SOCRATE A CAVALLO

Giornale di viaggio in Italia (1580-1581): Firenze e Roma

Antologia di brani a cura di Lorenzo Milanesi

 

Firenze

«I signori d'Estissac e di Montaigne furono al pranzo del granduca, così infatti lo chiamano qui. Sua moglie era seduta al posto d'onore, poi il duca; dopo il duca, la cognata della duchessa, dopo di questa il fratello della duchessa, marito di quella».

[...]

«All'altro lato della tavola c'erano il cardinale e un altro giovane di diciotto anni, i due fratelli del duca. Portano da bere al duca e alla moglie in un bacile dove c'è un bicchiere scoperto colmo di vino, e una bottiglia di vetro piena d'acqua: essi stessi prendono il bicchiere di vino e ne versano quanto a loro sembra nel bacile, e poi loro stessi lo riempiono d'acqua, e rimettono il bicchiere nel bacile tenuto dal coppiere. Lui metteva parecchia acqua; lei quasi niente. Il vizio dei tedeschi di servirsi di bic­chieri grandi oltre misura è qui, al contrario, di averli straordinariamente piccoli».

[...]

[originale in italiano']

«Fra l'altra pompa si vedeva un carro in faccione [in sembianza] di teatro dorato di sopra, où [dove] erano quattro fanciullini, et un frate vestito, e che rappresentava S. Francesco, dritto, tenendo le mani come si vede dipinto, una corona sul cucullo: o frate, o uomo travestito da frate con una barba posticcia. Ci erano alcuni fanciulli della città armati, e fra loro uno per S. Giorgio. Li venne incontra alla piazza un gran drago assai goffamente appoggiato, e portato d'uomini, buttando foco per la bocca con rumore. Il fanciullo li dava della lancia, e della spada, e lo scannava».

[...]

«Dipoi pranzo si corse il palio dei barbi [barbieri]. Lo vinse il cavallo del cardinale de' Medicis. Vale questo palio scudi 200.  E' cosa poco dilettevole, perché, essendo su la strada, non vedete altro che passar in furia questi cavalli».

 

Roma

«Il 29 di dicembre [1580] il signor d'Albein, allora ambasciatore, un gentiluomo studioso e da lunga pezza amicissimo del signor di Montaigne, fu dell'avviso che questi baciasse i piedi al papa [Gregorio XIII]. Il signor d'Estissac e lui presero posto nella carrozza del detto ambasciatore. Quando costui venne ricevuto in udienza, li fece chiamare dal cameriere del papa. Essi trovarono il papa solo con l'ambasciatore, com'è usanza; egli ha presso di sé un campanello che suona per chiamare qualcuno. L'ambasciatore era seduto alla sua sinistra, scoperto; il papa infatti non si leva la berretta dinanzi a chicchessia, mentre nessun ambasciatore può avere la testa coperta in sua presenza. Entrò per primo il signor d'Estissac, poi dopo di lui il signor di Montaigne e poi il signor di Mattecoulon e il signor du Hautoy. Dopo un passo o due nella stanza, in un angolo della quale il papa è seduto, coloro che entrano - chiunque essi siano - mettono un ginocchio a terra e attendono che il papa dia loro la benedizione, ciò che egli fece: dopo di ciò si rialzano e s'incamminano fin verso la metà della stanza. I più, per il vero, non vanno diritti verso di lui percorrendo la stanza di traverso, ma al contrario piegano un poco lungo il muro e, fatto il giro, si dirigono direttamente a lui. A mezza strada tornano a genuflettersi su un ginocchio e ricevono la seconda benedizione. Ciò fatto vanno verso di lui fino a un tappeto felpato steso a sette od otto piedi dinanzi a lui. Al bordo di questo tappeto si mettono ginocchioni. A quel punto l'ambasciatore che li presentava piegò un ginocchio a terra e rialzò la veste del papa dal suo piede destro, calzato d'una pantofola rossa con sopra una croce bianca. Coloro che sono inginocchiati stanno in questa posizione fino al suo piede e si piegano a terra per baciarlo. Il signor di Montaigne diceva ch'egli [il papa] aveva alzato un poco la punta del piede. Si fecero posto l'un l'altro, traendosi da parte, per baciare sempre nello stesso punto. Ciò fatto, l'ambasciatore ricoprì il piede del papa e, rimessosi nella sua sedia, gli disse quanto gli sembrò necessario per raccomandare i signori d'Estissac e di Montaigne. Il papa, con viso cortese, incitò il signor d'Estissac allo studio e alla virtù, e il signor di Montaigne a continuare nella devozione da lui sempre dimostrata alla Chiesa e al servizio del re cristianissimo; e [aggiunse] che volentieri li avrebbe favoriti ove possibile: questi sono servigi di frasi italiane [amabilità senza conseguenze]. Loro non pronunciarono verbo e, ricevuta, prima di alzarsi, un'altra benedizione, che è il segnale del congedo, rifecero la stessa strada.... ma l'uso più comune è di tornare indietro rinculando o almeno di ritrarsi di fianco, in modo da guardare sempre in viso il papa. Come a metà strada nell'andata, si rimisero con un ginocchio a terra ed ebbero un'altra benedizione e, sulla porta, ancora su un ginocchio, l'ultima benedizione».

      [...]

«Il 3 di gennaio 1581 il papa passò davanti alla nostra finestra. Marciavano davanti a lui circa duecento persone a cavallo della sua corte... Accanto a lui stava il cardinale de' Medici, che lo intratteneva a capo coperto, e lo conduceva a pranzo a casa sua. Il papa aveva un cappello rosso, la tunica bianca e un cappuccio di velluto rosso come al solito; montava una chinea bianca bardata di velluto rosso, frange e passamanerie d'oro. Monta a cavallo senza aiuto di scudiero, nonostante i suoi ottantuno anni [per la verità, settantanove]. Di quindici in quindici passi impartiva la benedizione. Dopo di lui avanzavano tre cardinali, e poi circa cento uomini d'arme, lancia alla coscia e armati di tutto punto, salvo la testa. Vi era pure al seguito un'altra chinea di uguale bardatura, e due portabagagli che avevano all'arcione della sella alcune valigie».

[...]

«Quello stesso giorno io vidi uccidere due fratelli, anziani servitori del segretario del castellano, che qualche giorno prima l'avevano ammazzato, di notte, in città, dentro il palazzo stesso di detto signor Jacopo Buoncompagno, figlio del papa. Li atta­nagliarono, poi mozzarono loro le mani dinanzi al detto palazzo, e sulla piaga fecero mettere certi capponi uccisi e sventrati sul momento. Furono uccisi sopra un patibolo, prima storditi da una grande mazza di legno e poi subito sgozzati: è un supplizio che dicono usato talvolta a Roma; alcuni ritenevano che fosse stato conformato al crimine, giacché in quello stesso modo avevano ucciso il loro padrone».

 

 

 

 

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Piazza Scala - aprile 2010