Bacchelli e Mattioli : il poeta e il
banchiere
A
pensarci bene, l’amicizia fra Mattioli e
Bacchelli è un fatto naturale per due
personaggi la cui principale attività,
di banchiere per l’uno e di letterato
per l’altro, si inseriva per entrambi in
una molteplicità d’interessi ed in una
visione della società sì da rendere
improbabile che non si fossero
incontrati e stimati.
Pressoché coetanei, nati verso la fine
dell’Ottocento (nel 1891 Bacchelli, nel
1895 Mattioli), provengono entrambi
dalla provincia italiana, quella che,
per intenderci, ha dato,
indipendentemente dalla latitudine, i
contributi migliori alla cultura
italiana, approdando peraltro al grande
crogiolo costituito da Milano.
Raffaele Mattioli lo conosciamo tutti;
vale la pena invece di spendere poche
righe per parlare di Riccardo Bacchelli.
Nato a Bologna, Bacchelli si affaccia
sulla scena della letteratura in uno dei
periodi di più intensa attività e più
sentita ansia di cambiamenti, quello fra
le due guerre.
Nel 1919, insieme con Cecchi, Baldini,
Cardarelli fonda La Ronda,
rivista che durerà sino al 1922, che
teorizza la letteratura come esercizio
al di sopra delle parti, che sia
contemporaneamente evasione, ma anche
rifiuto di ogni compromesso. E’ una
posizione sostanzialmente diversa da
quella di Gobetti e Gramsci, che
concepiscono l’attività letteraria in
una dimensione di impegno civile.
L’esperienza rondista è però per
Bacchelli solo un punto di partenza, dal
quale muoverà verso la meditazione
storica, la cronaca di viaggio, la
saggistica e la narrativa, sia come
romanzo storico (basti pensare
all’enorme svolgersi del Mulino del Po),
sia come introspezione
psicologica-sociale (Una passione
coniugale, Tre giorni di passione).
Bacchelli va pertanto ben al di là della
gracile aristocrazia della posizione
della Fronda, per rappresentare in modo
straripante, focoso e a volte anche
ironico, il genere umano e le sue
vicende.
Stilisticamente egli resterà sempre
legato alla grande tradizione classica,
staccandosi totalmente dai
suoi
coetanei. Il Mulino del Po è uscito nel
1940, molto dopo la pubblicazione de
Gli indifferenti di Moravia (1929) e
de La Coscienza di Zeno di Italo
Svevo (1923): però leggere il romanzone
di Bacchelli vuol dire fare un salto in
pieno Ottocento, ai tempi del Manzoni o
di Tolstoi.
Anche la poesia che accompagna queste
note - e ne è il pretesto - è
caratterizzata da uno stile classico,
avulso dal suo tempo, se pensiamo che
Bacchelli si colloca, anagraficamente,
fra Ungaretti (1888) e Montale (1896).
Per noi che viviamo a Milano (e
dintorni) è simpatico ricordare che
Bacchelli fu, insieme con Orio Vergani,
il fondatore del Premio Bagutta, creato
da una combriccola di letterati e
giornalisti che si riuniva nel celebre
ristorante (allora probabilmente più
trattoria toscana e meno luogo alla moda
per stilisti e turismo di lusso). Questi
amici si vedevano con regolarità a cena
e avevano preso l’abitudine di dare una
multa a chi arrivava in ritardo o
saltava l’appuntamento. Fu il
giornalista Orio Vergani che ebbe, nel
1926, l’idea di utilizzare la cassetta
delle multe come fondo di partenza per
il premio da assegnare “all’autore del
libro che a noi piacerà di più”.
Bacchelli resterà presidente a vita del
premio.
Me ne andavo sui Navigli di Milano in
cerca di cose antiche, come fanno la
domenica mattina molti milanesi e, tra
le carte ed i libri di una bancarella mi
sono imbattuto in un “ricordino”, come
veniva chiamato il foglietto che una
volta veniva stampato in occasione della
morte di qualcuno.
Il fatto straordinario, aldilà della
tristezza del reperto, era che
riguardava gli affetti privati di
Raffaele Mattioli ed in particolare il
suo dolore per la scomparsa della
nipotina Ricciarda, di soli 3 anni,
avvenuta nel 1959.
Riccardo Bacchelli partecipa al lutto
dell’amico con questi versi che, ad oggi
inediti, testimoniano il grande legame
affettivo esistente tra di loro:
A UNA BIMBA
MORTA
Venuta in vita a dimostrare
ai tuoi
Quanto siano disuguali le
parole
A dir la lieta piena
dell'affetto,
Vi dimorasti quanto bastò
loro
A conoscerlo intiero. Il
primo fiore,
Forse il più bello, avresti
dalla vita:
E senton essi diseguale il
petto
E l'animo alla piena del
dolore.
Se tanto dai di pena, fu la
gioia
Pur grande: ma passò; resta
la pena
E il generoso arcano
dell'amore.
Or quanto anche una volta le
parole
Pietose sien inani insegni a
noi.
Riccardo Bacchelli
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Il mio
pensiero va all’umanità di questi
due uomini diversi ma così vicini,
nonostante l’aspetto burbero e
severo, nella profondità dei
sentimenti.
Marco Cadegiani
Abbiamo tratto il
presente articolo di
Marco Cadegiani dal
cessato sito Anpecomit
Milano, a suo tempo
gestito da uno dei
fondatori di piazza
Scala, l'amico Domenico
Pizzi.
Ci ripromettiamo di fare
la stessa cosa anche in
futuro, per non
disperdere un patrimonio
che ci appartiene.
La Redazione di Piazza
Scala
23 gennaio 2009 |
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