"Ottocento", un'opera pop rappresentata

in prima assoluta il 7 agosto ad Otranto
 

Il 28 luglio 1480, al comando di uno dei più formidabili generali ottomani Gedik Ahmed Pascià, proveniente da Valona, si presentò sotto le mura di Otranto la possente flotta turca del sultano Maometto II con circa 150 navi con a bordo oltre 18.000 soldati turchi. L’attraversamento del Canale di Otranto era stato tranquillo grazie alla “neutralità” della Repubblica di Venezia.

I presunti diritti dei turchi sull’eredità dei Principi di Taranto fu il pretesto per l’attacco da parte di Maometto II le cui ambizioni però erano quelle di conquistare Roma e l’Italia.

Otranto rappresentava il luogo di sbarco più naturale in quanto la più vicina alle coste albanesi con un porto adatto alla flotta turca.

 

La città, con i suoi 6.000 abitanti circa, non riuscì ad opporsi a lungo allo strapotere del nemico, per cui la guarnigione comandata da Don Alfonso Duca di Calabria e tutti gli abitanti abbandonarono il borgo ritirandosi nella cittadella, cioè nel Castello di Otranto, mentre i turchi cominciarono le loro razzie nei casali vicini.

 

Gedik Ahmed Pascià che aveva chiesto invano la resa bombardò la cittadella con le artiglierie e, dopo due settimane di strenua resistenza da parte degli otrantini nella vana attesa di soccorsi, riuscì a sfondare le difese e ad espugnare anche il castello.

Si consumò un orrendo massacro: tutti i maschi di oltre 15 anni furono uccisi, mentre donne e bambini furono ridotti in schiavitù.

 

Ai superstiti e al clero che si erano rifugiati nella cattedrale a pregare fu ordinato di rinnegare la fede cristiana ma Gedik Ahmed Pascià, ricevendone un netto rifiuto, irruppe con i suoi uomini che commisero un’atroce carneficina. Furono tutti uccisi, l’arcivescovo fu sciabolato a fatto a pezzi con le scimitarre, mentre il suo capo mozzato fu infilzato su una picca e portato per le vie della città; il comandante della guarnigione fu segato vivo. La cattedrale in segno di disprezzo fu adibita a stalla per i cavalli.

 

Il secondo atto della tragedia venne consumato due giorni dopo il 14 agosto. Gedik Ahmed Pascià fece legare 800 otrantini che si erano rifiutati di abiurare la fede cattolica, li fece trascinare sul vicino colle della Minerva dove vennero decapitati.

Riconosciuti ufficialmente Martiri dalla Chiesa, le loro ossa si trovano in sette grandi armadi di legno nella Cappella dei Martiri ricavata nell’abside destro della cattedrale di Otranto.

 

 

 

Maria Corti (Milano, 1915 – Milano 2002), salentina d’adozione, è stata una filologa, critica letteraria, scrittrice e semiologa italiana, una delle voci fondamentali della cultura del Novecento.
Ha insegnato Storia della lingua italiana all’Università di Pavia e studiato, in particolare la poesia dello Stil Novo e la letteratura napoletana del 1400. E’ autrice, tra l’altro del romanzo “L’ora di tutti” (1962).
Questo libro tratta proprio della caduta di Otranto da parte dei Turchi e l’autrice in questo romanzo dà nome e voce a chi non c’è più, calando tutto nella realtà storica del tempo.
Non è una scrittrice pugliese, né salentina, ma ha avuto grande familiarità e dimestichezza con questa terra assorbendone gli umori, i colori, il modo di sentire, il linguaggio, usando nel romanzo espressioni colorite proprie di questi luoghi. Il linguaggio semplice e ricercato nello stesso tempo ricco di parole arcaiche, di motti latini, di modi di dire salentini conferisce un’immediata concretezza al racconto.
Sono cinque storie vissute dal di dentro, concatenate da vari motivi conduttori e narrate in prima persona dai protagonisti.
• Nella prima parte è narrata la vicenda del pescatore Colangelo (Mastrocola) che con i suoi compagni era di guardia sulle mura della città e per difenderla sacrificò la propria vita. «Gli ordini furono duri e diversi dalle idee nostre», dirà il pescatore subito dopo l’avvistamento delle navi turche, segnando così il confine tra chi è notabile e chi non lo è, tra chi dà gli ordini e chi li riceve!
• Il governatore di Otranto, Capitano Zurlo, anche lui morto in battaglia.
• Idrusa (tanto ricorrente nella toponomastica di Otranto detti “idruntini”), bellissima popolana, vedova di un uomo non amato che si uccide mentre cerca di salvare un bambino catturato da un soldato turco.
• Nachira, morto decapitato insieme agli 800 sul colle della Minerva e Don Felice Ayerbo d’Aragona, comandante della guarnigione.
• Aloise de Marco che racconta la rinascita della città dopo la liberazione dai turchi. Il finale di quest’ultima storia lascia intravedere il legame indissoluto ed indissolubile tra ieri ed oggi. «Solo i vivi contano gli anni».

Francesco Libetta (Galatone, Lecce, 1968) è un famoso pianista italiano. La sua formazione artistica si è sviluppata soprattutto in Francia e in Russia. Dopo essersi imposto all'attenzione internazionale nel 2000 al Miami International Piano Festival of Discovery, è stato invitato in stagioni concertistiche negli Stati Uniti, a Londra, Parigi, Stoccolma, Oslo, Barcellona, Hong Kong, Osaka e Tokyo. Si è esibito in alcune delle più importanti istituzioni musicali, quali il Teatro alla Scala di Milano - sia da solista che in quartetto con il Trio d'archi della Scala - e la Carnegie Hall di New York. Si cimenta per passione anche come "direttore d'orchestra" e "compositore".
Come musicista classico si è avvicinato al linguaggio pop, così come i cantautori hanno scoperto l’opera. Prima di tutto Riccardo Cocciante con Notre Dame de Paris e Lucio Dalla con Tosca. Solo che a differenza dei due, Libetta non è un cantautore, ma un pianista di fama internazionale che, con la supervisione di Franco Battiato, ha lavorato alle musiche di un’«opera popolare» intitolata Ottocento, racconto del martirio di Otranto tratto dal romanzo di Maria Corti “L’ora di tutti”.

La “prima” rappresentazione musicale e dialogata è avvenuta il 7 agosto scorso in una suggestiva cornice scenografica all’interno dei fossati del Castello di Otranto con la regia di Fredy Franzutti e la supervisione di Franco Battiato. «Non si tratta di un’opera che vuole fare intrattenimento, ma è uno spettacolo erede del melodramma; la trama che si snoda dalla scrittura di Maria Corti è stata rivista nel senso drammatico della parola. Non vogliamo risvegliare la paura verso il popolo turco, ma qui sono rappresentati i sentimenti di una comunità, quella salentina, che subisce l’invasione» ha così commentato il regista Fredy Franzutti. Le musiche, invece, non inquadrabili in uno stile ben preciso, recano comunque l’impronta della lezione di libertà che viene da Franco Battiato.
Lo schema dell’opera esce dai consueti stereotipi del Mezzogiorno sfruttato e dominato, per presentare quanto di più genuino questa terra salentina ha saputo mostrare nei secoli. E’ un Mezzogiorno che non piange e reclama, ma lotta e si afferma.
Ottocento propone i significati eterni della libertà e della fratellanza nella fede, dell’amor patrio impersonato dal Governatore, Capitano Zurlo, dell’amore, dell’indipendenza e dell’altruismo femminile della bella Idrusa.

 

 

Realizzato da Fernando Mazzotta - settembre 2009