Il mondo del lavoro e le condizioni dei lavoratori,
nei vari settori in cui essi sono impegnati,
tendono sempre più ad assumere
i
contorni di "questione".
Accezione questa che nel linguaggio socio politico
sta a significare l'esistenza di un problema.
Un problema che ha scalato prepotentemente la
classifica degli interessi nazionali
e
che nelle sue diverse componenti ingenera ormai
forti preoccupazione in ogni settore della
società.Le cause sono molteplici ma
gli effetti,
come in tutti
i
problemi che attengono alla vita
sociale di un Paese,
interessano più da vicino le fasce deboli della
popolazione.
Proprio quest'aspetto, però, produce una distorsione
nell'approccio alla discussione poiché, in una
nazione troppo spesso impegnata in campagne
elettorali, la (rio)organizzazione del welfare è
materia di grande richiamo politico e quindi
facilmente fagocitata dai programmi dei partiti,
perlopiù a fini elettorali.
Il problema è quindi eliminare la cifra di retorica
con la quale si affronta la questione, per
porre al centro del dibattito le difficoltà che
nella vita reale sono costretti ad affrontare
milioni di lavoratori e pensionati
con le rispettive famiglie.
Le
maggiori preoccupazioni riguardano senza dubbio
i
giovani e le future generazioni,
impegnati in una difficile contesa volta ad evitare
l'assuefazione alle condizioni di precariato
vitalizio.
Le flessibilità
introdotte nell'accesso al mondo del lavoro, se per
un verso aiutano l'inserimento dei giovani
nell'universo lavorativo, per altro verso, se
utilizzate in modo distorto,
generano precarietà e instabilità.
Non di rado si assiste oggi al fenomeno di giovani
lavoratori che per svariati anni sono costretti a
prestare la loro opera in condizioni di disagio,
investendo risorse ed energie non già nella
formazione e nella crescita professionale, ma nella
ricerca di una stabilità sociale, economica e
professionale.
Triste fenomeno che sacrifica le migliori energie
sull'altare della competitività globalizzata,
in
ragione di una logica perversa che premia non il
merito o la competenza (magari si arrivasse a
dimostrarla!) ma il minor costo.
Ma non è di secondaria importanza la condizione di
chi, espulso non più
giovanissimo
dal
mondo
del lavoro, è costretto a riconquistare dignità e un
posto di lavoro
in
un mondo in cui l'offerta si basa sui costi e non
già sulla capacità. E, a parità di costi, la scelta
difficilmente premia l'età matura e il connesso
background di regole e diritti.
Si alimentano così conflitti generazionali.
E si crea una spirale perversa che, anziché indurre
le componenti del sistema a lavorare in maniera
complementare e funzionale al raggiungimento di
obiettivi di crescita generalizzata, le pone in
competizione tra loro. Con il paradossale risultato
che il sistema, in assenza di regole condivise, si
indebolisce.
E genera comportamenti contraddittori da parte di
ognuna delle parti in causa:
aziende
che nello stesso tempo dichiarano esuberi e assumono
con strumenti contrattuali flessibili;
sindacati
che da una parte devono tutelare gli interessi dei
lavoratori attivi e dei pensionati e dall'altra
difendere le ragioni dei disoccupati e dei precari;
apparato statale
che, mentre attua provvedimenti volti a differire
l'età pensionabile per contenere la spesa
previdenziale, è costretto a varare ammortizzatori
sociali che favoriscono i pensionamenti anticipati.
Atteggiamenti irrazionali che espongono con una
certa efficacia le contraddizioni di un sistema che
difetta della capacità di trovare corrette risposte
alle domande poste dalla pluralità delle sue
componenti.
Si opera ormai, in campo sociale, in funzione del
minor danno possibile.
Ma se è vero che lo
"Stato sociale"
è
il sistema che si propone di garantire diritti
considerati essenziali per un tenore di vita
accettabile, è anche vero che l'interazione tra
Sistema produttivo e Sistema Istituzionale non può
essere considerata una variabile indipendente dalle
condizioni sociali che determina.
L'impressione, purtroppo, è che nel vorticoso
periodo storico che stiamo vivendo, caratterizzato
da elementi di complessità non sperimentati (si
pensi per tutti alla globalizzazione e
all'espansione di nuovi mercati non regolamentati
che hanno imposto una spirale competitiva tutt'altro
che virtuosa ai sistemi imprenditoriali storicamente
definiti),
non si abbia la capacità di gestire la portata di
tali fenomeni,
con la conseguenza che le componenti più deboli del
sistema sono chiamate a sopportare costi - in
termini di qualità della vita - tutto sommato
sproporzionati rispetto al loro ruolo sociale.
Gennaro Angelini