La messa sul posto,
on the road magari...
Nel mezzo del cammino della Via Clodia, come
tutte le strade che portano a Roma, c’è Oriolo
Romano e una piccola piazza Clodia anch’essa,
con un bar-pub, che si chiama “On the road” e
usa la “mis an place”.
Capita che mi fermo un pomeriggio a prendermi un
caffè e ci “riconosciamo” tra donne: poco meno
di un anno fa, il 24 novembre, eravamo alla
stazione di Capranica sotto una pioggia
scrosciante, ad attendere un treno con un
ritardo abissale, in tante e di tutte le età.
Andavamo alla manifestazione nazionale contro la
violenza sulle donne, avremmo gridato “non
abbiamo fiducia nello stato, ma quale pacchetto,
quale sicurezza, l’autodifesa è l’unica
certezza”.
Scopro dopo, chiacchierando come mio solito, che
Stefania, lì seduta con l’amica Rina, non è
un’avventrice come le altre, è quella che
gestisce il bar, da meno di un anno. Una 42enne
con pancione di sette mesi e la sua amica,” più
grande”, le ha ceduto la gestione: è voluta
andare in pensione. Dentro c’è Eleonora,
giovanissima: prepara alle 18 cappuccini e
bicchieri di vino e aperitivi e piatti con
dadini di mortadella e formaggio, tartine e
bruschette e ci si buttano a grappoli i giovani,
gli operai ancora in tuta da lavoro: l’esercizio
ha aperto alle 16 e non chiuderà prima delle 2.
Questa “mis an plas”, come la chiama Stefania, è
un’abitudine riportata da Torino, con i suoi
francesismi, la “mise en place”, messa sul posto
e il “posto” conta meno di 4.000 abitanti, con
arrivi a centinaia, progressivi ed incessanti
negli ultimi anni, proprio come Stefania con il
compagno torinese e la figlia di 18 anni, Sharon
mentre l’altro figlio, è rimasto a Torino con la
sua nuova famiglia. Così vengo a sapere che
Stefania in attesa , partorirà a Roma, perchè la
vicinissima Bracciano con il suo ospedale è
inaffidabile per quante ne concentra e che un
anno fa, una certa Claudia di Oriolo Romano fu
rimandata a casa, aveva le doglie ma le dissero
che c’era tempo e poi partorì in macchina con il
marito, che rimase muto per alcuni giorni. Ma
Oriolo Romano, malgrado il nome, fa provincia a
Viterbo e mi rammento che l’altra vicina
Ronciglione, non è più ospedale, è un presidio
sanitario, sembra unico luogo della provincia
dove non ci sono obiettori e si può interrompere
la gravidanza, senza andare a Belcolle.
Sharon, sua figlia, studia al vicino Liceo delle
Scienze Sociali di Bassano Romano, dove sono in
800 e non in 1.000 e sarà la prima scuola a
chiudere se passa la riforma Gelmini e andranno
a Viterbo, non si sa in quali strutture. Ho
vicino mia sorella, ufficiale di stato civile e
pendolare a vita tra Capranica e Roma, una delle
migliaia per cui vale la legge sulla mobilità,
solo nel “muoversi” con i treni tutti i giorni e
non per le richieste di trasferimento
inascoltate.
La chiamò Oriolo nel 1560 il signore Giorgio
Santa Croce: un insediamento sorto dal
disboscamento in cui furono invitati contadini e
boscaioli, detti “capannari”, provenienti
soprattutto dalla Toscana e dall’Umbria. I
boschi ci sono ancora, appena lasci la Via
Clodia, paralleli alla strada, a portata di mano
e di gamba. Ad Oriolo si fanno feste religiose
ma anche popolari, di musica emergente e di
cultura, come quella attuale che vede a Palazzo
Altieri ( dov’è la più completa galleria di
ritratti di Papi) l’ennesima mostra, nel 2007
Espressioni D’Arte intitolata “La forza
dell’evidenza”, oggi fotografica di Amaduzzi,
“Un paese, il suo territorio, la sua gente”. C’è
uno spazio in comune e reale- non solo il bar On
the road messo in piazza- è di un laboratorio
partecipato delle politiche giovanili, ad opera
dell’intelligente e premiatissima attività del
sindaco per la seconda volta, Italo Carones,
colui che rappresenta davvero la Comunità di
coloro che vivono nel territorio comunale e ne
cura gli interessi: non a caso spiccano le
associazioni laiche, in difesa della cultura e
dell’ambiente.
Tornando ai fattarelli di paese, Stefania aveva
un sogno da quando era ragazza, quello di
gestire uno spazio conviviale e l’ha realizzato,
si azzarda anche a fare un terzo figlio. Pure
sua figlia Sharon ha un sogno, quello di poter
continuare a studiare quì vicino, anche Rina doc
d’Oriolo, teme per la sua pensione, gli operai
mi sorridono e mi spiegano certi nomi di strade,
bevendo una birra o vino, on the road
all’italiana, messi sul posto come gli
stuzzichini, come si fa quando si ha voglia di
vivere , di amare la terra dove si poggiano i
piedi e non le illusioni e i castighi.
Ho messo anch’io sul posto, nella rete e spero
sulla carta, quella appoggiata nei bar, da
sfogliare, dove riconoscersi localmente e
globalmente, dove si cammina anche con rabbia e
ostinazione : “La “messa sul posto”, se eseguita
con cura, garantisce un servizio scorrevole, una
buona mise en place è metà lavoro e messa sul
tavolo, consente al cameriere di avere a portata
di mano il materiale che occorre durante il
servizio, senza doversi allontanare dal posto di
lavoro”…per poi tornare a casa.
Doriana Goracci - ottobre 2008 |