nuovo edificio venne inaugurato nel 1911.
La nuova costruzione diede uniformità e coerenza alla piazza, regolarizzandone il perimetro e uniformandone lo stile rinascimentale. Beltrami, infatti, rielabora un’architettura classicheggiante che riprende liberamente quella del Teatro alla Scala, costruendo un’apparente simmetria con l’opera del Piermarini; inoltre la severa imponenza dello stile classico meglio risponde, rispetto alla frivolezza del Liberty in voga nel periodo, a dare una sensazione di solidità e serietà maggiormente confacenti ad un istituto bancario, che deve raccogliere la fiducia della gente.
Ma è soprattutto negli interni che Luca Beltrami fornisce il meglio della propria raffinatezza. Ne sono testimoni la hall centrale (il salone) con i suoi due ordini, il velario, il ricco scalone che porta al primo piano, le decorazioni, gli arredi, sino alle modanature e i ferri battuti, tutte cose che l’architetto curò nei minimi particolari; persino gli scrittoi sono realizzati su suoi disegni. Il visitatore coglie un’impressione di elegante opulenza nell’equilibrio dell’impianto architettonico neocinquecentesco, nella profusione di materiali pregiati (marmi policromi, vetrate), negli elementi decorativi.

Il nuovo palazzo della Direzione Centrale
La Banca non aveva comunque finito di espandere i propri confini. Lo spostamento della Banca d’Italia nella nuova sede dietro il Cordusio consentì, ancora nel 1911, l’acquisizione di Palazzo Brentani-Greppi (ai numeri 6 e 8 di via Manzoni); l’attenzione si volse però verso il lato opposto della Piazza, dove esisteva ancora il palazzo rosso della primitiva sede.
Anche in questo caso la Banca si rivolse a Luca Beltrami che realizzò il nuovo edificio, destinato alla Direzione Centrale, negli anni fra il 1923 e il 1927. L’architetto milanese, ormai avanti negli anni, andò incontro a non poche polemiche per il suo rigoroso perseverare nello stile neoclassico e nel rispetto dell’uniformità architettonica della piazza. Le critiche vennero, in particolare, dall’astro nascente Marcello Piacentini, che il vecchio maestro non mancò di tacciare del titolo di saccente giovincello.
Successivamente all’insediamento della Direzione Centrale nel nuovo palazzo, il Comune autorizzò la Banca a scavare un tunnel sotterraneo, tuttora esistente sotto la piazza, per collegare i due palazzi.
La Direzione Centrale resterà nel palazzo nuovo poco più di dieci anni; nel dicembre del 1938 esso verrà ceduto al comune di Milano, dato che la Commerciale aveva nel frattempo iniziato ad allargarsi verso Via Case Rotte.

Via Case Rotte - Piero Portaluppi
Con notevole preveggenza, già nel 1925 la Banca aveva messo gli occhi sull’area confinante di Via Case Rotte 3 e di via degli Omenoni 1. In quel periodo era in preparazione il piano regolatore che avrebbe portato all’apertura del Corso Littorio (ora Corso Matteotti), designato a collegare l’area di Piazza della Scala con Piazza S. Babila; era pertanto prevedibile uno sviluppo delle aree circostanti. Tutto il quartiere fra le due piazze verrà infatti ridisegnato in un breve giro di anni, fra il 1928 e il 1936.
Esauritasi la collaborazione con Luca Beltrami, era il Portaluppi l’esponente dei movimenti sviluppatisi negli anni venti nell’architettura “novecentista”, oscillante fra razionalismo e rappresentazione. Piero Portaluppi aveva già restaurato la confinante Casa degli Omenoni, destinata in quegli anni alla funzione, che ricopre tuttora, di circolo cittadino.
Fra il classicismo cinquecentesco della Casa degli Omenoni e il neoclassicismo di Luca Beltrami, il Portaluppi trovò la soluzione di inserire la cerniera verticale costituita dalla “Torretta”, dando seguito, da una parte, all’edificio costruito nel 1906 e nascondendo, per così dire, le ridondanti decorazioni statuarie del palazzetto del Pellegrini.
Il cantiere, aperto nel 1929, si protrasse sino al 1932; con l’acquisto di Palazzo Besana, sulla Piazza Belgioioso, avvenuto nel 1924 e quello di Palazzo Anguissola, nel 1948, tutto l’isolato entrava a far parte della proprietà della Banca, con le eccezioni della Casa degli Omenoni e della palazzina del Manzoni.

