LA REPUBBLICA DI SALO' E LA
RESISTENZA
di Giacomo Morandi -
sesta puntata
Con l’inizio del 1944 le
brigate partigiane si rafforzarono e comparvero un po’
dappertutto, da Roma in su, ma specialmente sulle
montagne, e si diedero un’organizzazione militare. In
tutte le provincie si formarono Comitati di Liberazione
Nazionale, con la partecipazione di rappresentanti dei
partiti antifascisti, che coordinavano e controllavano
dalla clandestinità l’attività delle brigate di montagna
e dei gruppi operanti nelle città.
Nei primi tempi le
formazioni si armarono con colpi di mano alle caserme ed
ai depositi fascisti e tedeschi, poi cominciarono i
lanci dagli aerei alleati. I finanziamenti arrivavano in
parte dal governo del sud e da industriali e finanzieri
del centro nord.
Le formazioni partigiane non
avrebbero potuto sopravvivere sul territorio senza
l’appoggio delle popolazioni locali e dove questo
appoggio non ci fu perché qualche banda sconfinò in
azioni criminali che sporadicamente si verificarono qua
e la, le formazioni si sciolsero o furono sciolte per
l’intervento dei C.L.N. o di altre unità combattenti
della stessa zona o di zone limitrofe. Ciò accadde anche
nella Provincia di Piacenza, quando un gruppo dislocato
sulle colline della Val Tidone che si era dato a
requisizioni illegali e furti fu disarmato dal comando
della Divisione Giustizia e Libertà di Fausto Cossu ed
alcuni suoi membri furono giudicati da un tribunale
partigiano e fucilati.
Fino all’autunno del 1944 le
formazioni militari della Resistenza continuarono la
loro espansione in Piemonte, in Emilia, nell’alta
Lombardia, in Liguria, in Friuli, riuscendo ad
organizzarsi in vere e proprie grandi unità
discretamente armate ed equipaggiate, grazie ai
numerosissimi colpi di mano nei depositi militari, agli
agguati sulle principali vie di comunicazione ed ai
lanci dagli aerei alleati. Questi ultimi erano
effettuati con buona regolarità alle formazioni autonome
ed a quelle che non facevano capo al Partito Comunista,
un po’ più avare quelle a favore delle Brigate Garibaldi
che, appunto, erano considerate legate ai comunisti
anche se non sempre era vero, almeno per quanto
riguardava le idee politiche dei gregari (i comandanti
di queste brigate erano invece quasi tutti di tendenza
comunista, per quanto potesse allora valere tale
etichettatura).
Nell’Italia Centrale fu
particolarmente efficace, come riconobbero anche gli
alleati, il contributo dato dai partigiani alla
liberazione di Firenze, dove i combattimenti all’interno
della città durarono diversi giorni, e di molte altre
città in Toscana e nel resto dell’Italia Centrale.
Nonostante l’importanza
assunta dal movimento partigiano nell’Italia occupata
dai tedeschi, è innegabile che la maggioranza dei
giovani in età militare preferì nascondersi o trovare
soluzioni alternative allo schierarsi da una parte o
dall’altra e partecipare alla lotta. Molti riuscirono ad
imboscarsi nelle fabbriche o nelle varie organizzazioni
di lavoro, tirando a campare in attesa dell’arrivo degli
alleati. Il disgusto per la guerra, il decadimento dei
valori di solidarietà e del concetto di patria, il |
disorientamento causato dal
cambiamento di fronte, l’impopolarità del Fascismo, il
crescente odio per i tedeschi e l’ignoranza dei
concetti, nuovi per la maggioranza dei giovani, di
democrazia e libertà, determinarono un clima di
individualismo e menefreghismo generale in molta parte
della gioventù, cresciuta nella propaganda martellante
della dittatura.
Anche la generalità della
popolazione, specialmente i ceti medi delle città, era
combattuta fra il disperato desiderio della pace, con
l’arrivo degli alleati il più presto possibile, e la
paura e l’esecrazione dei bombardamenti aerei che gli
alleati avevano scatenato su tutte le città italiane e
non solo contro gli obiettivi militari, anche con scopi
terroristici, fra l’odio per i tedeschi che depredavano,
uccidevano, incendiavano e per i loro collaboratori
fascisti che spesso li superavano nel perseguitare la
popolazione e l’avversione per il comunismo, bestia nera
della borghesia italiana negli ultimi decenni. Molti
non avevano le idee chiare su che cosa fosse preferibile
per l’Italia, una vittoria degli alleati che ci avrebbe
privati delle colonie e forse, così temevano in molti,
ci avrebbe ridotti ad un paese di terza categoria o
addirittura ci avrebbe consegnati mani e piedi legati al
bolscevismo, oppure un trionfo tedesco che avrebbe fatto
dell’Italia un vassallo del nazismo, considerato di
razza inferiore come gli altri popoli soggetti d’Europa,
ed avrebbe perpetuato la dittatura fascista. Era una
situazione molto difficile, ma era la situazione in cui
il paese era stato cacciato dalla politica degli anni
precedenti.
La certezza dell’imminente
arrivo degli alleati, fino a tutto il mese di ottobre
del 1944, aveva comunque indotto parecchi giovani,
troppi, a salire in montagna. Molti di loro se ne
ritornarono ai loro nascondigli allo scatenarsi dei
rastrellamenti invernali e soltanto i più coraggiosi e i
più impegnati politicamente strinsero i ranghi e
resistettero fra mille privazioni, braccati dalle truppe
nazifasciste per tutto il successivo inverno, un inverno
eccezionalmente rigido e nevoso. Alla vigilia della
Liberazione, quando ormai la sconfitta tedesca era alle
porte, si verificò un ulteriore afflusso di gente verso
le zone partigiane dove nel frattempo, fra febbraio ed
aprile, si erano ricostituite e riarmate vere e proprie
unità militari. L’afflusso tardivo della vigilia e la
diserzione di fascisti di Salò dell’ultimo momento
permisero a molti, nel clima euforico della Liberazione,
di vantare meriti resistenziali. Così, spesso, va il
mondo.
Durante l’estate le brigate
partigiane, diventate in molte località divisioni, erano
riuscite a respingere i presidi tedeschi e fascisti
verso le pianure e ad occupare per alcuni mesi intere
vallate con i paesi e le cittadine di fondo valle. Alba
e quasi tutte le Langhe furono liberate, in Val d’Ossola
fu proclamata la repubblica partigiana, come anche in
tante altre zone dell’Emilia, del Veneto e del Friuli
dove le missioni militari alleate e del governo del sud
andavano e venivano. In alcune zone furono indette
elezioni amministrative. Tutti i comuni liberati ebbero
un loro sindaco e spesso una giunta comunale. Anche nel
piacentino le valli del Tidone, del Luretta, del Trebbia
e dell’Arda furono occupate in modo permanente da
presidi partigiani e le loro pattuglie si spingevano
fino alle porte di Piacenza. Di tanto in tanto i
fascisti ed i tedeschi compivano puntate offensive ma
erano sempre costrette a ritirarsi verso la città. Non
avevano più forze sufficienti a mantenere dei presidi ed
addirittura temevano un attacco al capoluogo della
provincia.
(continua) |