Ritorna il modello della "vecchia" Banca Commerciale Italiana?
 
 
17 giugno 2009
 
Solo una banca old style rimetterà in moto il credito
di Giuliano Malacarne - direttore generale per l'Italia del gruppo Citi
 

Un sistema del credito efficiente, con la sua naturale funzione di finanziamento del settore produttivo, viene considerato da osservatori, tecnici, economisti, ma anche dai governi respon­sabili della politica economica, come condizione necessaria per una pronta ripresa. Le turbolenze che hanno assediato il settore finanziario dalla seconda metà del 2007, hanno lasciato un chiaro segno su tutti gli indicatori dell'econo­mia reale e, nel 2009, la maggior parte del mondo sviluppato registrerà tassi di riduzione del pil nazionale di dimensioni inaspettate.
B sistema nelle ultime settimane ha dato segni di reazione e di vitalità. «Il peggio è passato» si dice; ma è anche viva la preoccupazione che la crisi non abbia esaurito tutto il suo potenziale distruttivo. In questa situazione ancora di incertezza, l'analisi e la valutazione dell'andamento degli aggregati creditizi impegna quotidianamente governi, banche centrali e tutti gli operatori del sistema: se il ciclo del credito s'inceppa perdendo la sua fluidità naturale, più complessa e dolorosa sarà l'uscita dalla crisi che stiamo vivendo. A loro volta gli istituti di credito stanno vivendo la loro contraddizione, cercando di conciliare obiettivi contrastanti:
a)  da una parte devono promuovere un profondo deleverage, cioè devono ridurre il totale degli attivi, composti da titoli più o meno tossici ma in misura prevalente da finanziamenti al settore produttivo. Quindi meno finanziamenti alle imprese;
b)  d'altra parte devono assicurare flussi di credito all'economia, in un contesto in cui altre fonti di raccolta (bond, securitization ecc.) sono diventate inaccessi­bili ai più. I governi dei vari Paesi e gli istituti centrali fin dall'inizio della crisi finanziaria (sicuramente dal caso Lehman in poi) hanno ben capito la contraddizione che gli istituti di credito stava­no affrontando e, pur non risparmiando critiche all'operato del settore bancario, hanno agito in maniera massiccia con interventi sulla liquidità, sul capitale e anche sul sistema dei controlli. Queste azioni sono state necessarie, è chiaro a tutti. Ma sono sufficienti per innescare e mantenere un ciclo virtuo­so del credito? Solo interventi esterni, o macro, possono facilitare il raggiungimento degli obiettivi? Oppure le banche possono contribuire attraverso una riorganizzazione del sistema distributivo e produttivo del credito? Due aspetti, in particolare, che hanno attinenza con i comportamenti del settore bancario, vale la pena approfondire. Le conside­razioni sono relative prevalentemente al segmento corporate, dal momento che dinamiche in parte differenti hanno ca­ratterizzato il segmento retail.


La distribuzione. Negli ultimi 10/15 anni l'individuazione di obiettivi dì redditività crescenti ha portato il settore bancario a privilegiare strumenti e prodotti ad alta marginalità che fossero quindi compatibili con i rendimenti defi­niti a livello consolidato. Abbiamo visto la nascita e il proliferare di soluzioni più
0 meno sofisticate che si aggiungevano all'offerta classica degli istituti di cre­dito. In questa evoluzione il prodotto/ servizio finanziamento ha in parte perso la sua centralità. Il credito, penalizzato dall'alto livello di utilizzo di patrimonio regolamentare, non poteva e non può competere in termini di redditività sul capitale con altri prodotti.
A livello di distribuzione bancaria il fi­nanziamento veniva offerto soprattutto se facilitava la promozione dei prodotti a più elevato margine, come i deriva­ti, i titoli negoziabili, la negoziazione la gestione della liquidità, il corporate finance. Questa è una prima contraddizione: il servizio finanziario considerato primario e fondamentale dal lato della domanda, cioè dal mondo delle impre­se, viene considerato dai fornitori, le banche, alla stregua di un prodotto pro­mozionale. Immaginate se un individuo non avesse accesso diretto all'acquisto di un prodotto per lui fondamentale, ad esempio i medicinali, ma per ottenerli dovesse comprare altri beni quali auto, orologi eccetera.
Il problema che si potrebbe porre oggi è che generazioni di relationship manager/settoristi, cioè la dorsale del sistema distributivo bancario, sono stati formati ed educati nel paradigma del cross-selling, cioè della vendita del prodotto-finanziamento unicamente in copia con altre soluzioni ad alto margine. Nel momento in cui, per motivi esogeni di sistema, la domanda di soluzioni come capital market, derivati o altro è oggettivamente sparita o si è drasticamente ridotta, la sola erogazione del finanziamento non rientra tra le alternative metabolizzate dalla forza vendita in anni di esperienze.
Il rischio è quindi che gli imponenti sforzi e gli interventi esterni attuati dai governi al fine di assicurare il flusso di credito al mondo delle imprese, trovino, perlomeno in parte, un livello di resistenza problematico già nel primo anello della catena distributiva bancaria.

