REVISIONISMO E RESISTENZA
Leggo su un
dizionario che il termine “revisionismo” indica
l'atteggiamento di chi intende correggere opinioni o
tesi ritenute correnti o dominanti.
Ma come si fa a stabilire se la suddetta “correzione” è
giusta, è corretta, è obiettiva, o se invece è di parte,
è prevenuta, è condizionata e chi è demandato a fare
questa difficile se non impossibile valutazione?
Esiste un revisionismo buono ed uno cattivo, uno
positivo ed uno negativo?
Cito Sergio Romano, dall'introduzione di ”Confessioni di
un Revisionista”:
“”Vi sono Paesi in cui “revisionismo” ha conservato
un significato negativo e porta cucito sul petto, anche
quando passa da un contesto all'altro, un marchio
d'infamia. Sono quelli il cui linguaggio politico è
stato marcato da una lunga presenza comunista. In Italia
ad esempio, l'aggettivo “revisionista” quando fu
applicato alle opere di Renzo De Felice sul fascismo
conteneva una nota di biasimo, era pronunciato a bocca
storta e suggeriva implicitamente ai lettori la stessa
cautela che i preti raccomandano ai loro allievi nel
momento in cui devono autorizzare la lettura di un libro
interdetto.””
E che dire del revisionismo attualissimo riferito a
Indro Montanelli, oggi non solo apprezzato, ma
addirittura osannato, da parte di molti che negli anni
'60/70 lo definivano fascista, lo denigravano e, nella
migliore delle ipotesi, tacevano sulla sua
gambizzazione?
Ed ora veniamo al revisionismo della Resistenza.
Credo che in Italia non ci sia più nessuno, se non
qualche indomito nostalgico, che non riconosca la grande
importanza che ha avuto per la “Liberazione”del nostro
Paese (così come di altri Paesi europei) dal giogo
nazi-fascista, il movimento della Resistenza; nessuno
che non sappia e non dia atto dei sacrifici, degli atti
di valore compiuti dai nostri partigiani, così come
delle discriminazioni, delle angherie, dei lutti e delle
stragi subite dagli stessi, dagli ebrei e da moltissimi
italiani “comuni” fra cui tanti bambini.
Fatta questa opportuna e sacrosanta precisazione, non
vedo perché si debba tacciare di revisionismo, dando al
termine un significato negativo come intendeva Sergio
Romano, chi oggi racconta (giornalista o storico che
sia) aspetti ed eventi negativi che non definirei di
poco conto che si sono verificati nel contesto (durante,
ma soprattutto dopo) di quella positivissima realtà che
era e rimane la Resistenza, eventi che, fino a qualche
anno fa, pochissimi italiani chissà perché
conoscevano.
A mio avviso, nel valutare questo così detto
revisionismo ci si deve porre un'unica domanda: chi
racconta queste cose dice la verità o ci propina delle
falsità?
Se questo signore opera senza preconcetti, se usa fonti
attendibili e ne fa una trascrizione corretta, se ci
racconta in buona sostanza fatti realmente accaduti,
allora io mi schiero dalla sua parte e mi considero un
revisionista (se proprio dobbiamo usare questo termine),
senza preoccuparmi della valutazione che si da alla
parola.
Gino
Luciani - 26 aprile 2009
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