ASPETTI PSICOLOGICI DELLA
DISASSUEFAZIONE DA FUMO
 

Dott.ssa Vera Meneghello
Psicologa, psicoterapeuta, componente del Centro Antifumo dell’Azienda Sanitaria “Policlinico - Ospedale Giovanni XXIII” di Bari

 

Questo serio avvertimento, stampato a chiare lettere sui pacchetti di sigarette, pare non scoraggiare il cospicuo numero di persone che fuma abitualmente.
Come mai, allora, questo avviene?
Perché molte persone, pur informate dei rischi per questo comportamento, nocivo per il proprio benessere,
un’abitudine quotidiana quasi indispensabile alla propria vita regolare?
Fumare o consumare tabacco non risponde ad un bisogno primario dell’uomo. Fumare non è necessario
all’organismo, non fa parte dei comportamenti innati utili alla sopravvivenza perché legati ai bisogni
fisiologici (come mangiare, bere, dormire, ecc.) eppure per molte persone il fumo diviene una delle esigenze
primarie, un bisogno insopprimibile senza del quale paradossalmente si prova malessere.
E’ chiaro che il fumare debba ritenersi un bisogno indotto, artificiale, creato dalla stessa persona che adotta questo comportamento consapevolmente od inconsapevolmente, ma sempre come “surrogato” di qualcos’altro o sotto la spinta di varie motivazioni che investono la sfera prettamente psicologica.
L’approccio al fumo, infatti, si basa su una matrice di natura principalmente motivazionale, che esula dalla relazione esistente tra l’acquisizione della conoscenza dei danni e il comportamento che da essa può derivare.
Esistono tanti motivi per cui una persona inizia a fumare e tanti altri motivi per cui interviene il desiderio di smettere.
Fumatori non si nasce, ci si diventa, quasi sempre da ragazzi, per rispondere ad un bisogno di sicurezza.
Si diventa fumatori, nell’80 % dei casi circa, prima dei 18 anni. Si inizia a fumare per sentirsi adulti e capaci di gestire situazioni emotivamente difficili. La spinta iniziale ad intraprendere il comportamento del fumare, è la conseguenza di un percorso che vede nelle ”pressioni sociali”, inizialmente adolescenziali, la causa principale di questa nociva abitudine comportamentale.
Il fumo non è soltanto assunzione di nicotina: è occasione conviviale, è espletamento di un rituale, è momento di rilassamento, è sostegno continuo.
Il fumo si trasforma così, gradatamente, in un forte strumento di piacere e di gratificazione e, con l’automatismo della ripetitività, viene usato come unico regolatore degli stati emozionali per gestire o connotare situazioni usuali: concentrarsi meglio, concedersi
una pausa, rilassarsi, scaricare la tensione nervosa, controllare la gestualità, combattere la noia, ecc.
La gratificazione da fumo può finire per diventare, in alcuni soggetti (es. i depressi) la sostituzione di abilità comunicative, la scorciatoia per ridurre l’ansia, la soluzione fittizia per riempire di senso la propria solitudine esistenziale.
Nel tempo, l’ambiente sociale ha attribuito al fumare vari significati non sempre negativi e, in questo modo, ha avuto la responsabilità di concorrere alla sua diffusione. Forse perché il tabagismo, pur producendo seri danni all’organismo, non allarma
l’opinione pubblica dal momento che manca ogni tratto di pericolosità sociale, come invece avviene per altri tipi di dipendenze. L’alcoolismo, ad esempio, viene facilmente correlato a comportamenti violenti sia in ambito familiare che sociale, la droga ormai è
indubbiamente associata ad alcuni comportamenti criminali come lo scippo, le rapine, lo spaccio, ecc.
Il fumo, al contrario, rimane non solo nell’alveo dei comportamenti sociali accettati ma paradossalmente è stato considerato un comportamento da assumere a modello, almeno fino a qualche decennio fa, perché espressione di indipendenza, anticonformismo,
volitività, emancipazione.
Fumare aveva assunto, pertanto, un significato simbolico di libertà, un modo spesso virile per affermare atteggiamenti originali, ricchi di fascino ed attrattiva.
In seguito alle campagne di sensibilizzazione promosse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha definito la dipendenza da fumo come la principale causa prevedibile, e quindi evitabile, di malattia e morte prematura, è cresciuta la coscienza della dimensione “sanitaria” del fenomeno tabagismo.
Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato e confermato che nei Paesi industrializzati non esiste un fattore di rischio più grave del fumo.
Il tabagismo uccide, da solo, più persone degli incidenti stradali, alcool, incendi, omicidi, suicidi, droghe e AIDS messi insieme, tanto da configurarsi come l’”epidemia del XX° secolo”.
