Miseria e solitudine sono le protagoniste di questo malinconico racconto di Giorgio Cozzi. L'abbinamento porta alla disperazione che induce la protagonista a sacrificare quanto ha di più caro per sottrarsi ad un avvenire incerto e trovare di nuovo la speranza.

 

 

“Libiamo, libiamo né lieti calici…” il trascinante pezzo della Traviata invade le due stanzuccie di Natalino, all’ultimo piano del casermone popolare. Vengono da un disco consumato, ma capace di pompare vitalità in quel mucchietto di ossa che ancora lo qualificano come essere vivente. Eppure, alla soglia dei settanta, è ancora un accanito maratoneta, di quelli che vedi correre e smaniare, al caldo e al freddo, con facce da calvario che fanno compassione. Del resto ha passato una vita a correre, come commesso di banca, da un ufficio all’altro, da un’agenzia all’altra. Così la gente lo chiama ancora “el bancari”. Dopo la perdita della moglie ha continuato ad allenarsi con grinta sempre maggiore, quasi per ricercare nella fatica un sollievo alla solitudine.   

Unica compagnia per lui è la Traviata, unico svago le corse e guardare giù dalla finestra il balcone fiorito della signorina Adelaide, pensionata come lui, anche se dire pensionata sarebbe esagerato: ex cantante lirica, vive di un (magro) sussidio che la Società degli Artisti le assegna, non avendo conseguito il diritto alla pensione, un brutto male alla gola le ha stroncato la carriera poco più che quarantenne.  

Unica compagnia per lei è Mara, la gatta, unico svago le azalee. Certo non le sfuggono le occhiate di Natalino e le note del celebre coro verdiano che la riportano ai suoi trascorsi artistici, che sono ormai solo l’eco di un passato dimenticato, anche se la musica e il canto sono stati la sua vita. Fino alla malattia. Fino a quando il “maestro” Benazzi, che l’aveva presa sotto la sua ala (e sotto le sue lenzuola), era passato ad altri intrattenimenti. Quindi niente più musica, niente più canto, niente insegnamento. Così, man mano, ha dato fondo ai risparmi messi da parte e ora non le resta che quel misero sussidio. E anche di uomini non ha voluto più saperne. Ora c’è solo Mara a riempire la sua solitudine. Mara scontrosa, irrequieta, che va e viene, sparisce, ritorna. Un vero felino, ma un “filino” più felino degli altri. 

Un certo giorno il tran tran della sua quotidianità viene interrotto da una raccomandata. La busta è della Società Artisti. Legge il foglio con ansia: “Gentile signora… eccetera… stante la situazione di crisi, i tagli alla cultura… eccetera… siamo spiacenti di doverle comunicare che… eccetera… ci auguriamo in futuro…”. Il sussidio! Finito! Sparito! Un tuffo al cuore… e poi la mente viene trafitta dall’amara realtà: come fare a tirare avanti, come fare con l’affitto, le bollette e il conto in posteria, vecchio ormai di due mesi. Davanti le si apre il baratro dell’indigenza; vive lunghi giorni nell’angoscia, priva di ogni capacità di reazione… vorrebbe sparire… come Mara o lanciarsi come lei in uno di quei voli che solo i felini dalle sette vite sanno affrontare e giocarsi così la sua... unica vita.       

Quando suona il campanello quasi non lo sente… è Natalino, con in braccio la gatta. “Eccola qua la Mara... l’è saltada dal tecc fin sul mee lucernari e poeu la grattava coi ong per fass sentì, sta balossa, l’avrà faa on vol de tri o quatter meter, l’è proppi de cattà”.

“Grazie, signor Natalino, deve scusare…”.

“Ma, Adelaide… ancora con questo ‘signor Natalino’ non ci sembra che è ora di darci del tè? In fondo noi si vediamo da tanti anni o no? Anzi, sa cosa ci dico? Che nun du devom fa on bell festin… on bell pacett insema… per festeggià la Mara ritrovada. L’è minga ona bona idea? Dai, dai, ghe pensi mi…”.       

