Abbiamo il piacere di offrire ai nostri lettori un'intervista all'amico Giacomo Morandi comparsa sul quotidiano piacentino "Libertà" il 6 aprile 2010.
Giacomo è presente molto spesso su su Piazza Scala: oltre a numerosi racconti (alcuni scherzosi) e articoli, abbiamo pubblicato a puntate "La Repubblica di Salò e la Resistenza" e, sempre a puntate, stiamo pubblicando "Il libro della V classe elementare", uno spaccato dell'era fascista attraverso un libro di testo delle scuole elementari dell'epoca.
Piazza Scala aprile 2010

 

 

Morandi: "La mia avventura in un mondo che è cambiato"
Il piacentino Giacomo Morandi ha alle spalle una brillante carriera nelle banche mondiali,

oggi è tornato nel Piacentino e coltiva la sua passione di sempre: la scrittura
 

di ELEONORA BAGAROTTI


 

Gli piace scrivere.  Sarà perché Giacomo Morandi, di origini piacentine e residente a Rivergaro,  ha avuto un'esistenza "piena", che lo ha portato, con la sua famiglia, a trasferirsi per lavoro in molte capitali europee e poi in America e in Canada (le tappe sono state tutte riportate, negli anni addietro, dal quotidiano "Libertà", con tanto di fotografie d'epoca). Il tutto, dopo aver vissuto le difficoltà legate alle guerra ma soprattutto le speranze e la voglia di vivere, l'entusiasmo del dopoguerra.

 

Morandi, da sempre appassionato di scrittura, ha raccolto alcuni ricordi di famiglia, ricostruzioni storiche e le sue opinioni in alcuni volumi che risultano effettivamente come tanti ritratti epocali, testimonianze di vissuti ma anche di società e di culture tanto diverse fra loro. E lo ha fatto con un occhio rivolto all'integrazione possibile e alla speranza di convivenza pacifica, sperimentate da lui stesso e dalla sua famiglia.

Approfondiamo questi ultimi argomenti insieme all'autore, al quale chiediamo anche di scegliere i ricordi e gli aneddoti più significativi.

Morandi, cosa l'ha spinta a pubblicare libri sulle sue storie di famiglia fra guerra e dopoguerra?

«Ho sempre avuto passione a scrivere. Già durante la mia adolescenza scrivevo brevi poesie, racconti e tenevo un diario quasi quotidiano, dall'età di 12 anni. Continuai ad annotare i fatti e gli avvenimenti che riguardavano la mia vita di tutti i giorni, la scuola, i primi amoruzzi, la guerra, la Resistenza che io vissi intensamente anche perché mio padre fu perseguitato  e, dopo un breve periodo in carcere a causa del suo antifascismo, dovette fuggire in montagna ed io lo seguii, anche per assisterlo perché era già anziano. Purtroppo i numerosi quaderni del mio diario e tutti i miei scritti andarono perduti nel 1975 quando la banca per la quale lavoravo mi trasferì a New York da Londra, dove avevo trascorso più di tre anni. Il trasloco con tutte le mie cose sparì nella gran bolgia del porto di New York e nulla fu più ritrovato. Scrivevo anche sui giornalini studenteschi e, dopo la guerra, inviai alcune corrispondenze a giornali nazionali e locali. Seguii  il processo contro un gruppo di braccianti che avevano occupato abusivamente terre demaniali a Mortizza ed inviai la corrispondenza a un quotidiano di Milano, che la pubblicò. Collaborai anche con un settimanale piacentino che si chiamava "La bomba atomica" durante la sua breve vita».

E poi?

«Al mio pensionamento, nel 1993, pensai di ricostruire, per quanto possibile dato il tempo trascorso, le mie memorie e ne ricavai un primo libro, I miei anni  difficili, in cui narrai per sommi  capi gli avvenimenti fra il 1942 e il 1947. Un capitolo su alcune mie vicissitudini durante il grande rastrellamento invernale nel Piacentino del novembre 1944-febbraio 1945 fu pubblicato in due puntate su "Libertà".  Ciò mi spinse a scrivere sul nostro quotidiano, con interventi riguardanti vari argomenti, dalla cronaca locale alla politica, l'economia, la finanza e la Resistenza, partecipando a dibattiti e a qualche polemica su argomenti di attualità. L'ho fatto, negli ultimi 15-16 anni, con costanza e, ritengo, con equilibrio, pungolato da altri interessanti interventi che arricchiscono sempre le pagine di "Libertà". Naturalmente, ho sempre firmato i miei interventi e non ho nascosto le mie idee politiche. Ho poi messo nero su bianco un po' di storia della mia vita di lavoro, dal 1947 al 1993, legandola agli avvenimenti familiari,  fra Piacenza, Milano, Londra, New York, Toronto, Montreal, Parigi... Ho stampato i miei libri ma non li ho messi in circolazione, riservandoli  a familiari e pochi amici. Ho poi prodotto altri scritti, racconti più o meno scherzosi, ma non li ho pubblicati».

