IL LAVORO: nuovi modelli e vecchie ricette - di Gennaro Angelini
(da NUOVA REALTA'  n.ro 2 del Giugno 2008)

Il mondo del lavoro e le condizioni dei lavoratori, nei vari settori in cui essi sono impegnati, ten­dono sempre più ad assumere i contorni di "questione".
Accezione questa che nel linguaggio socio politico sta a significare l'esistenza di un problema.

Un problema che ha scala­to prepotentemente la classifica degli interessi nazionali
e che nelle sue diverse componenti ingenera ormai forti preoccupazione in ogni settore della società.Le cause sono molteplici ma gli effetti, come in tutti i problemi che attengono alla vita sociale di un Paese, interessano più da vicino le fasce deboli della popolazione.
Proprio quest'aspetto, però, produce una distorsione nell'approccio alla discussione poiché, in una nazione troppo spesso impe­gnata in campagne elettorali, la (rio)organizzazione del welfare è materia di grande richiamo politico e quindi facilmente fagocitata dai programmi dei partiti, perlopiù a fini elettorali.
Il problema è quindi eliminare la cifra di retorica con la quale si affronta la questione, per
porre al centro del dibattito le difficoltà che nella vita reale sono costretti ad affrontare milioni di lavoratori e pensionati con le rispettive famiglie.
Le maggiori preoccupazioni riguardano senza dubbio i giovani e le future generazioni, impegnati in una difficile contesa volta ad evitare l'assuefazione alle condizioni di precariato vitalizio.
Le flessibilità
introdotte nell'accesso al mondo del lavoro, se per un verso aiutano l'inserimento dei giovani nell'universo lavorativo, per altro verso, se utilizzate in modo distorto, generano precarietà e instabilità.
Non di rado si assiste oggi al fenomeno di giovani lavoratori che per svariati anni sono costretti a prestare la loro opera in condi­zioni di disagio, investendo risorse ed energie non già nella formazione e nella crescita professionale, ma nella ricerca di una stabilità sociale, economica e professionale.
Triste fenomeno che sacrifica le migliori energie sull'altare della competitività globalizzata, in ragione di una logica perversa che premia non il merito o la competenza (magari si arrivasse a dimostrarla!) ma il minor costo.
Ma non è di secondaria impor­tanza la condizione di
chi, espulso non più giovanissimo dal mondo del lavoro, è costretto a riconquistare dignità e un posto di lavoro in un mondo in cui l'offerta si basa sui costi e non già sulla capacità. E, a parità di costi, la scelta difficilmente premia l'età matura e il connesso background di regole e diritti.
Si alimentano così conflitti generazionali.

E si crea una spirale perversa che, anziché indurre le componenti del sistema a lavorare in maniera complementare e funzionale al raggiungimento di obiettivi di crescita generalizzata, le pone in competizione tra loro. Con il paradossale risultato che il sistema, in assenza di regole condivise, si indebolisce.

E genera comportamenti contraddittori da parte di
ognuna delle parti in causa: aziende che nello stesso tempo dichiarano esuberi e assumono con strumenti contrattuali flessibili; sindacati che da una parte devono tutelare gli interessi dei lavoratori attivi e dei pensionati e dall'altra difendere le ragioni dei disoccupati e dei precari; apparato statale che, mentre attua provvedimenti volti a differire l'età pensionabile per contenere la spesa previdenziale, è costretto a varare ammortizzatori sociali che favoriscono i pensionamenti anticipati.
Atteggiamenti irrazionali che espongono con una certa efficacia le contraddizioni di un sistema che difetta della capacità di trovare corrette risposte alle domande poste dalla pluralità delle sue componenti.

Si opera ormai, in campo sociale, in funzione del minor danno possibile.

Ma se è vero che lo
"Stato sociale" è il sistema che si propone di garantire diritti considerati essenziali per un tenore di vita accettabile, è anche vero che l'interazione tra Sistema produttivo e Sistema Istituzionale non può essere considerata una variabile indipendente dalle condizioni sociali che determina.
L'impressione, purtroppo, è che nel vorticoso periodo storico che stiamo vivendo, caratterizzato da elementi di complessità non sperimentati (si pensi per tutti alla globalizzazione e all'espansione di nuovi mercati non regolamentati che hanno imposto una spirale competitiva tutt'altro che virtuosa ai sistemi imprenditoriali storicamente definiti),
non si abbia la capacità di gestire la portata di tali fenomeni, con la conseguenza che le componenti più deboli del sistema sono chiamate a sopportare costi - in termini di qualità della vita - tutto sommato sproporzionati rispetto al loro ruolo sociale.

Gennaro Angelini