IL LEONE FEROCE

Cercare qualcosa di poco noto su Milano non è semplice, ma frugando qua è là ecco un racconto che trovo su “Questa nostra Milano” di Francesco Ogliari e che ci riporta a fine Ottocento, con un fatto tanto singolare quanto divertente. Nel 1873 viene deciso di erigere in Piazza Cinque Giornate un monumento che celebri appunto l’eroica battaglia dei milanesi insorti per la cacciata degli austriaci. Nel bozzetto dello scultore Giuseppe Grandi è prevista la figura di un leone, che l’artista insiste nel voler riprendere dal vivo. Pare che in Italia ci fossero difficoltà ad averlo ( forse il fronte del “no” animalista) per cui viene diffuso un annuncio in Germania, e finalmente viene trovato, in un circo di Amburgo in liquidazione, un leone in vendita. Quando Borleo – questo il nome del felino - arriva alla stazione di Milano è così sporco e puzzolente che subito i facchini entrano in sciopero e si rifiutano di scaricarlo (forse il fronte del “no” sindacalista). Alla fine con l’intervento dell’ufficiale di sanità e dei sorveglianti (i “ghisa” si chiamavano così, forse perché, allora, sorvegliavano davvero) si riesce a trasportare la povera bestia nello studio del Grandi in zona periferica, in modo da evitare pericoli.
Ma Borleo, forse per l’età e per gli anni di onorato servizio al circo, è tutt’altro che pericoloso, più che una belva è un domestico micione, tanto che lo scultore non riesce a farlo ruggire. Altro che figura rampante e feroce! Il leone se ne sta tranquillo e ingoia beatamente tutto quel che gli passano, compreso pennelli, creta, gessi e tutto ciò che il Grandi gli tira addosso per smuoverlo dal suo torpore. L’unico inconveniente a cui dà luogo, durante il soggiorno milanese, è la stitichezza: dopo dieci giorni non si è …scaricato (forse il cambio di climax o le polveri sottili… boh!). Il veterinario è quasi lapidario: se non si provvede celermente l’animale rischia di morire per occlusione intestinale. E allora addio al bel monumento! Dopo un drammatico consulto di tutte le parti in causa, autorità comprese, si decide di praticargli un “serviziale” (praticamente un clistere); certo Borleo, qualora messo a parte del progetto, avrebbe optato per qualcosa di più blando, un lassativo tipo “Activia” o una bella suppostona, ma…tant’è.
Chiamati gli esperti (?) viene costruito, alla bisogna, un meccanismo fatto di un lungo tubo, un imbuto e un mantice per pompare acqua e sapone. Borleo viene immobilizzato con alcune assi di legno, e Grandi stesso, con l’aiuto di alcuni ardimentosi che sollevano la coda, inserisce la canna nel posteriore leonino e inizia a pompare. Dopo alcuni attimi di piacevole rilassamento la belva, all’improvviso sollecitata dal bisogno fatale (forse sarebbe stato opportuno un ritardante), lancia un ruggito da far tremare tutti gli astanti che, atterriti, se la danno a gambe. Solo lo scultore resta impavido al suo posto, con matita e foglio in mano, incurante degli amici che lo implorano “Pepin, Pepin…ven via!” pronto a schizzare la figura del leone inferocito. La conclusione del fatto non viene precisamente descritta, ma si possono immaginare sia le esaltazioni che le esalazioni.
Di sicuro è che oggi, quando osserviamo il monumento nel bel mezzo della piazza, quello che ammiriamo, nonostante l’impresa ardimentosa di Grandi, è un leone abbastanza dimesso, in posizione poco onorevole per un re, apparentemente meno pronto a lanciarsi in avanti, che a porgere il didietro.
Giorgio Cozzi - settembre 2008