Nei suoi libri emerge soprattutto la descrizione, attraverso l'esperienza diretta, di passaggi storici cruciali così come il desiderio di "risalire la china" in un'Italia che si era lasciata la guerra alle spalle.

«E' effettivamente un peccato che si siano persi i miei diari (che rimpiango - insieme a lettere, documenti, fotografie - più di ogni altra cosa di valore). Mia moglie e le mie tre figlie soffrirono con me la perdita, soprattutto per i ricordi e gli affetti che quelle cose ci ricordavano. Certo, la guerra aveva provato anche noi ragazzi.  Avevamo perduto qualche anno della nostra età migliore ma eravamo maturati, nelle privazioni e nei pericoli, forse più in fretta. Avevamo gioito della Liberazione, con la voglia di ricominciare una vita normale, le cose che andavamo a scoprire, la libertà, nuovi modi di divertirci, le ragazze, la cultura, la normalità a scuola e nella vita, la ricostruzione, e poi il lavoro, inizialmente molto difficile da trovare, e, perché no, la politica, espressa finalmente in tendenze diverse, anche appassionatamente  avverse  l'una all'altra, ma libere».

Una passione ben diversa rispetto ai nostri giorni.

«Ci eravamo divisi, quasi subito, fra le diverse ideologie - comunisti, socialisti, democristiani - con diverse sfumature,  partecipavamo ai dibattiti anche nei capannelli in piazza e si finiva per litigare, ma era un esercizio che ci appassionava. Anche la religione era vissuta più libe-ramente e intensamente di oggi.  Si andava alle processioni e alle funzioni del mese di maggio, non tutti ma molto più di adesso. Anche gli scioperi e le manifestazioni di piazza erano una novità, vissuti con più fervore, spesso con atteggiamenti estremi.  Le classi lavoratrici potevano finalmente rivendicare un tenore di vita più umano, la lotta di liberazione li aveva resi consci dei loro diritti e lo sviluppo tumultuoso del paese negli anni '50-'70 aveva diffuso il benessere ad ampi strati della popolazione. Molti di noi aderivano ad ass-ciazioni, circoli, partiti politici, azione cattolica».

Lei ha vissuto e lavorato in molti Paesi diversi...

«Se rivolgo lo sguardo all'indietro, non posso che dichiararmi fortunato. Ho avuto molte opportunità che altri non hanno avuto. Anzitutto in famiglia: ho sempre avuto l'appoggio e il sostegno della donna che ho sposato nel 1957, che mi ha incoraggiato anche nei momenti di sconforto e pessimismo e mi ha aiutato anche nel lavoro, seguendomi entusiasticamente ovunque andassi.  Sono stato fortunato con le mie tre figlie che, è vero, ho sballottato fra un paese e l'altro, al di qua e al di là dell'oceano, da una scuola all'altra, da un gruppo di amici all'altro. Anche loro peraltro hanno acquisito conoscenze e mentalità impagabili. Si parla di una proposta da parte del governo di istituire classi separate per i bambini  figli d'immigrati.  Le mie figlie, all'arrivo in Inghilterra nei primi anni '70, non parlavano inglese. Furono integrate subito nelle scuole statali inglesi, ai primi di settembre, e aiutate ad apprendere la lingua, ad inserirsi e a sentirsi uguali agli altri bambini. A Natale il principal  della scuola, durante la cerimonia di auguri disse davanti a tutti, magari esagerando un po', che le mie figlie parlavano ormai inglese meglio di tanti bambini inglesi. Ho lavorato per molti anni in una banca, come impiegato e poi capo dell'ufficio estero, fra Milano e Piacenza e, tutto consi-derato, mi andava bene così. Mia moglie era insegnante, ci eravamo costruiti una casa, la mia famiglia possedeva una seconda casa a Rivergaro, io ero appassionato di caccia e pesca. Andò bene per parecchi anni, ma la banca (che aveva una presenza internazionale) mi  fece capire che, se volevo avanzare in carriera, dovevo per forza mettermi a disposizione per un trasferimento e, date le mie competenze, in una delle filiali estere. Era duro rinunciare a Piacenza, Rivergaro, alla caccia e alla pesca, al lavoro di mia moglie, agli amici... ».

Però poi ha accettato.