La ristrutturazione degli interni – Giuseppe de Finetti
Concluso il processo d’espansione con l’acquisizione dei palazzi Greppi e Besana, Raffaele Mattioli nel 1934 si pose il problema del riordino e della razionalizzazione degli ambienti, alquanto disomogenei e labirintici, considerata la diversità degli immobili venutisi ad aggregare.
L’incarico venne affidato a Giuseppe De Finetti, architetto fra i più innovativi ed aggiornati, di cui Mattioli si era già avvalso per la ristrutturazione della propria abitazione.
Gli interventi riguardarono, in particolare, gli ambienti di sosta e di disimpegno, gli atri, gli ascensori, la riforma dei piani superiori e la creazione del giardino pensile a livello del secondo piano (quello che ancora oggi ha la forma di un fascio littorio).E’ sempre opera di De Finetti la splendida Sala del Consiglio, dove campeggia il severo ritratto di Mattioli. L’accuratezza delle finiture, la qualità dei materiali, le boiseries, l’uso di forme pure, la pulizia delle linee, danno quel senso di sobrietà e di eleganza che caratterizzano i luoghi dove molti di noi hanno vissuto una cospicua parte della propria vita lavorativa.

Palazzo Anguissola
Il Conte Antonio Carlo Anguissola Tedeschi Secco Comneno, singolare figura della nobiltà milanese, cultore delle arti e delle scienze, acquisì nel 1773 l’area sino ad allora occupata dal cinquecentesco orfanotrofio di S. Martino, i cui giovani ospiti venivano, per l’appunto, denominati “Martinitt”. Trasferito l’orfanotrofio nel convento della chiesa di S. Pietro in Gessate, in spazi più ampi ed adeguati alle necessità dei numerosi orfanelli milanesi, l’area era stata messa all’asta e aggiudicata per 2.100 zecchini al Conte, il quale aveva dimora nell’adiacente Contrada Morone (corrispondente all’attuale via omonima) ed intendeva espandere e ristrutturare la sua abitazione.
La ristrutturazione effettuata dall’architetto Carlo Felice Soave comportò il ribaltamento del fulcro del palazzo dalla contrada Morone all’interno del lotto acquistato, mantenendo le nobili strutture della vecchia casa, ma affiancando alla stessa una nuova struttura verso l’interno del giardino, con una nuova facciata, di grande eleganza, destinata a diventare quella principale. Nel 1817 la dimora venne venduta ad un ricco esponente della borghesia, l’avvocato Giovanni Battista Traversi, il quale diede a Luigi Canonica l’incarico di completare il Palazzo su Via Manzoni (allora corsia del Giardino). E’ del Canonica il corpo esterno (al n. 10 di via Manzoni) ed il cortile quadrato ad angoli smussati.
Occupato da uffici ed abitazioni, l’edificio è stato ristrutturato dalla Banca intorno agli anni ’90. Il piano terreno, con le ricche decorazioni neoclassiche, era occupato dall’ufficio telex; oggi, a posto delle sferraglianti telescriventi Olivetti, apre i suoi scaffali l’Archivio Storico della Banca Commerciale Italiana. Il piano nobile, con decorazioni non meno interessanti ed eleganti, è occupato dalla Fondazione Mattioli. Si tratta delle stanze dove abitò, sino alla sua morte, Raffaele Mattioli, abituato ad avere contiguità di casa e bottega.


 

I vicini di casa
Come in precedenza accennato, solo due porzioni immobiliari dell’isolato non sono entrate a far parte della proprietà della Banca: la Casa degli Omenoni e la Casa del Manzoni.
La Casa degli Omenoni riporta la personalità del suo primo proprietario, che la fece erigere intorno al 1565, lo scultore Leone Leoni, aretino, al servizio di Carlo V e Filippo II di Spagna e grande collezionista di oggetti d’arte antica e di dipinti dei suoi colleghi del periodo, quali Tiziano e Correggio, oltre che del celebre “Codice atlantico” di Leonardo.
Il nome è dato alla Casa dalle otto grandi cariatidi del piano terra, appunto gli Omenoni, scolpite da Antonio Abondio.

La Casa del Manzoni fu abitata dal grande lombardo dal 1814 alla morte, avvenuta il 22 maggio 1873. La facciata presenta fregi in cotto eseguiti nel 1864 da Andrea Boni. Ospita il Centro Nazionale di Studi Manzoniani, raccoglie le varie edizioni italiane e straniere delle opere dello scrittore ed è la sede del Museo Manzoniano, con lo studio e la camera da letto arredati di Alessandro Manzoni ed una raccolta di autografi, oggetti personali e quadri d’autore allo stesso appartenuti.
La facciata interna affaccia sul giardino della Banca parallelamente a Palazzo Anguissola, formando un angolo delizioso e verde di grande fascino, arricchito da una fontanella.