Il toponimo di questo borgo ha origini antichissime, retaggio delle popolazioni di ceppo ligure-celtico che si stabilirono sul Lario . “Grava” da cui Gravedona, significa costa sassosa.

Sono capitato in questo borgo quasi per caso: non fosse stato per un amico di Taranto  primario ortopedico dell’ospedale di Gravedona non avrei mai scoperto questo posto delizioso adagiato in un grazioso golfo allo sbocco della valle del Lirio di fronte alla penisola di Piona sul lago di Como.

E’ un paese che si racconta nelle sue chiese e nei suoi monumenti, nei quali si leggono culture confluite attraverso l’importantissima Strada Regina che da sempre è stata ed è arteria preziosa di collegamento fra il nord Italia, Via Milano-Como e il centro nord Europa. Per ragioni storiche, artistiche e religiose è considerato uno dei centri più importanti dell’alto Lario.

Nel periodo comunale partecipò alla guerra decennale tra Como e Milano (1118 - 1127), schierandosi alternativamente con l'una e con l'altra fino alla pace di Costanza, con cui nel 1183 si concluse il conflitto tra il Barbarossa e i comuni lombardi. Nel 1522 divenne capoluogo del territorio delle Tre Pievi, che comprendeva anche Sorico e Dongo, centro di diffusione del Cristianesimo, ebbe il privilegio di avere propri magistrati e una zecca e riuscì a mantenere sempre una determinata autonomia, anche sotto la signoria dei Visconti e degli Sforza. Durante la dominazione spagnola di Filippo II fu dichiarata contea e ceduta, sempre dallo stesso, nel XVI secolo al cardinale Tolomeo Gallio di Como.

Ma a Gravedona il Medioevo bisogna cercarlo a riva, là dove il Iago ci restituisce la rarità di una chiesa bellissima S.Maria del Tiglio, un’architettura di cui andarono famosi i Maestri Comacini e oggi orgogliosi i gravedonesi. (foto 1 e foto 2)

Testimonianza del romanico comasco, datata nella seconda metà del XII secolo, sorge sopra il precedente battistero (V sec.) dedicato a S. Giovanni Battista.

Unica nel suo genere, costruita con pietre bianche e nere nelle quali si leggono in rilievo simboli, lesene, archetti pensili, feritoie, strombi, profili e cordoni delle finestre, colonne, loggiati, absidi e oculi messi a significare ancor prima di un’arte particolare l’azione dello spirito.

Un'architettura che nella facciata sale dal basso generando quella torre che ci meraviglia o forse ci invita a cercarne l’origine culturale per chiarirci il riuscito sposalizio di un campanile con la facciata d'un battistero.

Catturare, nella singola bellezza di questo assieme architettonico, bassorilievi di immagini simboliche incastonate nelle pietre ancora leggibili aiuta a ripercorrere il cammino dell’anima ferita dal peccato e a comprendere la sua funzione di Chiesa/Battistero.

All’interno, il desiderio di pregare è forte e l’assenza di colore non fa impressione, anzi, in un’epoca come la nostra dove tutto è pretesto per la pittura, ci si accorge quanto la pietra sia amica dell'uomo. E le pietre, dopo aver cantato, si fanno colore e si parlano con le immagini affrescate tra il XIV e XV secolo nelle quali si riconoscono i cicli di: "S. Giovanni Battista" e "I Re Magi", un "Crocefisso" e una "Trinità”, "L’Adozione dei Magi", un episodio della "Vita di S. Giuliano ospitaliere", "La Vergine tra S. Nicola, un committente e un altro Santo", "S. Gottardo”, "S. Stefano", "S. Cristoforo".

Di notevole interesse iconologico è l’affresco del "Giudizio Universale", dal sapore giottesco. Sotto una composizione "a registro" le denominazioni dei sette vizi e delle sette virtù raffigurate, paiono determinare, per i due gruppi di genti in alto, la condanna di Cristo Giudice mentre una Gerusalemme celeste ricorda il borgo gravedonese.

Accanto sorge l’antica Parrocchiale di San Vincenzo eretta intorno al 1050 su di un edificio paleocristiano composto da tre navate e altrettante absidi del secolo V. (foto 3)

Raggiunse I’aspetto attuale con la ristrutturazione avvenuta tra il XVII e il XVIII secolo, furono aggiunti, all'esterno, il porticato a tre ali, all'interno numerosi affreschi seicenteschi di Carlo Scotti di Laino, armadi barocchi intagliati, statue ed altre opere. Dell'antica struttura conserva la cripta che era a sette navatelle con capitelli altomedievali e romanici, due iscrizioni del VI secolo murate sotto il pulpito vicino all’ingresso laterale, un elegante croce d’oro del famoso cesellatore Francesco Ser Gregari, fedelmente rifatta dopo il suo furto e parte della muratura esterna. Particolarità della Chiesa di San Vincenzo è la mancanza di un campanile; di fatto, il suono delle campane giunge dall’adiacente Santa Maria del Tiglio.

Nel 1735 furono eseguiti da Michelangelo Bellotti due grandi quadri raffiguranti il martirio di San Vincenzo posti ai lati del presbiterio. (foto 4 e foto 5)

La mia passione per la Storia della pittura (vista attraverso i francobolli) e la mia naturale curiosità, mi hanno indotto a indagare su questo artista ed ho scoperto che il Bellotti, in realtà è citato negativamente nella Storia dell’arte come colui il quale nel 1725 compì il primo restauro documentato del Cenacolo di Leonardo da Vinci, portando a termine la prima vera offesa al capolavoro leonardesco. E' intervenuto compiendo una lavatura con soda o potassa caustica e verniciando il dipinto con olio per attenuare l'opacizzazione prodotta dall'azione corrosiva del solvente.
Inoltre, tra le altre varie offese, amplia i contorni dei visi, segnando con un solo tratto scuro diagonale gli occhi di Taddeo o aggiungendo la barba a Matteo.

Come se non bastasse, quasi fosse un fatto personale con il sommo Leonardo, affresca la lunetta (foto 6) della Basilica di Santa Maria delle Grazie a Milano il cui disegno è attribuito al Bramante, sostituendo letteralmente un precedente affresco di Leonardo da Vinci che, dunque, è andato così perduto.

La mia brevissima permanenza a Gravedona non mi ha permesso purtroppo di continuare la visita per ammirare il restante patrimonio artistico della Chiesa dei Santi Gusmeo e Matteo anch’essa di architettura romanica ristrutturata con ampliamenti nel XVI secolo. Nella volta del presbiterio si può osservare la Gloria di Dio Padre fra gli angeli, eseguita nel 1608 da Gian Mauro della Rovere detto il Fiammenghino. Poco lontano vi è il complesso di Santa Maria delle Grazie, con il convento agostiniano fondato nel 1468. La chiesa, dalla tipica architettura ad archi traversi, conserva un grandioso ciclo di opere pittoriche cinquecentesche che decorano le varie cappelle.

 

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Foto 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto 3

 

 

Foto 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto 5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto 6