Nell’ultimo decennio nei fumatori è stata definitivamente dimostrata una dipendenza fisica e psicologico-comportamentale del tutto simile a quella determinata da altre sostanze stupefacenti, tanto da indurre il Ministero della Salute ad inserire il tabagismo nel capitolo delle dipendenze tossiche.
In seguito a ciò è cambiata la percezione sociale del fumatore che viene spesso visto come essere vulnerabile, soggetto a frequenti disturbi dell’umore, con minore capacità di coping, ossia di usare strategie di fronteggiamento di situazioni stressanti, con scarso
senso di autoefficacia.
Se a questo aggiungiamo il divieto di fumo nei locali pubblici e negli uffici, entrato in vigore in Italia nel gennaio 2005, che ha ridotto ulteriormente gli spazi e le occasioni per poter fumare, si comprende bene come il problema della disassuefazione sia diventato
pressante per quella parte di fumatori che si sentono discriminati, emarginati, disapprovati, schiavi di una sostanza che ha effetti negativi per sé e per gli altri (fumo passivo).
Almeno il 40% dei fumatori italiani pensa di smettere di fumare ed il 20% ci prova, ma solo il 2 - 3% all’anno riesce autonomamente ad abbandonare la sigaretta e la maggior parte di coloro che tentano di smettere incontra difficoltà nel mantenere l’astinenza, per cui le ricadute sono assai frequenti.
Diventa conseguenziale, quindi, come sia di fondamentale importanza, in termini di salute pubblica, fornire aiuto ed assistenza ai consumatori di tabacco che desiderano smettere, ma non riescono a farlo da soli.
Tra i vari interventi possibili di disassuefazione, il modello integrato (medico pneumologo e psicologo) è ritenuto, dalla letteratura scientifica, il più efficace perché interviene sui due aspetti della dipendenza tabagica: dipendenza fisica e dipendenza psicologica.
In linea con gli indirizzi programmatici internazionali, nazionali e regionali, il CENTRO ANTI FUMO del “Policlinico-Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII” di Bari (responsabile dott.ssa Maria Grazia Foschino), in collaborazione con l’AISA (Associazione
Italiana Studi Asmatici) ha attivato, già dal lontano 1996, una serie di iniziative nella lotta al tabagismo nell’ambito dell’educazione, della prevenzione e della disassuefazione.
Per quest’ultima è stato strutturato un protocollo diagnostico e terapeutico multidisciplinare con valutazioni psicologiche e mediche.
Tale protocollo prevede varie fasi: nella fase di accoglienza, al fumatore vengono fornite tutte le informazioni a lui necessarie circa le metodiche utilizzate dal Centro, le procedure del percorso di disassuefazione ed i tempi previsti. Se il fumatore lo ritiene opportuno formula la richiesta di partecipazione compilando un questionario anamnestico presso l’ambulatorio del Centro.
La 2° fase (diagnosi integrata) prevede l’incontro con lo psicologo, per il colloquio motivazionale e la valutazione della dipendenza, e con il medico pneumologo per la valutazione medica allo scopo di decidere insieme il percorso terapeutico più indicato per ogni paziente.
La 3° fase è rappresentata dal percorso terapeutico vero e proprio e cioè: la terapia farmacologia, la terapia sostitutiva alla nicotina ed i gruppi psicologici di disassuefazione ad orientamento cognitivo-comportamentale. Le attività delle prime due fasi sono completamente gratuite, le successive sono effettuate in regime ambulatoriale, con richiesta del medico di base e il pagamento dei relativi ticket.
Sono stati attivati, finora, 25 “gruppi psicologici di disassuefazione dal fumo”, in cui sono stati registrati risultati particolarmente incoraggianti.
Certo per dire “addio” alla sigaretta l’aiuto specialistico è indispensabile perchè offre maggiori garanzie di successo, ma è praticamente quasi impossibile fare smettere un fumatore che non è motivato a farlo.
La valutazione della motivazione è, pertanto, l’elemento che predice il futuro esito del percorso di disassuefazione e qualifica l’accesso al Centro proprio perché indaga e sottolinea, quando esiste una reale motivazione a smettere, il ruolo attivo e centrale
della persona che decide della propria salute e che partecipa consapevolmente al raggiungimento dell’obiettivo concordato: diventare “non fumatore”.
Centro Anti Fumo:
tel. 080.5596601

Da NUOVA REALTA' - Notiziario dell'Associazione Bancari Cassa di Risparmio di Puglia - UBI><Banca Carime, Bari, numero 4, dicembre 2010

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Piazza Scala - gennaio 2011