L’ESODO ISTRIANO E LE FOIBE
Nel mese di novembre
scorso commentai su questo giornale alcuni articoli e
lettere scritti in occasione del cinquantesimo
anniversario del ritorno di Trieste e della cosiddetta
Zona A all’Italia, dopo alcuni anni di “limbo” quale
conseguenza delle vicende della II Guerra Mondiale.
In questi giorni si celebra invece la “Giornata del
Ricordo” istituita ex novo l’anno scorso in memoria del
grande esodo d’italiani dall’Istria e dalla Dalmazia e
dei massacri delle foibe istriane da parte di unità
militari jugoslave, avvenuti sessant’anni fa a seguito
del collasso dello stato italiano e dell’occupazione
militare titina, prima dell’arrivo delle truppe
anglo-americane.
Le celebrazioni, avvenute a Trieste ed altrove, così
come i dibattiti, i discorsi, le rievocazioni in sede
parlamentare hanno dato la netta impressione di
strumentalizzazione politica, quasi per rispondere alle
recenti manifestazioni sulla Shoa, sulla liberazione del
campo di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche nel
gennaio 1945 ed alle rievocazioni delle stragi e delle
fucilazioni nazifasciste in Italia in quello stesso
periodo, come se tutti questi eventi non facessero parte
di un’unica tragica storia italiana. Una storia che è
stata scritta, checché se ne dica, e che poteva essere
letta e studiata da chi ne avesse voglia.
Forse ne hanno parlato poco la grande stampa nazionale e
la televisione, non certo nelle mani della sinistra ed
anzi, per un paio di decenni quasi monopolizzate dalla
Democrazia Cristiana e dai suoi alleati e dai centri di
potere di maggioranza, ma ciò è del tutto comprensibile,
come è stato scritto in questi giorni da autorevoli
commentatori. Quasi subito, nel dopoguerra, la
Yugoslavia di Tito è diventata un territorio cuscinetto
nei confronti del blocco sovietico, un leader del blocco
degli stati non allineati e, non meno importante, un
partner commerciale di primo piano per il nostro paese,
come la Germania e la stessa Unione Sovietica.
A mio parere, tuttavia, c’è un motivo più importante che
spiega la parziale reticenza su quei fatti ed in
particolare sull’esodo dei duecentocinquantamila da Pola,
da Fiume, dalle città rivierasche dell’Istria. E’ lo
stesso motivo che ha indotto molti popoli d’Europa a
rimuovere i complessi di colpa per le nefandezze
compiute nel corso della guerra ed anche prima. La
Francia, per assidersi fra i vincitori della guerra, ha
rimosso il collaborazionismo dei Petain e dei Laval e la
responsabilità nella consegna degli ebrei, l’Unione
Sovietica ha rimosso il Patto Ribbentrop-Molotov del
1939 con la spartizione della Polonia, gli Americani non
parlano mai dei bombardamenti terroristici sulle città
tedesche ed italiane, di Hiroshima e Nagasaki, noi
italiani non abbiamo scritto quasi nulla sulle
fucilazioni ed impiccagioni di patrioti da noi
perpetrate in Etiopia, in Libia, in Grecia, in
Yugoslavia e delle politiche di snazionalizzazione nei
confronti degli sloveni e dei croati, dei campi di Arbe
e di Gonars dove tanti slavi hanno trovato la morte per
fame, freddo e malattie. Politiche iniziate subito dopo
il 1918, anche dai governi liberali.
Perché le giornate del ricordo abbiano un vero valore
morale e non la celebrazione di un nazionalismo trito e
demagogico e non servano a fini di parte, occorrerebbe
che la memoria non si limitasse all’esecrazione di
quegli atti di vendetta incivile, alla condanna delle
mutilazioni territoriali con il conseguente esodo in
massa di quelle popolazioni, ma cercasse di spiegarne i
motivi, il contesto, le responsabilità, da una parte e
dall’altra.
L’Istria, prima dell’occupazione militare italiana del
novembre 1918, sotto l’Impero Austro-Ungarico, aveva una
popolazione mista, a maggioranza di lingua italiana
nelle città della costa, a maggioranza slovena e croata
nell’interno. Come ho già detto, i governi italiani, e
soprattutto quello fascista, hanno fatto di tutto per
italianizzare la regione, proibendo e boicottando le
lingue locali, le scuole, mettendo in campo di
concentramento od inviando al confino migliaia di
persone, intellettuali, insegnanti, patrioti, chiudendo
circoli e teatri, inviando funzionari con famiglia da
altre parti d’Italia e, nel periodo bellico, occupando
militarmente larghe zone della Slovenia ed imponendo una
dittatura fascista ed un re italiano alla Croazia, senza
parlare della terribile repressione durante la
guerriglia di Mihailovic e di Tito. Anche di questo in
Italia non si è avuto il coraggio e l’onestà di parlare.
Eppure, questa è l’origine degli odi di quel periodo che
si sono ritorti sulle nostre popolazioni istriane
innocenti.
Sono passati sessant’anni, la Slovenia è entrata
nell’Unione Europea ed il confine con l’Italia quasi non
esiste più, la Croazia si accinge ad entrarvi, molte
migliaia d’italiani vivono tuttora in quei due paesi.
Dobbiamo proprio rinfocolare gli odi ed accettare che le
celebrazioni siano appannaggio proprio di chi
palesemente o surrettiziamente si richiama a quel trito
nazionalismo che noi italiani avevamo saggiamente messo
da parte?
(Giacomo Morandi - Febbraio 2005)
|