Lorenzo Milanesi - Montaigne - Socrate a Cavallo (Rubbettino Editore)

IL RITO DELLA CIRCONCISIONE (da MONTAIGNE - Socrate a Cavallo)
«.. .andò a vedere la più antica cerimonia religiosa che vi sia fra gli uomini, e l'osservò molto attentamente e con ogni sua comodità: è la circoncisione dei giudei. Aveva già visto un'altra volta la loro sinagoga, un giorno di sabato mattina, e le loro preghiere durante le quali cantano disordinatamente - come nella chiesa calvinista - certi versetti della Bibbia in ebraico, adattiai tempi... Nel pomeriggio i loro dottori fanno a turno lezioni, in italiano, sui versetti della Bibbia di quel giorno. Dopo la lezione, qualche altro dottore presente sceglie uno degli uditori, due o tre volte di seguito, per farlo argomentare contro colui che ha fatto la lettura e su ciò che ha detto. Quello che udimmo gli parve avere molta eloquenza e molto spirito nella sua argomentazione. Ma, quanto alla circoncisione, l'eseguono nelle case private, nella stanza dell'alloggio del bambino, la più comoda e chiara. L'alloggio dove fu lui [Montaigne] era assai scomodo [per cui] la cerimonia si svolse all'entrata della porta. Danno ai fanciulli un padrino e una madrina, come noi: il padre assegna il nome al bimbo. Essi lo circoncidono l'ottavo giorno della sua nascita. Il padrino si siede sopra un tavolo e mette un cuscino sulle sue ginocchia: la madrina gli porta là il fanciullo e poi se ne va. Il piccolo è fasciato alla nostra maniera; il padrino lo sfascia dal basso,
e subito i presenti e colui che deve fare l'operazione cominciano tutti insieme a cantare, e accompagnano con canzoni tutto questo lavoro che dura meno di un quarto d'ora. L'officiante può non essere rabbino, ma uno chiunque di essi; ciascuno desidera essere chiamato a questo ufficio, perché essi ri¬tengono sia una grande benedizione di esservi spesso impiegati; anzi pagano per essere invitati e offrono chi un abito, chi qualche altro oggetto utile al bambino; e pensano che chi ne ha circoncisi fino a un certo numero che loro sanno, dopo morto ha il privilegio che le parti della bocca non saranno mai mangiate dai vermi. Sul tavolo dove è seduto il padrino è nello stesso tempo pronto tutto ciò che è utile a questa operazione. Oltre a ciò un uomo tiene nelle sue mani una fiala piena di vino e un bicchiere. In terra c'è poi un braciere, al quale l'officiante si scalda per prima cosa le mani; e poi trovando questo bambino tutto nudo mentre il padrino lo tiene sulle ginocchia con il capo verso di sé, gli prende il membro e con una mano tira a sé la pelle esterna, spingendo in dentro con l'altra il glande e il membro. All'estremità della pelle verso il glande mette uno strumento d'argento che la trattiene là, e impedisce che, tagliandola, si venga a ferire il glande o la carne. Dopo di che taglia con un coltello questa pelle, la quale subito si sotterra nella terra contenuta in una bacinella, con altri apparecchi di questo mistero. Dopo di ciò l'officiante strofina con le unghie qualche altra pellicoletta che è sul glande e la lacera a forza, e la spinge indietro al di là del glande. Sembra che vi sia grande sforzo e dolore; tuttavia essi non trovano nulla di pericoloso, e la piaga guarisce sempre in quattro o cinque giorni. Il pianto del bimbo è analogo a quello dei nostri che si battezzano. Non appena il glande è così scoperto, subito offrono del vino all'officiante che ne mette un poco in bocca, va così a succhiare il glande insanguinato del bimbo, sputa il sangue succhiato, e immediatamente riprende altrettanto vino per tre volte. Ciò fatto, gli offrono, in un involtino di carta, della polvere rossa che dicono essere sangue di drago, con cui cosparge e copre tutta la piaga; poi fascia accuratamente il membro del bimbo con pannolini tagliati appositamente. Quindi gli offrono un bicchiere di vino che lui benedice, così dicono, per mezzo di certe orazioni che recita. Ne prende un sorso e poi, bagnando il dito, con esso ne porta tre volte qualche goccia da succhiare nella bocca del bambino; e questo bicchiere, nel medesimo stato, lo mandano dopo alla madre e alle donne che sono in qualche altra parte dell'appartamento, per bere ciò che resta del vino. Oltre a ciò, un terzo prende uno strumento d'argento, rotondo come una palla, attaccato a un lungo manico, che è perforato di piccoli buchi come i nostri bracieri da profumi, e lo porta al naso in primis dell'officiante, poi del bimbo e infine del padrino: così presumono che siano odori per fortificare e illuminare gli spiriti nella devozione. Nel frattempo egli [l'officiante] ha sempre la bocca insanguinata»

Antesignano del "gran tour", Montaigne, assetato di conoscenza, attraversa la Francia, la Svizzera, sfiora la Germania meridionale e l'Austria e, infine, giunge in Italia da Vipiteno. Toccherà le principali città del nord-est e poi, dopo Bologna e Firenze, arriverà alla sospirata Roma, della quale brama diventare, riuscendovi, cittadino onorario.
Osservatore curioso e attentissimo, nulla si lascerà sfuggire. Cosi, ci consegnerà immagini indelebili dei personaggi incontrati casualmente e di quelli volutamente cercati, fino al papa Gregorio XIII. Ci descriverà, con maestria insuperata, le località di rilievo culturale e artistico (con buona pace di Stendhal), nonché gli ambienti, i paesaggi, le accoglienze, i caratteri delle popolazioni e perfino i riti, i cibi, le feste, le costumanze, le bellezze delle donne e dei luoghi, senza trascurare - ove li ha incontrati - gli inevitabili disagi. E, costretto dalla personale, ereditata insufficienza renale, si dilungherà nella descrizione delle tante località termali e, con perizia specialistica, della patologia e delle terapie sperimentate.
Il lungo viaggio, durato 17 mesi a cavallo del 1580-81, si distinguerà comunque come uno spaccato, una nitida fotografia dell'Italia qual era sotto l'ennesima dominazione straniera e dello Stato Pontificio.