Questo
serio avvertimento, stampato a chiare
lettere sui pacchetti di sigarette, pare
non scoraggiare il cospicuo numero di
persone che fuma abitualmente.
Come mai, allora, questo avviene?
Perché molte persone, pur informate dei
rischi per questo comportamento, nocivo
per il proprio benessere,
un’abitudine quotidiana quasi
indispensabile alla propria vita
regolare?
Fumare o consumare tabacco non risponde
ad un bisogno primario dell’uomo. Fumare
non è necessario
all’organismo, non fa parte dei
comportamenti innati utili alla
sopravvivenza perché legati ai bisogni
fisiologici (come mangiare, bere,
dormire, ecc.) eppure per molte persone
il fumo diviene una delle esigenze
primarie, un bisogno insopprimibile
senza del quale paradossalmente si prova
malessere.
E’ chiaro che il fumare debba ritenersi
un bisogno indotto, artificiale, creato
dalla stessa persona che adotta questo
comportamento consapevolmente od
inconsapevolmente, ma sempre come
“surrogato” di qualcos’altro o sotto la
spinta di varie motivazioni che
investono la sfera prettamente
psicologica.
L’approccio al fumo, infatti, si basa su
una matrice di natura principalmente
motivazionale, che esula dalla relazione
esistente tra l’acquisizione della
conoscenza dei danni e il comportamento
che da essa può derivare.
Esistono tanti motivi per cui una
persona inizia a fumare e tanti altri
motivi per cui interviene il desiderio
di smettere.
Fumatori non si nasce, ci si diventa,
quasi sempre da ragazzi, per rispondere
ad un bisogno di sicurezza.
Si diventa fumatori, nell’80 % dei casi
circa, prima dei 18 anni. Si inizia a
fumare per sentirsi adulti e capaci di
gestire situazioni emotivamente
difficili. La spinta iniziale ad
intraprendere il comportamento del
fumare, è la conseguenza di un percorso
che vede nelle ”pressioni sociali”,
inizialmente adolescenziali, la causa
principale di questa nociva abitudine
comportamentale.
Il fumo non è soltanto assunzione di
nicotina: è occasione conviviale, è
espletamento di un rituale, è momento di
rilassamento, è sostegno continuo.
Il fumo si trasforma così, gradatamente,
in un forte strumento di piacere e di
gratificazione e, con l’automatismo
della ripetitività, viene usato come
unico regolatore degli stati emozionali
per gestire o connotare situazioni
usuali: concentrarsi meglio, concedersi
una pausa, rilassarsi, scaricare la
tensione nervosa, controllare la
gestualità, combattere la noia, ecc.
La gratificazione da fumo può finire per
diventare, in alcuni soggetti (es. i
depressi) la sostituzione di abilità
comunicative, la scorciatoia per ridurre
l’ansia, la soluzione fittizia per
riempire di senso la propria solitudine
esistenziale.
Nel tempo, l’ambiente sociale ha
attribuito al fumare vari significati
non sempre negativi e, in questo modo,
ha avuto la responsabilità di concorrere
alla sua diffusione. Forse perché il
tabagismo, pur producendo seri danni
all’organismo, non allarma
l’opinione pubblica dal momento che
manca ogni tratto di pericolosità
sociale, come invece avviene per altri
tipi di dipendenze. L’alcoolismo, ad
esempio, viene facilmente correlato a
comportamenti violenti sia in ambito
familiare che sociale, la droga ormai è
indubbiamente associata ad alcuni
comportamenti criminali come lo scippo,
le rapine, lo spaccio, ecc.
Il fumo, al contrario, rimane non solo
nell’alveo dei comportamenti sociali
accettati ma paradossalmente è stato
considerato un comportamento da assumere
a modello, almeno fino a qualche
decennio fa, perché espressione di
indipendenza, anticonformismo,
volitività, emancipazione.
Fumare aveva assunto, pertanto, un
significato simbolico di libertà, un
modo spesso virile per affermare
atteggiamenti originali, ricchi di
fascino ed attrattiva.
In seguito alle campagne di
sensibilizzazione promosse
dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità che ha definito la dipendenza da
fumo come la principale causa
prevedibile, e quindi evitabile, di
malattia e morte prematura, è cresciuta
la coscienza della dimensione
“sanitaria” del fenomeno tabagismo.
Numerosi studi epidemiologici hanno
dimostrato e confermato che nei Paesi
industrializzati non esiste un fattore
di rischio più grave del fumo.
Il tabagismo uccide, da solo, più
persone degli incidenti stradali,
alcool, incendi, omicidi, suicidi,
droghe e AIDS messi insieme, tanto da
configurarsi come l’”epidemia del XX°
secolo”.
