LA STORIA E IL
REVISIONISMO
Ho
letto su “Piazza Scala” l’analisi dell’amico Gino
Luciani sul “revisionismo” in tema di Resistenza,
Liberazione e postliberazione e vorrei fare qualche
puntualizzazione.
Anzitutto, ritengo che si possa parlare di revisione
della storia solo quanto la stessa è fatta da storici,
da studiosi che adottano il metodo scientifico, basato
su ricerche, su analisi, su testimonianze, su nuovi
documenti che modifichino in qualche modo i risultati e
le interpretazioni di studi precedenti. Tali nuovi
documenti, le testimonianze, le fonti vanno ovviamente
citati in modo da consentire il confronto con le tesi
precedenti e fornire la prova di quanto si afferma.
Ciò non è avvenuto ad opera di qualche scrittore,
giornalista, divulgatore che si è cimentato, in questi
ultimi anni, in esercizi pseudo storici con lo scopo,
ben evidente, di fare cassetta o addirittura, con
indubbio fiuto commerciale, di arricchirsi cavalcando
l’ignoranza della storia da parte di tanti lettori. Sono
così comparsi diversi libri dove si raccontavano fatti
avvenuti nei mesi successivi alla Liberazione ad opera
di gruppuscoli di ex partigiani o sedicenti tali in
alcune zone dell’Italia settentrionale (soprattutto in
Emilia Romagna) a danno di fascisti repubblichini,
possidenti, nemici personali. Fatti già ben noti a chi
si era dato la briga di leggere qualcosa su quel
periodo, come il sottoscritto. Fatti ampiamente
riportati da pubblicazioni liberamente circolanti, come
“Candido” di Guareschi, “L’Uomo Qualunque” di Giannini,
“Il Secolo d’Italia”, i giornali del M.S.I, i libri di
Giorgio Pisanò e da una miriade di pubblicazioni locali.
I libri di Pansa, molto venduti, hanno avuto l’indubbio
merito, è vero, di far conoscere quell’aspetto a molte
più persone, ma non hanno portato nulla di nuovo
nell’agone della storia anche perché hanno del tutto
ignorato il contesto nel quale quei fatti sono avvenuti,
quelle vendette sono state consumate e, soprattutto, se
avessero citato le fonti ed avessero citato bibliografie
e testimonianze serie, con nome e cognome, sarebbe stato
ancor più chiaro che gran parte delle notizie e delle
interpretazioni provenivano dalle parti lese o dalle
organizzazioni politiche di quella parte, spesso
riportate pari pari, senza spirito critico, con le
stesse parole. Se è revisionismo questo……..
Quel periodo storico, del resto, è conosciuto in modo
molto superficiale dalla massa, perché per ragioni
superiori, fra gli anni ‘50 ed i primi anni ’90, anche
per ragioni internazionali, la Resistenza, pur celebrata
formalmente dalle istituzioni, è passata in sordina,
nelle scuole e nella cultura dominante, e dopo il gran
lavaggio dell’amnistia postbellica, non si sono
perseguiti i criminali, la burocrazia è rimasta la
stessa di prima, i partigiani e gli oppositori del
fascismo sono stati più o meno emarginati.
Caro Luciani, d’accordo su De Felice (che del resto non
ha completato la sua opera e non ha potuto occuparsi del
periodo di Salò), ma chiamare revisionismo storico
quello di Pansa mi pare troppo.
Giacomo Morandi - aprile 2009
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