Dott. Massimo Ruggiero
Dirigente medico cardiologo UTIC Cardiologia P.O. "San Paolo" Bari
Dott.ssa Giovanna Lupis
Fisioterapista, gestalt counsellor
UTIC Cardiologia P.O. "San Paolo" Bari

 

L'interazione fra apparato cardiovascolare e psiche è nota da tempo ed è bidirezionale, in quanto se da una parte le emozioni e lo stress coinvolgono direttamente il cuore, dall'altra l'attività cardiaca può essere percepita dal soggetto come sintomi, quali palpitazioni, fìtte toraciche, ecc.
D'altronde nell'immaginario collettivo il cuore è il centro delle emozioni, "palpita per l'emozione, si ferma per la paura, si spezza per il dolore....", le persone generose hanno un "grande cuore" e così via all'infinito.
Dal punto di vista puramente scientifico, invece, possiamo considerare i rapporti psiche-cuore da due punti di vista.
Il primo è relativo agli aspetti psicosociali e comportamentali, fino alla vera e propria malattia psichiatrica, visti come fattori di rischio della malattia cardiaca in senso lato ed in particolare della malattia coronarica e della morte improvvisa.
Il secondo riguarda le interazioni tra sintomi depressivi e ansiosi che possono svilupparsi in un paziente in seguito ad un evento cardiaco (es. infarto miocardico), la successiva prognosi e i possibili interventi terapeutici farmacologici o psicoterapeutico/riabilitativi.
E' da tempo noto come gran parte dei pazienti affetti da malattia coronarica abbia una personalità definita, in ambito scientifico, "di tipo A": un'indole caratterizzata da ambizione, rabbia, ostilità, competitività, forte desiderio di successo.
Studi più recenti sembrano dimostrare che è proprio l'associazione rabbia/scarso supporto sociale a rappresentare una combinazione particolarmente pericolosa, potendo influenzare il nascere e sostenersi di altri fattori di rischio quali il fumo, la scarsa aderenza alle terapie, l'abuso di alcolici e così via.
I fattori psicosociali, quali l'isolamento, la mancanza di sostegno sociale, le tensioni lavorative, associate a stili di vita e comportamenti spesso poco salutari, aumentano il rischio di coronaropatia.
Anche la tensione lavorativa, intesa come associazione tra lavoro impegnativo e scarsa autonomia decisionale, appare associata ad un più alto rischio di coronaropatia.
Negli ultimi anni, ancora, l'AHA (American Heart Association) ha inserito tra i fattori di rischio cardiovascolare la DEPRESSIONE, al pari di fumo, ipercolesterolemia e sedentarietà.
La depressione, che già di per sé porta un carico di sofferenza e rende più intollerabili i sintomi cardiaci, rappresenta altresì un fattore di rischio per lo sviluppo di coronaropatia al pari di altri più classici fattori. Inoltre comporta un aumento della mortalità riferibile in particolare a morte improvvisa per aritmie, in maniera direttamente proporzionale alla gravità del disturbo depressivo.
I meccanismi correlati a questi eventi sembrano collegati con il sistema neuroendocrino e con l'aggregabilità piastrinica.
L'ansia cronica, le fobie, i disturbi da attacchi di panico sembrano anch'essi associati ad un aumento d'incidenza di coronaropatia con un incremento del rischio di 2,5 volte.
Infine, non va dimenticato il rapporto con eventi stressanti acuti, come dimostrato dall'aumento di incidenza di infarto miocardico dopo un lutto familiare, disastri naturali, guerre. Prove sempre maggiori sono a favore del rapporto tra eventi stressanti acuti ed aritmie cardiache. In tal senso è stata recentemente descritta una sindrome clinica (detta Tako Tsubo Syndrome) caratterizzata da disfunzione cardiaca ischemica acuta, in genere reversibile, in donne di mezza età sottoposte ad intenso stress emotivo.