Castaneda e il ritorno dello sciamano
 

Chiunque affronti lo studio di un mondo, tutto sommato, poco noto come quello della Mesoamerica, ricercando le tracce lontane delle antiche sapienze sparse in tutto il Pianeta, si imbatte inevitabilmente in Carlos Castaneda.
Era, questi, un antropologo peruviano che, negli anni tra il 1968 e il 1996, riportò alla luce il sapere sciamanico dei Toltechi, i successori della civiltà Maya nella Valle del Messico attorno all'800 dove vi fondarono la capitale Tula per poi concludere il loro ciclo storico attorno al 1168 d.C.
Castaneda non scoprì libri nascosti o testi sacri di quel popolo semisconosciuto, ma, partendo dall'indagine che intendeva affrontare sulla stregoneria, incontrò, nel corso delle sue ricerche, lo stregone don Juan Matus che dell'antico sapere tolteco conservava la tradizione orale mai perdutasi nel corso dei secoli.
La formazione culturale di Castaneda era rigidamente ancorata a un razionalismo di marca occidentale che, nell'impatto con quello sciamano discendente di un mondo nel quale perdevano consistenza gli schemi mentali ai quali era abituato, trovò una progressiva e inarrestabile frantumazione con un parallelo processo iniziatico descritto nell'opera letteraria che fu il suo lascito sofferto.
La sintesi dell'insegnamento sciamanico che lo studioso ricevette nel suo incontro con don Juan è racchiusa nell'aspirazione tolteca del ritorno a quella lontana Età dell'Oro dell'Uomo quando questi viveva l'intima unione del suo sè profondo con le divine energie universali.
Per ritornare a quello stato originario, che significava riaprire i cancelli di un Paradiso perduto nostra patria naturale dalla quale qualcosa di ignoto o di dimenticato ci aveva separato, occorreva imparare a "vedere", e non più soltanto "guardare", il mondo.
"Vedere" significava liberarsi da schemi e preconcetti che hanno soffocato nei secoli la mente e il cuore dell'uomo seppellendoli sotto una coltre di artificiosità nella quale smarrita è la naturalità e imprigionata l'energia che è la nostra linfa vitale.
Per i Toltechi, come anche per le altre antiche sapienze, la "materia" nella quale crediamo di vivere è semplice illusione poichè Tutto è costituito da campi di energia, conclusione alla quale si perviene quando riusciamo ad abbandonare lo schematismo razionalistico del quale siamo intrisi.
La Fisica Quantistica, che nel secolo scorso ha costituito la nuova frontiera della scienza, ha portato nella stessa direzione così apparendo un'autentica rivoluzione, ma in realtà riscoprendo quello che nelle antiche civiltà della Terra era già noto da millenni.
"Vedere" il mondo significa, così, conquistare la propria libertà pervenendo alla consapevolezza del legame che unisce tutti i fenomeni della vita dove la stessa morte perde il significato che le abbiamo attribuito.
Nella conquista di questa libertà, dalla quale questa consapevolezza scaturisce, i Toltechi vedevano lo scopo reale dell'esistenza umana ben sapendo che, talvolta, anche lo spazio di una vita non è sufficiente per realizzarlo.


Luigi Gulizia (dal suo sito www.luigigulizia.it)