“No, non si disturbi, cioè sì, grazie, è una buona idea, ma tocca a me, non a lei, la gatta è mia… però, sa, non posso fare molto… ma se accetta, lo possiamo fare da me”.

“Sì, ma certo, va benone, inscì parlom on poo… anca de nun… perché, sa Adelaide… mi g’hoo in ment… una certa roba…”

L’emozione per l’invito è presto in lei azzerata dall’ansia: cosa preparare per la cena, quando nel frigo ci sono solo due limoni e del cibo per gatti e il borsellino è vuoto? Non può certo servirgli la sua solita tazza di the allungato.

“Qualcosa comprerò… magari poco, il salumiere capirà, magari solo mezzo pollo e tre patate… o solo le patate. No, non è possibile, sono indietro da matti col conto… mi dirà di no. Dovrei insistere, magari pregare… ma non sono capace… oh, merda! Sono stata una stupida… non mi resta che rinviare… cercare una scusa, ma è inutile, capirà… lo sa, lo sanno tutti che non me la passo bene… dirò che non sto bene… ma no, no… cosa dico… ormai devo… devo”.

La sera sente Natalino fischiettare e mandare il disco all’impazzata… Lo sente felice, e un po’ lo è anche lei: quel vicino è stato gentile, la prima persona dopo tanto tempo che le ha dato calore, amicizia… e forse anche di più. Quell’ometto semplice, mai considerato prima, può essere per lei l’ultima speranza, l’ultimo appiglio alla vita, prima del… volo.    

Il mattino dopo, alla fine dell’allenamento, ancora sudato e trafelante, Natalino si ferma alla posteria:
“Scior Belloni, incoeu vegnarà giò a comprà l’Adelaide, la cantante, sa… pora tosa, l’è proppi foeura di strasc … ci lascio io i soldi … se è di più, dopo ci dò il resto. Va ben inscì?”. “Va ben, Natalino … come se fà a minga fidass de on bancari…”
.

Alla sera lui si presenta in tiro, con una camicia troppo grande e un mazzo di fiori troppo piccolo, ma con un sorriso capace perfino di nascondere le rovine della carie.

“Ostrega Adelaide che buon odore di cose buone… e hai messo fuori anche le candele”.

“Stasera non si accende la luce… non so”.
“Ah, deve essere andata via… ma così è più bello”
.

“Senta Natalino… io avevo solo… del coniglio… volevo farlo con la patate, ma non ho fatto in tempo a scendere in posteria”.

“Ah, non sei mica scesa dal Belloni?... Ma va benone lo stesso e poi non siamo mica qui solo per mangiare, l’è vera?”.

E intanto mangia e parla, parla e mangia, invece lei non tocca quasi cibo.

“Cara Adelaide… scusami, sai io sono un po’ bagolone, ma adesso parlo sul serio: ti pare giusto che noi ci dobbiamo avere due alloggi. Con questa crisi. L’è ona robba de ciod! La mia pension de bancari l’è minga on granchè, come disen… ma l’è assèe… anca per du. Allora, dai, mettiamoci insieme… di sopra io c’ho un casa più grande, tè lasci indietro la tua e ci mettiamo insieme io, tè e la Mara… poi se andiamo d’accordo, magari… possiamo anche… Dai, pensaci su…  Ma, a proposit, in doe l’è la Mara?”

“Mara? Non so… sarà in giro. Forse ha annusato la festa e lei le feste non le sopporta. Sarà scappata da qualche parte… o avrà avuto un appuntamento. Chi lo sa, lei era… cioè… è… così inquieta, misteriosa… è un felino, no? Meglio lasciarla stare… tornerà un giorno… oppure… non so…”.

“ Che peccaa, l’era inscì bella e… tènera”. 

 

                                                                                                                                   Giorgio Cozzi (Milano)

 

 

 

 

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Piazza Scala - novembre 2014