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, cioè il rapporto tra evento cardiaco acuto o cronico e successivo sviluppo di sintomi depressivi o ansiosi, possiamo dire che il contatto con la "malattia infarto" genera una significativa perdita di capacità personali date per scontate in precedenza e implica spesso un cambiamento di ruolo, e non intendiamo solo il passaggio dalla condizione di "non malato"' a quella di "malato". Frequentemente il cambiamento di ruolo è molto meno teorico e lo si nota sul luogo di lavoro e nei rapporti interpersonali; appare spesso una singolare instabilizzazione dei rapporti intrafamiliari e lavorativi che può portare a delle controversie che ostacolano il reinserimento del soggetto nella propria vita produttiva.
In questi casi è di aiuto la psicoterapia che può essere effettuata durante il periodo di riabilitazione (12-16 settimane), solitamente consigliato dopo l'evento acuto, anche al di fuori dell'ambito ospedaliero presso strutture ambulatoriali.
In questo contesto possono essere di aiuto i gruppi di ascolto e di "auto mutuo aiuto"; il SELF-HELP è una strategia di supporto già ben collaudata nei paesi anglosassoni. Da noi l'auto mutuo aiuto, inteso come supporto emotivo nel post-infarto, è acquisizione molto più recente.
Sul territorio italiano possiamo con sicurezza affermare che il gruppo A.M.A. CUORE BARI rappresenta un'esperienza pilota in tal senso.
A.M.A. CUORE (Auto - Mutuo - Aiuto) è un'associazione di volontariato nata dall'idea e dallo slancio di alcuni ex pazienti e di volenterosi "esperti del settore" ed ha sede nella nostra città di Bari.
Da oltre un anno, a cadenza settimanale, un gruppo di giovani cardiopatici, coadiuvati e "facilitati" dalla Dr.ssa Giovanna Lupis, si riunisce affrontando tematiche inerenti alla nuova condizione di cardiopatico ed al disagio emotivo legato al vissuto di malattia.
Abbiamo potuto constatare come il raccontare di sé, della propria esperienza "comune" (NARRAZIONE TERAPEUTICA) aiuti i componenti del cerchio ad affrontare nel miglior modo possibile la malattia, aprendo al CAMBIAMENTO e migliorando la COMPLIANCE e l'aderenza alla terapia.
Solo nel caso in cui la problematica si dimostri più grave, virando verso un disturbo depressivo maggiore, è necessario l'intervento dello specialista (psicologo/psichiatra).
Dal punto di vista del cardiologo possiamo asserire che la depressione post evento cardiaco comporta un aumento della mortalità cardiovascolare, è un fattore di rischio per eventi cardiaci futuri e che esiste una relazione lineare tra gravità della depressione e rischio di eventi successivi.
Un recente lavoro, condotto su pazienti con angina instabile, ha ulteriormente confermato il significato prognostico del disturbo depressivo in tali pazienti; ed infine un recente contributo ha dimostrato un aumento dei suicidi dopo infarto miocardico, in particolare nei paesi del Nord Europa.
Mentre il trattamento riabilitativo sembra comportare in questo contesto dei benefici, il trattamento psicofarmacologico, se si esclude il miglioramento sintomatologico, non ha dimostrato di migliorare la prognosi nei pazienti colpiti da un evento acuto.
In conclusione possiamo sostenere che, alla luce dei rapporti tra cuore e psiche, è necessario prestare maggiore attenzione a questi aspetti sia in termini di prevenzione primaria che dopo un evento cardiaco acuto, avendo a mente l'importanza riconosciuta del supporto psicologico e sociale che può comportare un beneficio sia a livello individuale che collettivo, con la riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare.

Da NUOVA REALTA' - Notiziario dell'Associazione Bancari Cassa di Risparmio di Puglia - UBI><Banca Carime, Bari, numero 1, marzo 2011

Segnala questa pagina ad un amico





Piazza Scala - aprile 2011