Fortuna Della Porta
MULINARE DI MARI E DI MURI

 ….tienimi pronte le lenzuola di terra
E la coperta di muschio cardato

Alfonsina Storni
 




Sotto un albero alla Farnesina
 

(mare della storia)
Il pino fossile loricato a losanghe
con avanzi di carbone della foresta pietrificata,
mista al sughero alla calce al ferro, dai colori intatti,
è vivo
e il midollo esuberante, temprato e nobile,
alleva una chioma di solenne audacia.
Si espande come il respiro o un cerchio in acqua,
deforma lo spazio col suo ombrello smussato,
petulante di gabbiani e rabbonito dai fringuelli.
Respira.
Aria e tempo gli appartengono.
È un tempio.
Il fusto agghindato di chiocciole,
formiche a testa rossa solcano licheni
e lassù il manto picchiettato
è scandito dalla sua ospitalità.
È un titano.
Sonnecchia nella calura il suo ciclopico distacco
paventa la sua massiccia indifferenza.
Mente.
Come per il crogiolo terrestre
l’accavallarsi di strati preserva la fabbrica di Efesto
qui a guardia del tempo, sotto il cilicio,
resta un motore pulsante per aghi e frutti nocciolati
che dipanano dallo zenit il vortice dei secoli
sul prato del giardino pubblico che gli è toccato.
Solo i confratelli gli tengono il passo
l’erba è altra, la recinzione è altra:
altre generazioni sorte in grembo al domani
approntano merende con pane più raffinato
e si inseguono su meridiani elettrici
che roteano all’unisono sui pixel dello schermo.
Tuttavia il bicchiere di Falerno insiste ancora
a scaldare di rosso i pomelli
e il desiderio che suona la canzone della vita.
Laura, non è la stessa, per carità,
accoglie tra i capelli una rosa appena colta:
da un pezzo ha ceduto crinoline e cappelli
venuta a un passo sciolto, a una gonnellina breve
ma la stessa bocca di rubino,
gli stessi denti intrisi d’amore
mordono come tutti i germogli di altro passato
il frutto della propria illusione.
Svolge ancora in mille nodi al vento i capelli biondi
e brilla di turbamento lo sguardo.
La frescura arborea ammicca agli innamorati
perché i baci conservano un sapore di mandorle
alle redini di tutti i millenni.
Per la rinuncia si è troppo disperati.
Sul tronco si accumula stupefatta memoria
di mille accadimenti. Ogni radice ramificata
ha il suo filo di condensazione,
la sua guerra, un terremoto,
enciclopedia sotterranea della storia,
archivio segreto non adatto ai ciechi.
Il Tevere langue la sua ora a due passi,
appena percettibile si versa
nella rassegnata schiavitù del muraglione
che grava l’alveo immemorabile fino al mare.
Lo stesso solstizio da quando? coevi di abbondanza,
impastati di spazio-tempo,
muti spettatori dell’orologio del mondo.
Antiche galee impennano la corrente,
spade, elmi, scudi affondano il sole,
Eraclito non si è gettato nella stessa acqua
né ha toccato sostanza mortale nello stesso punto
ma ne resta impigliato il ricordo.
Qui seduta, le due eternità accapigliano
il mio segmento limitato:
l’appuntamento prefissato misura la mia frazione
sulla corteccia di un albero e un fagotto di acqua
che mi sovrastano.
 

                                                                                      

                                                                                     

 

 

Piazza Scala - novembre 2010