MARGHERITA
Quante volte con il pensiero Daniele
era corso ai quei giorni della giovinezza in Friuli? Tante ma sempre
era scattato nel suo cervello un blocco come se la natura volesse
proteggerlo da ricordi troppo dolorosi. I ricordi risalivano
addirittura a quando era ragazzo e viveva a Resiutta con i genitori.
Un periodo abbastanza felice fin quando morì sua madre. Allora aveva
sentito dentro di lui che qualcosa era finito per sempre.
Ma quella mattina le notizie trasmesse dalla radio sul tremendo
terremoto in Friuli, gli diedero una emozione troppo forte per non
influire sulla rapidità delle sue decisioni. Il modo migliore per
avere notizie era andare sul posto subito e cercare di avere notizie
dei vecchi amici.
Sbrigate in fretta alcune incombenze, Daniele prese l'auto e puntò
verso il Friuli. Passata Udine, dovette fermarsi. Si era fatta sera
e gli fu sconsigliato di proseguire col buio.
Trovò rifugio nell'angolo per gli attrezzi di una baracca di legno.
Non si accorse che una parete lo separava da un altro vano forse più
ampio e si stupì quindi quando più tardi dall'altra parte di essa,
udì provenire una voce di donna che cantava canzoni napoletane.
“Sono dappertutto quelli“ brontolò benevolmente, sentendo un gran
piacere. Perchè era oppresso ed entrato moralmente e
psicologicamente nella paura generale.
Bussò alla parete non per fastidio , ma per partecipazione
liberatoria. Gli fu risposto. Cominciò un dialogo: toc, toc
picchiettati sul legno, eloquenti come frasi. Finchè subentrò il
sonno.
Nel cuore della notte fu svegliato da una forte scossa di terremoto.
A Daniele non era ancora accaduto di sentirne di così terrificanti .
L'angustia che i picchiettii alla parete avevano attenuata, tornò
più profonda galoppando sulle onde sismiche, fin dentro la baracca
scricchiolante, fin dentro la sua anima.
Per trovare conforto, istintivamente bussò alla parete, alla ricerca
di un segno di vita. Non ebbe nessuna risposta, ma poco dopo udì
cigolare la porta che qualcuno apriva. Accese la torcia, diresse il
fascio di luce in quella direzione e vide, con meravigliata gioia,
una donna ancor giovane con grandi occhi dilatati e imploranti: era
entrata la solitaria occupante della baracca, forse priva del
mistero di cui, in altre occasioni l'avrebbe ammantata, ma che
percepì di una umanità intensa, tenera e calda, qual mai sino ad
allora ne aveva avuta esperienza; che gli si presentò come se lo
conoscesse e le sembrasse naturale chiedergli conforto. Non ebbero
bisogno di parlare, entrambi sospinti dallo stesso desiderio di
sopravvivenza si strinsero forte.
Di buon mattino si congedarono con una carezza ed un arrivederci ed
anche sulla strada , dinanzi a quel precario asilo, si ripeterono
confortanti speranze.
Quando salì sull'auto ed avviò il motore Daniele scoprì di non aver
saputo nulla , neppure il nome, di quell'essere semplice , dolce e
spaventato. Allora considerò , stupendosene, come creanze, abitudini
e formalismi erano diventati anche per lui così presto, ricordi
delle assurde barriere della vita di ogni giorno, quando il pensiero
della morte non sembra neppure una realtà che ci riguardi. Ma ,al
momento del distacco, la necessità umana di fissare un ricordo lo
spinse a chiederle: “come ti chiami?”
“Margherita e tu?”
“Daniele”.
Innestò la marcia. La macchina sussultò per le ruote che avevano
slittato sul terriccio.
Atteggiò il gesto della mano ad un ultimo saluto e fu subito dietro
la curva. Non la rivide mai più.
Giovanni Noera - marzo 2011
Giovanni Noera
-
Laureatosi all'Università di Torino, deve la sua
formazione culturale ai tanti incontri avuti nelle sue varie
residenze. Numerosi sono i suoi viaggi negli USA e in
Europa, oggetto di suoi articoli. Nato in Sicilia; ha
vissuto in Friuli, Trentino, Lombardia e Liguria. Da diversi
anni vive in Emilia. |