«Le pressioni si fecero forti e anche la tentazione di un'interessante avventura. Accettai un primo trasferimento a Milano, poi Londra (3 anni), New York (4), Toronto (6), Parigi (2) e gli ultimi 6 alla Direzione centrale di Milano, prima del pensionamento. Esperienze diverse e molto positive, alcune entusiasmanti, come la costituzione da zero di una banca in Canada, con filiali in varie zone di quel grande e civile Paese, in qualità di presidente amministratore delegato. Ho anche dei rimpianti, per qualche errore veniale commesso qua e qualche altra attività che non ho potuto fare nella vita. Il mio lavoro a stretto contatto con gli attori dell'economia mondiale mi ha permesso di conoscere in modo non superficiale il modo di vivere di altri popoli e di capire i meccanismi della democrazia da un lato e di certi autoritarismi dall'altro, così come la potenza e i rischi nel sistema delle grandi multinazionali e della finanza e l'in-fluenza che questo ha sulla vita dei cittadini che spesso sono solo sudditi, anche senza accor-gersene».

Che impressioni ha ricavato dai vari paesi?

«Sono stato in America latina anche se le vacanze le facevo in Italia. Lì colpisce il divario tra i benestanti  e i poveri, molti dei quali vivono nelle favelas. L'individualismo della maggior parte degli americani deriva dal tempo dei pionieri, quando la selezione naturale premiava i più bravi ma spesso anche i più forti ed emarginava i più deboli. E' la forza dell'America ma anche il suo limite. Diversa è la società canadese, più vicina al modello solidaristico europeo: il multiculturalismo e la felice integrazione, facilitati da politiche governative di accoglienza molto liberali. Resta tuttavia una certa insofferenza, per ragioni storiche, nei confronti dell'unità nazionale da parte della numerosa comunità francofona del Quebec, temperata, oltre che dalle larghe autonomie previste dal sistema federale, dal pragmatismo derivante dall'interesse a rimanere ancorata alle ricchezze del paese e dalla consapevolezza che una piccola comunità indipendente nel mare anglosassone del Nord America rischierebbe di restare schiacciata, soprattutto economicamente. Poi le forti diseguaglianze sociali in America latina, dove esistono (e dominano) ancora classi sociali privilegiate e povertà diffusa. Democrazia solida in Nordamerica, sostanzialmente autoritaria o elitaria in molti paesi dell'America latina. Viaggiando in quei luoghi, ho ammirato una natura bellissima e varia. Grandi distese coltivate a grano e mais, vaste foreste, laghi, montagne, deserti, immensi parchi popolati di orsi, cervi, alci, coyote, lupi, uccelli acquatici a migliaia».

Dopo aver vissuto in tanti luoghi del mondo, come vede la nostra città e la nostra provincia, oggi?

«Anche se le esperienze familiari sono state ovunque largamente positive, specialmente in Inghilterra e in Canada (soprattutto in quest'ultimo, per le mie figlie), non avremmo rinunciato a ritornare in Italia, a parte una figlia che è rimasta là avendo sposato un coetaneo canadese. La scelta di Piacenza era naturale. Anzi, all'atto del mio pensio-namento decidemmo di stabilirci a Rivergaro, dove i miei trascorrevano l'estate e la qualità della vita è molto buona. Naturalmente, man mano che tornavo a Piacenza, notavo i cambiamenti della città, in meglio o in peggio. Ricordavo i tram elettrici della mia gioventù e trovavo un capillare servizio di autobus, più comodi ma inquinanti, valanghe di automobili, l'espansione della città "fuori porta" con certi quartieri costruiti malamente; altri, specialmente verso sud, più attraenti, con qualche piccolo parco o giardino, nuove chiese, piccole e medie industrie fuori città, un tenore di vita piuttosto alto ma molto smog e difficoltà di parcheggio. Quando io lavoravo a Piacenza c'erano 7 banche. Oggi  la città e un po' tutta l'Italia si sono americanizzate, in positivo e in negativo. Il centro storico è sempre molto bello. Molti monumenti, palazzi e la maggior parte delle case ristrutturate rispettando l'Antico. La vita culturale è abbastanza attiva. La gente viaggia di più ma tende a credere di aver visto e capito il mondo solo con viaggi "mordi e fuggi" di moda. Sostanzialmente, oggi il modo di vivere della gente, nei paesi occidentali, nelle città e nei paesi piccoli, è molto simile. Si mangia e si beve un po' allo stesso modo, si vedono gli stessi film, si viaggia sugli stessi aerei spostandosi in poche ore, si comprano le stesse auto, gli stessi computer, gli stessi televisori. Internet ha ristretto il mondo e l'inglese sta diventando il nuovo esperanto».

 

Da "Libertà" del 6 aprile 2010

 

 

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Piazza Scala - maggio 2010