DISCORSO DI COMMIATO AL PERSONALE DELLA BANCA COMMERCIALE ITALIANA, SEDE DI BARI, IN OCCASIONE DELLA MIA ANDATA IN PENSIONE
Presenti, oltre a numerosi colleghi,  il Direttore della Filiale dott. Ciabotti e il Condirettore dott. Condello
Bari, 14 dicembre 1995, ore 16,30 

Gentili Signori, anzitutto vi ringrazio di cuore per essere qui presenti in gran numero: mi sembra una attestazione di stima, direi anche di affetto.
Come vedete ho tre o quattro fogli in mano. Avevo preso degli appunti, ripromettendomi di toccare alcuni argomenti di prammatica in circostanze del genere. Ma in questo momento ho deciso che quanto avevo scritto non mi piace, e allora cambio tutto. 
Infatti, gira e rigira, cosa si dice in un’occasione del genere? La solita manfrina. Cioè che “questo è in sostanza un addio”. Si rammenta che siamo a “una delle tappe fondamentali della nostra vita”. Si ripercorre qualche momento della propria carriera, se carriera c’è stata. Poi magari viene il groppo in gola, sfugge qualche lacrimuccia… e il tutto diventa a seconda dei casi triste, barboso, falso, già visto eccetera..
Mi piacerebbe invece dire qualcosa di diverso, di anticonvenzionale. Per esempio: fare una critica di questi anni spesi in banca, ma un po’ alla Fantozzi. O meglio: un’autocritica fantozziana della mia vita di bancario.
Infatti: ora, secondo il copione, dovrei commuovermi, mettermi a piangere perché me ne vado dalla banca?
Ma io, vedete, butto tutti questi fogli all’aria! E vi dico ad alta voce:
SONO FELICISSIMO DI ANDARMENE!! 
EVVIVA!! 
FINALMENTE!!
Ora penserete che sono impazzito, che il pensionamento mi ha dato alla testa… Ma allora non sapete quanti sono quelli fra voi che da un bel po’ mi dicono: “Vittorio, beato te!”, “Vitto’, vorrei stare al tuo posto…”, oppure alla barese: “Vue’ fa’ a cang’?” (“Vuoi fare cambio con me?”).
A costoro, che comprendo benissimo, voglio ricordare un dettaglio: cioè che c’è una contropartita da pagare, ed è l’età. 
Io vado in pensione fra pochi giorni, cioè dall’1° gennaio 1996, ma con decorrenza ufficiale dal 1° aprile 1996. Misi piede in banca il 1° aprile 1959: come pesce d’aprile mi pare che 37 anni siano abbastanza!
Entrai che avevo compiuto 18 anni. A quei tempi c’era un orario detto “spezzato”, con due ore e mezza di intervallo e uscita era alle 19. Ma molte volte si usciva alle 21 perché c’era da fare straordinario, e non ti potevi rifiutare di farlo… e non sempre te lo pagavano, specie se eri un novellino. Altri tempi. Ricordo bene che di estate alle volte uscivo alle 22. Invidiavo terribilmente i miei coetanei, amici o ex compagni delle scuole superiori che ancora non lavoravano, o studiavano all’università. Di sera erano liberi e specie nella buona stagione, di sera potevano dedicarsi ad attività alquanto più piacevoli… Praticamente io non ho vissuto la mia gioventù.
Ma questo era niente a confronto di quanto i “vecchi” mi avevano detto circa cose che accadevano ai loro tempi (parlo degli anni ’40-50). Per esempio, un collega da un bel po’ in pensione mi raccontò di un vecchio capufficio che si tratteneva fino alle dieci di sera. Per un malinteso senso del dovere, o perché era sconsigliabile comportarsi diversamente, nonostante l’orario nessuno dei dipendenti di quell’ufficio osava lasciare il posto di lavoro prima che il Capo decidesse di alzarsi e andarsene. Chi mi narrava questa storia abitava a Molfetta, un paese a circa 25 km.da Bari, raggiungibile per ferrovia. Ebbene, l’ex collega mi disse che più volte gli era capitato di attendere per una uscita del Capo alquanto attardata e di conseguenza aveva perso l’ultimo treno per Molfetta. Aveva dormito nella sala d’attesa della stazione, senza neanche poter informare la famiglia; e la mattina era tornato in banca senza aver potuto sbarbarsi.
A me invece capitò che il CSE (Capo del Servizio Esecutivo, allora sovrintendente alla contabilità degli uffici) si ammalò per un mese. La Direzione Centrale di Milano inviò un sostituto dalle abitudini particolari: era uno “spione”. Ci spiava tutti, per vedere come impegnavamo ogni minuto, anzi ogni secondo del nostro tempo. Una volta andai in bagno a far pipì e mi accorsi che si era accostato a distanza e, credendosi non visto, mi stava spiando (cronometrava i tempi della mia urina?) Un’altra volta – può capitare – dovetti andare in bagno là dove ci si siede. Ebbene, dopo neanche cinque minuti costui ebbe la faccia tosta di bussare fragorosamente alla porta urlando: CATANI!!! Mi salì il sangue agli occhi. Decisi di sistemarlo una volta per tutte. Gli risposi, con la voce roca e alterata di chi sia impegnato in un notevole sforzo fisico: MOMENTOOO!!! Da allora non ruppe più le scatole.
Ero stato promosso Vicedirettore di Agenzia. Era la seconda metà degli anni Ottanta e lavoravo presso l’Agenzia di città n. 1. Il mio medico mi ordinò di assumere un medicinale per via intramuscolare, ogni mattina, verso le 10. Seppi di un vecchietto ex infermiere, che abitava a un isolato dall’Agenzia: presi accordi e ogni giorno mi allontanavo una diecina di minuti per andare da lui. Ma fai una puntura oggi, fanne una domani, tra una chiacchiera e l’altra venne fuori che il vecchietto aveva un libretto di risparmio di 5 milioni al Banco di Napoli. Ovviamente lo invitai a trasferire il rapporto presso l’Agenzia: il che avvenne pochi giorni dopo.
