Sardegna Agosto 2008
Quanti
anni sono che frequento l’isola, l’antica
terra di Sardegna? Tanti fisicamente, ma la
prima volta fu in maniera
virtuale, quasi una predestinazione. Per
l’esame di terza media l’insegnante aveva
assegnato la ricerca sulla Sardegna a me ed
una mia compagna con la quale non avevo mai
avuto grandi rapporti. Lei era figlia unica,
io terza figlia con due fratelli più grandi
e quindi… dato l’eventuale aiuto da parte
loro mi toccò il lavoro più grande: ricerche
di libri, lettera all’ufficio turistico
(mica c’era Internet ma io ero fortunata
perché avevo una bella enciclopedia, tipo
Trecani, ma solo
tipo!,) e redazione della cartellina con
scrittura manuale e colla Cocoina per
attaccare le foto. Il lavoro era bellino e
mi sono commossa rivedendo tanti anni dopo
quelle foto in bianco e nero di un mare
intonso ma del quale non si intuiva il
colore incredibile e la rara limpidezza.
C’era la foto della bandiera sarda e degli
asinelli, dei nuraghi diroccati e dei
mamutones, e le foto di donne e uomini in
costumi locali, personaggi che
effettivamente ancora vidi quando andai in
Sardegna la prima volta, nel 1968. Che
splendore quel primo approccio. L’isola era
ancora poco conosciuta dai turisti, tanto
che il viaggio, offerto dall’agenzia che
inaugurava il villaggio in cui mi recavo, fu
sul traghetto “Canguro giallo” alla sua
prima traversata inaugurale.
Il villaggio era in pratica su una scogliera
quasi a piombo sul mare con relativa
spiaggetta di sabbia bianca; le acque erano
così limpide che da circa 30 metri di
altezza potevi contare i ricci
sulle
rocce. E a pochi chilometri, oltre il
minuscolo paesino di pescatori, la mitica
“Pelosa”, la spiaggia di Stintino. Come
descrivere “quella Stintino”: sabbia bianca
finissima in gran parte creata da conchiglie
triturate dalla corrente e che scendeva, con
bagliori argentei, nell’acqua turchese; i
gigli di mare a coprire il bordo lungo la
strada in terra battuta, uccelli canterini e
pesci senza timore e la torre saracena a
guardia di quella meraviglia. E poi quel
profumo intenso, un po’ aspro e pungente,
selvatico, quel profumo unico che ancora
sino a qualche anno fa, prima di entrare in
porto, specialmente di notte, già ti
annunciava terra. Non c’era nulla, solo un
capanno di foglie di un pescatore; i locali
erano riservati, schivi e quanto avevano
ragione ad essere diffidenti, anche se certo
non immaginavano l’arrivo dell’orda
barbarica. Solo una volta, 15 anni fa,
tornai alla Pelosa e me ne pento ancora
adesso: corpi ammassati al sole, macchine
posteggiate sin sulla sabbia, dei gigli
quasi neanche più la traccia, urla e rumori,
motoscafi e moto d’acqua e cemento, cemento
e cemento: Ed anche il profumo sparito. Ora,
ogni anno, quando torno nella bella isola,
faccio un pellegrinaggio alle piccole cale
nascoste, alle chiesette di campagna tra i
massi lunari ed i sugheri e percorro sempre
le strade interne, passando accanto agli
ulivi millenari, che stanno cedendo il posto
ai filari di viti, e cerco le polverose
strade bianche per sentire ancora il
grugnito dei cinghiali, il verso della
civetta, facendo attenzione a non
schiacciare un riccio o una mantide
religiosa e a non disturbare il picchio o la
gazza o una bella farfalla che vola leggera
tra i cespugli dal profumo intenso e un poco
aspro: il profumo di Sardegna!
Piera Favetto - agosto 2008 |