 

Il prestito alle imprese à diventato
un prodotto-civetta per vendere altro 


Il settore ha via via perso la capacità
di valutare la solvibilità delle aziende

 

Produzione. La macchina produttiva del credito coinvolge diversi aspetti, dalia gestione della liquidità alla gestione delle scadenze, ma soprattutto coinvolge il processo di valutazione del rischio di credito. Il patrimonio di conoscenze e di esperienze relativo alla valutazione e alla gestione del rischio di credito è una competenza che caratterizza la funzione stessa di banca. Passaggio obbligato, almeno in passato, per ogni sviluppo di carriera all'interno degli istituti, la padronanza degli strumenti di analisi era considerata professionalità fondamen-tale e coinvolgeva una valutazione individuale delle imprese, interessando tutti gli aspetti di specificità della singola azienda nel contesto del settore. Gli indicatori più generali, macroeconomici
o di mercato finanziario, rappresentavano un valido e necessario complemento all'analisi individuale.
Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a una progressiva migrazione verso i dipartimenti di valutazione crediti di figure professionali cresciute nell'ambito dell'operatività e della gestione «rischi mercati finanziari». Questi profili hanno portato un solido bagaglio quantitativo e la capacità di leggere in tempo reale tutte le indicazioni fornite dagli indicatori di mercato. I sistemi di approvazione del credito sono diventati più snelli, più veloci e in parte si sono ridotti i costi di questo processo produttivo. L'analisi individuale dell'azienda, delle sue capacità reddituali prospettiche, della forza del management e di tutto quel bagaglio di competenze che sono l'es-senza dell'azienda stessa, sono diventati elementi di contorno nella valutazione del merito creditizio, a sulla base dei trend dei Credit default swap (Cds) di settore o della singola azienda, dei prezzi espressi dal mercato dei Clo/Cbo per quelle tipologie di attivi e dall'appetito e dalle condizioni richieste dagli hedge fund per acquistare finanziamenti corporate (soprattutto nel segmento «leveraged finance»). Questo approccio era basato sulla presunzione che questi indicatori di mercato esprimessero implicitamente informazioni di qualità superiore rispetto a quelle prodotte dall'analisi di credito tradizionale. Il problema nasce quando, come è successo dall'inizio del 2008, i prezzi dei Cds esplodono, il mercato dei Ciò scompare e gli hedge fund sono costretti a una drastica cura dimagrante, cioè quando gli indicatori di mercato impazziscono e non rappresentano più un riferimento utile per l'analisi del credito. La conseguenza è che il processo produttivo s'inceppa; in poche parole si riducono le erogazioni di credito. Per mantenere vivo il processo è perciò fondamentale tornare velocemente alle metodologie classiche di valutazione del credito; ma nel frattempo le competenze in banca sono cambiate e i vecchi funzionari del settore credito sono in pensione. Ricordate quando per affrontare il problema informatico del passaggio dell'anno 2000 le aziende cercavano disperatamente specialisti che potessero intervenire su programmi scritti in linguaggio Cobol, cioè un linguaggio non più utilizzato per nuove applicazioni ma ancora presente nelle complesse architetture informatiche delle società? Bene, questi specialisti venivano reclutati soprattutto in Florida, tra la popolazione di settantenni che avevano contribuito dagli anni 60 all'informatizzazione del «mondo corporate» americano.
In banca non siamo certo a questi livelli ma ci sono notizie che diverse banche europee hanno cominciato a richiamare credit officers che avevano, forse, troppo precipitosamente pensionato.


Conclusione. L'emergenza credito è un fenomeno vissuto da tutti i contesti economici e ad essa è in parte legata l'evoluzione della crisi che stiamo vivendo. Le considerazioni svolte in precedenza non vogliono presentare una soluzione univoca a un problema talmente complesso e articolato da richiedere l'intervento coordinato da parte di tutti gli attori del sistema. Vale però la pena ricordare che le banche non sono e non devono essere soggetti passivi in questo processo, cioè soggetti che trasmettono passivamente (magari sotto il controllo di prefetti o altre istituzioni) al sistema scelte di politica economica e creditizia. Le banche hanno le competenze e le risorse per apportare un contributo costruttivo, anche ripensando la composizione dei loro processi intemi,

 

 

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