Testo e fotografie di Peppe Russo (Trapani)

 

Il culto di San Giuseppe è stato sempre vivo nell’animo dei siciliani, soprattutto in quei paesi di cui il santo è il patrono; il Pitrè (noto studioso delle tradizioni popolari siciliane) ne indica tredici, ma sono molti di più quelli in cui la festa di San Giuseppe assume particolare rilevanza.
Per onorare il Santo, nei giorni che precedono il 19 marzo – appunto festa di San Giuseppe – chi intende ringraziare il santo per un favore ricevuto o per voto, organizza la “cena” (o “l’ammitu” – invito ‐ o “l’artaru” –altare ‐ secondo il paese in cui si tiene la manifestazione).
Al banchetto sono invitati tre bambini, scelti tra i più poveri del paese, che rappresentano la sacra famiglia.
In un locale della casa è allestito un altare, decorato con piante di mirto e alloro, mentre le pareti della stanza sono arredate con coperte di ottima fattura, generalmente scelte tra quelle del corredo della padrona di casa. Davanti all’altare è poi collocato un tavolo, al quale siederanno i tre bambini invitati, arredato con tovaglie di puro lino e riccamente ricamate.
La preparazione dell’altare è preceduta da un gesto penitenziale: la questua, rituale che prevede che il padrone di casa faccia il giro del paese per chiedere farina, olio, uova o anche denaro, da utilizzare per la preparazione dei pasti.
Il giorno del santo, la sacra famiglia va in chiesa per partecipare alla celebrazione eucaristica e la benedizione e quindi ritorna a casa in processione, talvolta accompagnata dalla banda musicale. All’arrivo però trova la porta chiusa (in ricordo del fatto che Giuseppe e Maria all’arrivo a Betlemme non trovarono posto in albergo); Giuseppe bussa per due volte agli usci delle case e per due volte riceve un rifiuto. Alla terza richiesta la porta si apre al grido di viva Gesù, Giuseppe e Maria ed ha inizio il pranzo, formato da molte portate (non meno di 19 e non più di 101).
Altra caratteristica della manifestazione è la preparazione del pane di San Giuseppe, che impegna per diversi giorni sia la famiglia sia i vicini di casa. L’impasto del pane segue un preciso rituale. Il pane deve essere tutto di peso e dimensione diversi e le forme devono rappresentare fiori, piante, animali, oggetti di uso comune. Quello dedicato a Giuseppe rappresenta un bastone decorato con un giglio, a simboleggiare la purezza; il pane dedicato a Maria è decorato con una rosa e guarnito di datteri (cibo che Maria secondo la tradizione mangiò durante la fuga in Egitto), mentre quello di Gesù è abbellito con gelsomini, uccelli e con i simboli della sua passione. Il tutto è collocato sull’altare assieme ai cucciddrati, caratteristici pani di forma rotonda e vuoti al centro.
Oltre al pane, sull’altare sono collocati, a rappresentare l’abbondanza, grandi cesti ripieni di frutta e ortaggi, in particolare finocchi e agrumi.
Alla fine del pranzo, i pani – dopo essere stati benedetti dal parroco – sono regalati a parenti e amici.
Le foto che seguono sono quelle di due altari preparati a Paceco (Trapani). I pani esposti sugli altari sono stati creati dalle pazienti mani di massaie e volontari (anche bambini) e sono preparati con farina, poco lievito e acqua.

Peppe Russo - marzo 2010

 

 

 

Galleria di fotografie (cliccare sulle miniature per ingrandirle)


il gallo simbolo del tradimento di Pietro

Il pavone simbolo della bellezza del creato

pani

 


pani

altare a tre gradini

particolare dell'arredo

l'altare

 

 


decorazioni dello spazio antistante l'altare

particolare

 

 


l'uva

 


particolare

 


l’altare a cinque gradini(*)

particolare

 

 

 


le tre lettere sul frontale dell'altare a ricordare il nome di Giuseppe, Maria e Gesù

altri simboli della cristianità

particolari

visione totale dell'altare

(*)l’altare a cinque gradini; in evidenza i tre pani più significativi: u cucciddratu che simboleggia il sole, dedicato a Gesù bambino; u vastuni (bastone) dedicato a Giuseppe e a pajma (palma) dedicato a Maria. Sul
gradino successivo gli stessi pani, ma più piccoli, che rappresentano la fede dei popoli, uguali nella fattura in quanto Dio ci ha creati simili a Lui. Quindi la spera cioè l’ostensorio con due angeli inginocchiati. Quindi il calice con le spighe e l’uva ed ancora due angeli inginocchiati.

 

 

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Piazza Scala - Aprile 2010