Gente, pochi possono battere questo mio record: per la banca io ho perfino mostrato il sedere.
La mia scuola per l’acquisizione di clienti, quando ero ancora semplice impiegato, fu il capo dell’Ufficio Sviluppo, dott. Simoni. Uno “sviluppatore” (così si chiamava allora) davvero eccezionale, anche se su altre cose di banca era meno preparato. Nativo di Putignano, in provincia di Bari, conosceva bene l’entroterra ed era proprio questa, con i vecchi grandi proprietari, il suo “campo di semina”. (Uve da vino, mandorle, olive, carciofi, ortaggi, costituivano la base dell’economia del sud di Puglia, regione a quell’epoca ancora essenzialmente agricola, sebbene stesse sorgendo alla periferia di Bari una vastissima zona industriale). Ebbene: per insegnarmi il mestiere, sapete dove mi portava il mio Capo?
Direte: presso i ricchi latifondisti.
Direte: in visita alle grosse industrie in espansione.
Macché!
Mi portava ai funerali.
Erano una sua specialità. E mentre io reggevo il cero al caro estinto, nel cordoglio generale, il mio Capo (ero tutt’orecchi) grazie a una sua inverosimile catena di amicizie agganciava gli eredi per convincerli a trasferire i capitali, già del “de cuius”, presso la nostra banca. Ci riusciva quasi sempre. E si trattava di grosse cifre. Aveva un modo di porgersi, una capacità di convincimento bancario invidiabili.
Da cotanto maestro, non potevo a mia volta non produrre risultati abbastanza soddisfacenti nell’acquisizione di nuova clientela. Fu così che, un giorno dei primi anni Ottanta, mi fu comunicata la promozione da Procuratore d’Agenzia a Vicedirettore d’Agenzia.
Decisi di festeggiare con i miei cinque collaboratori, per cui ordinai qualcosa dal vicino bar. Un cliente si accorse dei festeggiamenti e capì che erano per me. Gentilmente si avvicinò, mi fece a sua volta gli auguri e chiese quale ne fosse il motivo. Pertanto gli dissi che ero stato promosso Vicedirettore dell’Agenzia. Il cliente strabuzzò gli occhi e rispose: “Ma scusi, lei qui non era già il Direttore?!” Già. Perché tutti, nelle agenzie, chiamavano e chiamano “direttore” chi ne è a capo, indipendentemente dal suo vero grado. Cercai di spiegare la faccenda al cliente, ma non sono sicuro d’esserci riuscito. Secondo me, quel tizio è rimasto col sospetto che io fossi stato degradato.
Potrei raccontarne tante, ma preferisco chiudere pensando non più alla banca, che presto resterà un ricordo lontano. Ora voglio pensare alla mia vita di pensionato. Il che inevitabilmente mi porta a fare paragoni.
Per esempio, nei periodi di forte lavoro, quando l’economia marcia, qui sono sempre stato stimolato dalla Direzione a trovare nuova clientela che porti del denaro, ciò che in gergo si dice “fare la raccolta”. Ma cosa potrà significare per me questa espressione, da pensionato? Per esempio, che coltiverò un mio orticello e “farò la raccolta” dei pomodorini, delle insalate, dei peperoni...
Oppure: la direzione batte sempre sul famoso “budget” (detto all’italiana “baget”), e siamo tutti martellati dal baget, baget, baget. Ma io al massimo potrei, da pensionato, leggere i libri di Baget Bozzo, se ne ha scritti. Ma non farò neanche quello, perché quel prete mi resta estremamente antipatico. E poi ancora: in banca bisogna concedere i fidi, ovvero impiegare denaro, “fare gli impieghi”. Quali saranno ora i miei “impieghi”?
Impiegherò il mio tempo nella lettura, nella scrittura e in altre cose che mi piacciono e non ho mai potuto fare, ma una cosa è certa: non “impiegherò” il mio tempo rimpiangendo la banca.
Al più rimpiangerò il calore di tutti voi che ora siete qui, a dimostrazione - come dicevo in esordio - della vostra amicizia. Perché qualche vero autentico amico, in 37 anni, l’ho trovato proprio qui in banca.
Un abbraccio a tutti!                                                                                         

                                                                                         Vittorio Catani - marzo 2009

 
Catani è nato a Lecce nel 1940 e vive a Bari dal 1955. Su “Topolino” - era la seconda metà degli anni ‘40 - apparve una coloratissima storia a puntate: Satana dell’Universo, con astronavi, marziani verdi dalle orecchie appuntite.Pochi anni più tardi nelle edicole apparve “Urania”, che Vittorio accolse come un dono dal cielo… anzi dallo spazio: Verso i quindici anni volle provare a scriverle da solo, le storie. Era diciottenne allorche’, nel 1959, fu assunto dalla Banca Commerciale Italiana. Il suo primo racconto pubblicato apparve nel luglio 1962 su “Galaxy”, edizione italiana dell’omonima rivista statunitense. E fu l’avvio. Oggi Vittorio Catani è un apprezzato scrittore di fantascienza.
Visitate il suo sito: ne vale la pena
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