Piazza Scala

 

 

    in sottofondo UNA NOTTE AL MUSEO (colonna sonora)   

 

 

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“La bellezza salverà il mondo”
, è una frase ormai celebre, sulla bocca di tutti, l’ho sentita perfino sul metrò a Lampugnano, anche se viene da più lontano (da Dostojevsky, credo). Sono belle parole, ma siamo sicuri che sia (sarà) così? Se ci guardiamo intorno, nelle nostre città, nei campi, nei boschi, nelle acque, la bellezza non la vediamo: vediamo piuttosto incuria della natura. Non la vediamo neanche nel parlare, nel gestire, nel vestire della gente, nei rapporti sempre più chiusi, distaccati, indifferenti. La bellezza è sparita anche dai volti di tante persone che soffrono per la crisi e che hanno perso il posto di lavoro. Anche alla (ex) Banca Commerciale, questo destino è toccato a tanti (ex) colleghi. Svuotato il salone di Piazza della Scala, luogo simbolico dell’Istituto, che ora accoglie un Museo colmo di opere d’arte esibite a visitatori estatici, ignari di quanto avvenuto là dentro: di vite vissute giorno per giorno, ora per ora, nella fatica di un lavoro quotidiano, ormai cancellato per sempre. Un museo che nasce può riempire quel vuoto?

Per questo quando  ho visitato il “Cantiere del ‘900”, insieme al nipotino, ho provato come un senso di disagio e di tristezza.

“Nonno, dove sono i dinosauri?” Evidentemente il piccolo pensava di trovarsi di nuovo al Museo  di Scienze Naturali, nel quale, poco tempo prima, aveva addirittura dormito una notte con i compagni di scuola, tra lucertoloni preistorici di ogni tipo.

Seguendo il percorso espositivo, mi veniva di pensare:  non erano forse opere d’arte, fatte di carne e sangue, di sudore, quei colleghi che lavoravano agli sportelli, dietro le scrivanie, alle macchine, ai telefoni, erano meno degni i buchi nei circolari che faceva il  il Panigada dei tagli di Lucio Fontana o di certi sgorbi che neanche Sgarbi riuscirebbe ad esaltare? Queste opere vive sono state rimosse, al loro posto sono appese opere di ben altro valore, certo, ma che arrivano da un’arte calata dall’alto, accademica, fredda, spesso indecifrabile. Per capirle ci vuole la sensibilità giusta: forse nel mio caso non è così, forse sono un’ignurant  quader, in ogni modo ho sentito del disagio. Si dice che l’arte vera debba essere patrimonio della gente, debba saper coinvolgere, emozionare, consolare, aprire un dialogo. Allora mi chiedo: cosa potrebbero  provare, ad esempio, un esodato in crisi o un qualsiasi disoccupato, di fronte a una spirale di Crippa o allo scovolone di Pino Pascali o ai tanti “senza titolo” di cui è disseminata la mostra? Potrebbero sentirsi arricchiti,consolati, incoraggiati? Hai voglia a parlargli di arte, Senza felicità non si può godere dell’arte. Occorrerebbe prima dare serenità alle persone, col lavoro, con aziende che possano trovare le risorse per funzionare. E le banche sono (sarebbero) là apposta per fornire questo alimento. Ma in questo tempo che cancella l’uomo e il suo lavoro, le banche sembra che preferiscano fare altro.

“Nonno, quando ci venite a dormire in questo museo?” Beata innocenza! A pensarci,però, potrebbe essere un’idea. Nel silenzio delle sale vuote e buie,  potremmo forse riascoltare le voci, il ticchettio delle macchine, gli squilli dei telefoni, i colpi del Panigada e far rinascere la presenza di quell’umanità diligente e operosa, sparita all’improvviso. Fa effetto parlare ora di quei tempi, sono passati pochi anni e  sembrano quelli del Carlo Codega.

“La bellezza salverà il mondo”, ma non ha salvato la Comit, la banca nella quale si è svolta la storia di un secolo di capitalismo italiano: logiche di potere, ignote ai comuni mortali, ne hanno decretato la sparizione. Della grande Comit  non è rimasto quasi niente, nemmeno il marchio, solo la scritta in alto, lassù sopra il Museo.

 

Avevamo un Fondo Pensioni, sparito anche quello. Anzi c’è ancora: è pieno di liquidi da traboccare ed è in liquidazione, ma non è ancora liquidato.

Ora sembra che si riparta con il nuovo riparto, ma meglio non parlarne, perché il quadro è poco chiaro, indecifrabile come una delle opere astratte, informali, spazialiste, concettuali, eccetera, della collezione Intesa Sanpaolo. L’unica certezza è che bisogna assolutamente dargli un taglio, ma per questo ci vorrebbe Lucio Fontana.

 

GIOZ (Giorgio Cozzi)

 

 

 

 

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Piazza Scala - aprile 2013