IN MARGINE AGLI "EUROPEI" DI ATLETICA
 
Roma, settembre 1974.
I fuochi d'artificio disegnano variegati fiori luminosi nel cielo terso di Roma che sta vivendo un'interminabile estate. Gli ultimi spettatori lasciano lo Stadio Olimpico, suggestivamente illuminato anche da centinaia e centi­naia di fiaccole disposte ad anello lungo tutta la pista. Gli
« europei » di atletica sono finiti: il prossimo appuntamento è fra quattro anni a Praga, ma prima di allora ci sarà da vivere l'esaltante avventura di Montreal '76.
Forse poche persone, in Italia, ricordano la prima edizione dei giochi europei di atletica che si svolsero a Torino esattamente 40 anni fa. Vi assistettero non più di 2.000 spettatori. All'Olimpico, nei giorni scorsi erano presenti più di 40.000 persone.
A Torino dominarono finlandesi e tedeschi. Gli italiani furono poco più che comparse. Ogni tanto emergeva però un protagonista: Beccali, per esempio, che vinse con facilità la gara più prestigiosa, i 1.500 metri. Oggi a Roma i protagonisti sono stati — era scontato in partenza — gli atleti dell'Est. Ma dalle comparse italiane, anche questa volta, è spuntato più di un primattore. Parliamo di « Re Pietro ». Di Pietro Mennea è stato ormai detto tutto. Non è un atleta particolarmente ben dotato fisicamente. Non è alto e neppure slanciato, eppure in gara un'autentica esplosione di energia gli si trasmette alle giunture ed alle ossa.
Mennea ha vinto e perduto: in ogni caso ha sempre portato il suo contributo di medaglie alla nazionale azzurra. Ha vinto un titolo di Campione Europeo con relativa medaglia d'oro, si è classificato secondo sui 100 metri e nella staffetta 4 x 100 assieme ai bravi Oliosi, Benedetti e Guerini. In tutti i casi Mennea ha esaltato, ha strappato applausi e consensi, ha sbalor­dito. Ed ha soprattutto salvato la fragile navicella ita­liana da un naufragio mortificante.
Fiasconaro ha corso per se stesso e per il pubblico, cioè per vincere: e il pubblico lo ha sostenuto. Ha fallito, d'accordo. È pur anche vero, però, che ricorderemmo per molto tempo il favoloso primo giro della gara degli 800 metri da lui corso ad una velocità folle.
Pippo Cindolo ha commosso. Con i suoi baffi alla « cinese » ha conquistato un ottimo terzo posto e tutta la simpatia del pubblico. Cindolo è un modesto, come tutti i mezzofondisti, ha inoltre molta pazienta e spirito di sacrificio: è capace di allenarsi per 30 km. al giorno, da solo. A Roma ha vissuto, forse, « i momenti più memorabili della sua carriera », carriera che non gli ave­va dato finora delle grosse soddisfazioni, almeno in campo internazionale.
Anche Fava ha lottato duramente per una medaglia di bronzo senza riuscire nel suo intento. 1 3.000 siepi sono una corsa massacrante che il piccolo e tenace atle­ta ha portato a termine coraggiosamente senza risparmiarsi. Visini non è stato da meno, si è generosamente spremuto ed ha strappato un buon quarto posto nei 50 km. di marcia.
E veniamo al settore femminile. Sara Simeoni ha ottenuto una medaglia di bronzo nel salto in alto volando con stile perfetto fino a m. 1,89. Allenata dall' ex primatista Azzaro, la ragazza veronese ha saputo dare il meglio senza emozionarsi troppo. Paoletta Pigni ha invece deluso, forse « ridimensionata » dagli anni e da una stagione particolarmente sfortunata. È apparso uno spiraglio di speranza all'apparire di Gabriella Dorio, una diciassettenne che promette molto bene e che ha solo bisogno di fare esperienza.
Gli Europei per noi sono finiti qui, con un bilancio appena dignitoso. Abbiamo centrato cinque obiettivi. Pochi, se confrontati con il medagliere dei paesi dell' Est, in campo sportivo molto più evoluti di noi. Molti se si tiene conto che l'atletica azzurra è giunta all'appuntamento degli Europei dopo una stagione assai travagliata. Un oro, due argenti, due bronzi: un bottino che senz'altro non soddisferebbe la Germania Orientale, ma che per l'Italia ha un certo significato. Significa che abbiamo un velocista di valore mondiale, che qualcosa si sta finalmente muovendo anche nelle pesanti di­stanze da podismo, che anche le donne italiane non sanno fare solo « la calza ».
Una nota amara viene però dal pubblico, refrattario a capire che l'atletica è ben diversa da altri sport, quale ad esempio il calcio, dove le più elementari norme di civismo vengono calpestate in nome del tifo più acceso. Fischiare un atleta che sale sul podio dopo aver vinto è già un atto scarsamente sportivo, fischiarlo mentre si accinge a conquistare (nel salto in alto) un risultato di livello mondiale dopo mesi di paziente preparazione, denota mancanza di intelligenza e di sensibilità.
Ottorino Ascani (Milano)