DAVANTI A UN CAPOLAVORO
Neroccio de
Landi visse nel fulgore del Rinascimento (Leonardo e
Piero della Francesca gli furono contemporanei) ma ne
rimase del
tutto estraneo. Pittore e scultore di poca fama, umile e
modesto, fu un epigono fedelissimo della scuola senese,
di quella scuola che dalla lontana matrice bizantina
seppe elaborare, con Duccio, Simone e i Lorenzetti,
un'arte grandissima, che ora però si spegneva, perché
non più consona al linguaggio del tempo.
Egli fu dunque un artista fuori tempo, e par quasi
incredibile che, mentre dalla imperante cultura
umanistica sbocciavano nuovi canoni e modi artistici,
mentre si dipingevano le "Storie della Croce" di Arezzo
e V'Ultima Cena" di Milano, ci fosse chi restava devoto
e immutabile seguace dei modi antichi, dipingendo
Madonne come questa.
Subito al primo sguardo, in questa pittura, ci appaiono
i caratteri peculiari della tradizione bizantina-senese:
immaterialità delle figure, preziosismi stilistici e
cromatici, ritmi e cadenze lineari vòlti ad accentuare
la spiritualità delle figure stesse, la quale viene così
ad essere la nota dominante della rappresentazione.
Sul fondo d'oro, la figura della Vergine si staglia
nettamente per effetto del manto cupo che tutta
l'avvolge e la definisce. Gracile e acerba, essa reclina
appena il volto purissimo verso il Figlio e dai suoi
occhi socchiusi esce uno sguardo d'amore intenso, ma
velato di soave malinconia; la sua mano destra si posa
leggera sul fianco del bambino, la sinistra ne tiene una
manina e insieme sorregge un lembo del diafano velo che
avvolge il piccolo alla cintola. Diversamente dalla
madre, il Figlio è di solide fattezze: ritto su un
davanzale (o tavolo? ), volge il capo e uno sguardo
fermo e diritto alla madre, quasi a chiederle licenza di
benedire, atto a cui già si prepara la sua manina
destra.
In questa pittura tutto è coerente. La stilizzazione
delle forme, la cadenza avvolgente del manto bruno, la
delicata modulazione cromatica che dal roseo delle carni
passa per vari toni al rosso della veste, lo stacco
netto del bruno sul fondo d'oro caldo, il ritmo della
linea che unisce la Vergine al Figlio, la mano stupenda:
tutto questo concorre a creare un'immagine di religiosa
bellezza, al cui fascino non può sottrarsi chi guarda.
E per noi, invero, questa Madonna è un dono delicato e
soave: nella sua grazia quasi incorporea, nella sua
fragilità, nel suo spirituale candore, essa ci appare
come un fiore di campo, e di questo ha il profumo, la
poesia e l'incanto.
T.B.
(dal Notiziario n. 42 del maggio 1972 anno VIII)
|