SENEGAL

Un'esperienza di condivisione

                                      di Samanta Urbano
 

Il mio viaggio in Senegal è nato dalla voglia, che da anni coltivavo, di conoscere l'Africa, la sua gente, la sua cultura, i suoi stupendi paesaggi, i suoi colori e i suoi sapori intensi.

E' stato il mio primo viaggio "africano" e non volevo, non potevo viverlo come una semplice turista; sentivo forte l'esigenza di vivere un'esperienza più diretta, più intensa che mi consentisse in qualche modo di "entrare davvero in con­tatto" con la vita di questa terra e non di "osservarla" solo dall'esterno.
Così la ricerca di un'associazione
che si occu­passe di turismo solidale; un po' di mesi di ricerca e poi la scelta è ricaduta su una onlus italo-senegalese che da anni si occupa di turismo respon­sabile e collabora in Senegal con scuole e associazioni locali.

Sapevo che questa scelta di viaggio mi avrebbe dato la possibilità di confrontarmi con altre realtà e di avere quindi la possibilità di interagire, comunicare e stabilire rapporti con le persone del luogo.

La mia conoscenza della società civile senegalese era molto limitata ed è per questo che si è rivelato importante il ruolo del nostro accompagnatore che, in qualità di mediatore culturale, mi ha permesso di capire un po' meglio usi e costumi del suo popolo ed è stato quindi per molti aspetti un punto di riferimento in quanto conoscitore sia del nostro modo di vivere che del loro.

Prima della partenza ero davvero molto emozionata e, a tratti, intimorita dall'esperienza che mi accingevo a vivere, ma, sin dall'arrivo a Dakar, l'Africa e la sua gente mi hanno fatta sentire "accolta" e tutti i miei timori si sono sciolti giorno dopo giorno a contatto con il calore africano.

Appena atterrata ho provato la stessa sensazione che sperimentano tanti africani quando arrivano in un paese Europeo: il sentirsi scrutati e osserva­ti per la loro diversità. Questa volta è toccato a me!! L'impatto è stato forte e mi è servito un po' di tempo per riconoscere e riordinare le emozioni.

Mi ha colpita molto il movimento della gente, la sua presenza nelle strade nonostante l'ora abbastanza tarda e lo svolgersi della vita come se fosse giorno pieno. Per tutta la notte ho sentito un rumore.... era un rumore di vita che, con il tra­scorrere dei giorni, mi è diventato familiare. Credevo di trovare un popolo inattivo e incapace di reagire alla povertà e al disagio, ma mi sono trovata circondata da gente attiva, impegnata, che non aspetta l'aiuto di nessuno, che si aggrega, si organizza e con i pochi mezzi che ha cerca giorno dopo giorno di migliorarsi.

Tutti fanno qualcosa: le donne vendono quel poco che possiedono, i ragazzini lavorano il legno o fanno i     sarti, i bambini giocano a calcio con qualsiasi cosa assomigli ad un pallone e si allenano con la speranza nel cuore di poter diventare un giorno un campione e magari giocare in una squadra europea. Nelle campagne, tra le immense distese

di terra rossa e sabbia, dove i baobab si innalzano maestosi verso il cielo, si scorgono figure eleganti e colorate che lavorano la terra o che ritte por­tano sulla testa contenitori di acqua attinta dai pozzi e sulla schiena, avvolti in teli colorati, i loro bimbi.
Le donne con la loro bellezza, i corpi perfetti, il portamento elegante, gli abiti coloratissimi, costituiscono un pilastro importante della società civile; sono loro che portano avanti l'economia familiare, che si occupano dei figli, della casa e la loro forza e determinazione si riconosce già dalla loro gestualità.

Ovunque siamo stati accolti da schiere di bambini scalzi che ci correvano incontro sorridenti, ci prendevano per mano, toccavano i nostri visi, gridavano "tubaab" (bianco).
Sono veramente tanti, tutti bellissimi con quegli occhi vivaci ed espressivi che sanno regalare sorrisi dolcissimi. E' sufficiente fotografarli mentre si accalcano uno sopra l'altro mettendosi in posa, per renderli felici.
E' penoso pensare che la loro energia ed il loro sorriso siano spezzati dalle più svariate malattie (la malaria, per esempio, è una delle principali cause di morte) ed è ancor più doloroso realizzare che molti di loro non avranno, solo per l'impossibilità di acquistare banalissimi farmaci, la possibilità di crescere, di conoscere il mondo e la vita (pur nelle difficoltà che quest'ultima ha riservato loro).
Lo Stato fa ancora troppo poco per la sua gente e a loro non resta altro che organizzarsi come possono, aiutarsi a vicenda cercando di superare insieme le difficoltà quotidiane.
Durante la mia permanenza ho conosciuto e collaborato con l'associazione "Jant-Bi" (che in lingua locale Wolof significa "Il sole") sorta a Pikine Est, un comune, nell'immediata periferia di Dakar, che conta 60.000 persone, ammassate in una superficie molto limitata, priva di rete fognaria e di strutture elementari.

L'impatto con questi luoghi è stato davvero toccante e inquietante; continuavo a guardarmi intorno ed era tutto così incredibile che mi sembrava quasi di camminare in un set cinematografico in cui tutto era irreale e costruito per la

funzione scenica non riuscivo a credere che tutto ciò che vedevo intorno a me fosse reale.
La povertà nelle campagne spinge la gente verso la città creando fenomeni di disagio, disoc­cupazione e situazioni sociali particolarmente gravi.

