UN "AMARCORD" DI VINCENZINO BARONE
Dopo mesi d’inaccettabile anonimato, qualcosa di buono era finalmente successo. Mosso forse a pietà per lo zelo mostrato (la sera prima, evasa le mia pila di pratiche, con le mani sporche di fuliggine avevo domandato dell'altro lavoro al maestoso ed inavvicinabile capo), il mio funzionario mi spedì all'economato per ritirare la dotazione mensile di cancelleria. Trovai lì un simpatico omarino, ben compreso nel suo ruolo di dispensatore, che controllò il modulo una mezza dozzina di volte. Quanta roba, osservò, con aria severa: una richiesta esagerata. Ci vorrebbe il visto del condirettore. Un sudore freddo mi discese lungo la schiena. Per favore, mi dia quel materiale; non posso tornare indietro senza la dotazione, nessuno mi ha detto di questo ulteriore passaggio. Sono stato assunto in banca da appena da quattro mesi...quello lì darà la colpa a me e mi terrà in piedi per un’ora davanti alla scrivania a ripetermi che la laurea non serve a niente e che lavurà è tutta un’altra cosa. In un angolino, si scorgeva un alberello di Natale in plastica, con quattro lampadine illuminate. D’impulso, cercai di commuoverlo: non mi faccia intossicare la festa, azzardai con voce malferma. Il viso dell’economo di rischiarò: va là, lo conosco bene io, il tuo superiore: burbero, ma non cattivo. Per questa volta, ti accontento, ma la prossima volta farete entrambi più attenzione. Mi accompagnò verso un confinante stanzone nel quale giaceva accatastato, tra gli altri, un cartone con sopra una fascetta con la scritta grossa “Sconti Incassi”. Prendilo, mi disse, e salutami il tuo capo. Ah, quello stanzone! Mi sembrò un forziere, la caverna di Alì Babà. Biro a mazzetti, forbici, timbri, gomme a lapis, pennarelli multicolori. Accatastata, una pila di agende riservate alla migliore clientela (allora s’usava). Avevo l’acquolina in bocca. L’uomo dell’economato mi sbirciò e disse sottovoce, con aria complice: “vien chi, ciapa un’agenda per te e una portala a tua madre. Mi raccomando, non farti vedere da nessuno!”. Ringraziai, commosso. Mi sembrò di aver consegnato, invece dell’arida richiesta burocratica, una letterina di desideri, ricevendo in cambio dal Babbo Natale/economo una strenna tutta particolare da parte della banca.
Vincenzo Barone
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Premetto che il diminutivo “Vincenzino” (o, “don Vincenzino”, che fa abito talare ed odora a mezzo tra la sacrestia ed il…”sistema meridionale”) lo debbo
esclusivamente alla Comit di Milano. Infatti, proprio così mi appellavano, già alla fine del 1971, presso l’Ufficio Contenzioso della Sede, primo lavoro regolarmente retribuito per quel giovanotto che ero allora. Mi ero laureato in Giurisprudenza e fui assunto dalla Banca in quanto Procuratore Legale (per la verità, avevo superato solo l’esame scritto, e sostenni poi gli orali con la casacca della Banca Commerciale). In precedenza, dal 1968 all’assunzione, avevo avuto il privilegio di operare quale assistente volontario del grande Maestro Renzo De Felice, presso la cattedra di Storia Contemporanea dell’Università di Salerno.
Piazza Scala - dicembre 2009