Nell’ultimo decennio nei fumatori è
stata definitivamente dimostrata una
dipendenza fisica e
psicologico-comportamentale del tutto
simile a quella determinata da altre
sostanze stupefacenti, tanto da indurre
il Ministero della Salute ad inserire il
tabagismo nel capitolo delle dipendenze
tossiche.
In seguito a ciò è cambiata la
percezione sociale del fumatore che
viene spesso visto come essere
vulnerabile, soggetto a frequenti
disturbi dell’umore, con minore capacità
di coping, ossia di usare strategie di
fronteggiamento di situazioni
stressanti, con scarso
senso di autoefficacia.
Se a questo aggiungiamo il divieto di
fumo nei locali pubblici e negli uffici,
entrato in vigore in Italia nel gennaio
2005, che ha ridotto ulteriormente gli
spazi e le occasioni per poter fumare,
si comprende bene come il problema della
disassuefazione sia diventato
pressante per quella parte di fumatori
che si sentono discriminati, emarginati,
disapprovati, schiavi di una sostanza
che ha effetti negativi per sé e per gli
altri (fumo passivo).
Almeno il 40% dei fumatori italiani
pensa di smettere di fumare ed il 20% ci
prova, ma solo il 2 - 3% all’anno riesce
autonomamente ad abbandonare la
sigaretta e la maggior parte di coloro
che tentano di smettere incontra
difficoltà nel mantenere l’astinenza,
per cui le ricadute sono assai
frequenti.
Diventa conseguenziale, quindi, come sia
di fondamentale importanza, in termini
di salute pubblica, fornire aiuto ed
assistenza ai consumatori di tabacco che
desiderano smettere, ma non riescono a
farlo da soli.
Tra i vari interventi possibili di
disassuefazione, il modello integrato
(medico pneumologo e psicologo) è
ritenuto, dalla letteratura scientifica,
il più efficace perché interviene sui
due aspetti della dipendenza tabagica:
dipendenza fisica e dipendenza
psicologica.
In linea con gli indirizzi programmatici
internazionali, nazionali e regionali,
il CENTRO ANTI FUMO del
“Policlinico-Ospedale Pediatrico
Giovanni XXIII” di Bari (responsabile
dott.ssa Maria Grazia Foschino), in
collaborazione con l’AISA (Associazione
Italiana Studi Asmatici) ha attivato,
già dal lontano 1996, una serie di
iniziative nella lotta al tabagismo
nell’ambito dell’educazione, della
prevenzione e della disassuefazione.
Per quest’ultima è stato strutturato un
protocollo diagnostico e terapeutico
multidisciplinare con valutazioni
psicologiche e mediche.
Tale protocollo prevede varie fasi:
nella fase di accoglienza, al fumatore
vengono fornite tutte le informazioni a
lui necessarie circa le metodiche
utilizzate dal Centro, le procedure del
percorso di disassuefazione ed i tempi
previsti. Se il fumatore lo ritiene
opportuno formula la richiesta di
partecipazione compilando un
questionario anamnestico presso
l’ambulatorio del Centro.
La 2° fase (diagnosi integrata) prevede
l’incontro con lo psicologo, per il
colloquio motivazionale e la valutazione
della dipendenza, e con il medico
pneumologo per la valutazione medica
allo scopo di decidere insieme il
percorso terapeutico più indicato per
ogni
paziente.
La 3° fase è rappresentata dal percorso
terapeutico vero e proprio e cioè: la
terapia farmacologia, la terapia
sostitutiva alla nicotina ed i gruppi
psicologici di disassuefazione ad
orientamento cognitivo-comportamentale.
Le attività delle prime due fasi sono
completamente gratuite, le successive
sono effettuate in regime ambulatoriale,
con richiesta del medico di base e il
pagamento dei relativi ticket.
Sono stati attivati, finora, 25 “gruppi
psicologici di disassuefazione dal
fumo”, in cui sono stati registrati
risultati particolarmente incoraggianti.
Certo per dire “addio” alla sigaretta
l’aiuto specialistico è indispensabile
perchè offre maggiori garanzie di
successo, ma è praticamente quasi
impossibile fare smettere un fumatore
che non è motivato a farlo.
La valutazione della motivazione è,
pertanto, l’elemento che predice il
futuro esito del percorso di
disassuefazione e qualifica l’accesso al
Centro proprio perché indaga e
sottolinea, quando esiste una reale
motivazione a smettere, il ruolo attivo
e centrale
della persona che decide della propria
salute e che partecipa consapevolmente
al raggiungimento dell’obiettivo
concordato: diventare “non fumatore”.
Centro Anti
Fumo:
tel. 080.5596601
Da
NUOVA REALTA'
- Notiziario
dell'Associazione Bancari Cassa di
Risparmio di Puglia - UBI><Banca Carime,
Bari, numero 4, dicembre 2010
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