RISUSCITARE LA VECCHIA COMIT?
L’amico Gino Luciani e in precedenza altri vecchi e meno vecchi
nostalgici della banca che ci ha nutriti e che noi abbiamo
nutrita nei decenni scorsi hanno dibattuto sull’opportunità e
sulla possibilità che quel glorioso istituto rinasca e che la
sua ragione sociale ritorni sul mercato italiano e su quello
mondiale che aveva calcato più che degnamente per oltre un
secolo. Diversi giornalisti ed opinionisti specializzati hanno
pure sollevato la questione e l’hanno motivata, soprattutto da
quando la crisi finanziaria mondiale è esplosa travolgendo molti
istituti in giro per il pianeta e mettendo in difficoltà tutto
il sistema finanziario, figlio dei rivolgimenti iniziati verso
la fine degli anni ’80 e generalizzati con gli anni ’90 a
rimorchio della finanza anglosassone.
Com’è stato detto, i patti stipulati al momento della fusione,
con il tempo sono stati disattesi e il nome Banca Commerciale
Italiana è inopinatamente scomparso. Non solo: tutta o quasi la
vecchia dirigenza è stata fatta fuori, senza riguardo per
l’esperienza, le capacità, le relazioni sul mercato eccetera. E’
poi stato inventato un nuovo nome, poi cambiato ed integrato in
tre o quattro riprese, un nome del tutto ignoto ai mercati.
Certo, la Comit era molto più piccola di quanto sia oggi il
gruppo Intesa che riunisce molti istituti, alcuni dei quali
medio/grandi ed ha notevolmente aumentato il numero delle
filiali e la presenza sul territorio, mentre all’estero ha
ridimensionato la presenza nei paesi occidentali per espandersi
all’est, ma io ritengo che la rinuncia al marchio Comit, o
meglio BCI (BI SI AI nel mondo anglosassone) sia stata una mossa
sbagliata, dettata quasi, si potrebbe sospettare, da antichi
livori.
Ciò detto, non mi sento di affermare, come qualche giornalista
sostiene, che un ritorno al vecchio sistema di fare banca sia
oggi possibile ed opportuno. In questi ultimi vent’anni la
finanza è drasticamente cambiata, non solo e non tanto per
l’affermarsi prepotente di molti speculatori e
banchieri/speculatori, quanto per l’introduzione di prodotti e
metodologie più sofisticati al servizio delle aziende e delle
famiglie, per la globalizzazione dei mercati, la maggiore
facilità e velocità delle comunicazioni, per l’affermarsi del
modello di banca globale, per la commistione fra banca
commerciale e banca d’affari, forse non regolamentata a
sufficienza, per la necessaria maggiore specializzazione dei
funzionari.
La separazione fra “retail”, “corporate” e “private banking”
nelle unità operative e al centro è ora una necessità, sentita
in primo luogo da molte aziende, soprattutto medio/grandi. Non è
più pensabile un Direttore di filiale che si occupi di tutto,
sia esperto in tutto, ciò può andare ancora bene nelle agenzie
di città e provincia e solo per una parte delle piccole aziende
e per la massa dei privati. Anche nei confronti di certi
investitori più facoltosi, è necessario un approccio più
specializzato, come avviene oggi con il Private Banking. Del
resto, anche il rapporto personale con i clienti soffre ed ha
sempre sofferto, anche ai nostri tempi, del necessario,
periodico turnover dei funzionari e dei dirigenti. Solo nelle
banche locali ciò è meno marcato.
Quanto detto non significa che il nome della nostra vecchia
banca non possa essere riesumato, anzi. La Comit, oltretutto,
fra le banche italiane era quella più moderna, più vicina alle
esigenze più avanzate delle aziende. Era titolo di prestigio
esserne clienti.
Giacomo Morandi - 26 novembre 2009 |