E' appunto in questo contesto che alcune per­sone hanno iniziato ad operare facendosi carico dei problemi riscontrati all'interno del loro quartiere.

Si sforzano di migliorare l'assistenza sanita­ria, svolgono campagne di informazione e sensibilizzazione della popolazione su importanti temi quali quelli dell'AIDS e delle malattie ses­sualmente trasmissibili o dei rischi legati all'uso delle droghe, al fine di limitarne la diffusione.

Contribuiscono alla crescita dei giovani impe­gnandoli in attività culturali (danza, musica, teatro) e ricreative (squadre di calcio maschili e femminili); si occupano di effettuare censimenti dei bambini a rischio (bambini mendicanti, bambini lavoratori e giovani prostitute) con l'obiettivo di limitare lo sfruttamento dei minori.

Con i membri dell'associazione "Jant-Bi" si è creato subito un rapporto di amicizia e di scambio reciproco molto profondo. Ci hanno illustrato tutte le loro attività chiedendo costantemente di cono­scere il nostro parere.

I volontari sono molto attivi; sono impegnati nell'opera di sensibilizzazione della gente del quartiere riguardo l'educazione sanitaria, il controllo delle nascite, la scolarizzazione dei bambini, l'alfabetizzazione delle donne, e l'organizzazione di operazioni di microcredito ecc..

Le riunioni con loro avevano un'impostazione molto diversa dal nostro abituale modo di lavorare: tutto viene discusso con molta calma e ognuno ricopre il suo ruolo senza invadere lo spazio dell'altro.

E' stato molto interessante ed istruttivo.

Con loro abbiamo lavorato anche ad un progetto per fornire, inizialmente ad un campione di 100 famiglie, altrettanti kits antimalaria composti da una zanzariera imbevuta in un apposito liquido e da medicinali di prevenzione e di cura per una sta­gione (la stagione delle piogge quando il rischio malaria aumenta notevolmente), con l'idea di monitorare la situazione e pian piano allargare l'iniziativa.

Siamo stati anche nella scuola elementare, che ospita 2.000 bambini a doppio turno; anche qui si lavora praticamente senza strumenti, senza libri e magari solo con qualche quaderno, ma comunque ci si impegna a spiegare alle famiglie l'importanza di mandare i bambini a scuola per cercare di offri­re loro qualche opportunità in più per il futuro.

Una parte specifica del progetto scolastico si occupa della sensibilizzazione e del sostegno economico per l'alfabetizzazione delle bambine che continuano, ahimè, a ricevere l'opportunità di accedere ai servizi scolastici solo in bassissima percentuale, poiché le famiglie preferiscono tenerle a casa così da affidare loro i lavori domestici e i fratellini più piccoli (a 5 anni in Africa si è già adulti e ci si prende cura dei più piccoli).

E'incredibile vedere con quanto senso di responsabilità queste "piccole donne" svolgano il loro compito!

Nelle nostre giornate queste forti esperienze umane si alternavano con passeggiate su spiaggie stupende e con tramonti spettacolari.

E cosa dire del cielo africano! Terso di giorno e ricoperto da un manto fittissimo di stelle nella notte.

Anche la zanzariera sopra il letto creava un'atmosfera fiabesca, ma la cosa che mi ha colpita di più è stata "la voce" dell'Africa; l'ho sentita subito e mi ha tenuto compagnia ogni giorno e ogni notte. Non smetteva mai di farsi sentire. Era una mescolanza di suoni, di versi di animali, di movimento, di voci, di tamburi, di preghiere; era un rumore incessante di vita ad ogni ora.

La vita in Africa non si svolge all'interno delle mura domestiche ma per strada; lì si lavora, ci si incontra, si beve il the, si fa il bucato e si prega.

Noi del mondo occidentale, evoluto e benestante, abbiamo dovuto imparare da un popolo pove­ro e sfruttato da secoli, come si va verso l'altro...

L'aver partecipato e condiviso parte della gior­nata con una famiglia o l'aver collaborato attivamente alle attività dell'associazione ci ha veramente dato la possibilità di viaggiare e soprattutto di farlo consapevoli di essere andati verso l'altro e non soltanto di aver acquistato un biglietto aereo per una destinazione turistica.

E' bellissimo conoscere e cercare di capire altre culture e altri modi di concepire il mondo e la vita. Questa esperienza mi ha dato la possibilità di mettermi in discussione e di comprendere forse una delle "mille afriche" che rendono vivo questo grande e magnifico continente nero e che sopravvivono nonostante le guerre, le carestie, la povertà, la fame e lo sfruttamento continuo.

E' veramente un altro mondo! Diventa difficile, una volta tornati alla nostra quotidianità, trasmettere alle persone che ci sono accanto le emozioni vissute in quei luoghi, illustrare i sapori, gli odori, descrivere i colori, il calore e la vivacità della gente, la povertà, la dignità, le contraddizioni evidentissime che nella città emergono ad ogni angolo.

 

 

Da Nuova Realtà numero 1 - marzo 2010

 

Piazza Scala - Maggio 2010