dallo spazio Facebook di Enzo Barone (Salerno)   
 
Nelle spaziose case di una volta, nelle quali dovevano coesistere secondo complicati rituali più generazioni in contemporanea (bisnonni, nonni, zii, attempate zitelle, nipoti e figli in numero esponenziale) non facevano difetto gli spauracchi immaginari per ricondurre i pupi capricciosi all’obbedienza. I nostri cari avevano a disposizione un campionario di soggetti dai nomi improbabili dei quali s’è quasi persa la memoria in questo mondo tecnologico, anche perché sembrano ben più terrificanti i mostri con i quali si confrontano i fanciulli grazie ai videogiochi e alla televisione. Che impressione potrebbero fare perciò Miezo Culillo, l’Uorco Maluorco, Maria Longa, gli zingari rapitori di bambini e quanti altri che - tranne forse l’Uomo Nero - sembrerebbero definitivamente confinati nel cantuccio dei ricordi dei meno giovani. Ma sullo scaffale dei bau bau resiste e conserva ancora un posto di rilievo, almeno in Campania, o’ Mammone, non fosse altro che per le citazioni effettuate sul suo conto appena qualche decennio fa da popolari artisti, quale Pino Daniele e la band di Napoli Centrale.

Quanto al primo, ricordiamo la canzone Ninnanannaoé del 1979, che andiamo subito a proporre:

Duorme Nennella mia/fino a che ven'o juorno,/duorme nennella mia/che è ancora notte./E strigneme 'e dete/sempe cchiù forte,/si vene 'o mammone/chiudimmo 'a porta./Duorme Nennella mia,/fora sta 'o malotiempo,/duorme nennella mia,/meglio ca nun siente./Ninnananinnanoè /Ninnananinnanoè. 

Circa ”Napoli Centrale” e James Senese, nel 2001 venne alla luce un album dal titolo “Zitte sta arrivanno o’ mammone”, dal nome del primo brano della compilation, pezzo che probabilmente risaliva a una ventina di anni prima. Il brano recita:

Zitte sta arrivanno o’ mammone/se sta piglianno o’ furgone/chiena è a’ mano e’ surore/se sta piglianne e’ valore/rint’a’ sta casa e‘ signore/chine e’ renare è o’ padrone… 

Navigando nel WEB troviamo poi un’intera pagina del 2007 dedicata ai “misteri” di Napoli (archivio tag: Franchini) che comincia proprio con una citazione del Mammone (*):

Rint’a (g)rótta s’è’ affacciàto/o’ mammóne nc’ha truvàto,/ca nun era appassiunàto./‘Na guardàta e ll’ha scansàto./Córre, córre./Scènne, scènne./Mmiez‘o màre s’e’ pusàto./E ‘nu pèsce s’è’ magnàto,/ca nun era abbandunàto./Rint’a rézza s’e’ annuzzàto./Córre, córre/Scènne, scènne./Ncòpp’a lùna s’e’ aiutàto./E c’o sóle s’e’ scarfàto./Ma po’ ‘a notte ll’ha acchiappàto./Rint’o cièlo ll’ha pusato. 

(*) Il piano configura una serie di mistèri in susseguenza, partendo dal primo “l’accummincià…” che è quello del Mammone, continuando con o’ mistèrio e’ Napule, o’ cumannà, a’ guèrra, l’ammore traritòre, o’ vino, a’ luna, a’ giuventù, l’appucundria.)

Da ultima, riportiamo una poesia alquanto di maniera di tale Antonio Ruggiero, che recita come segue:

'O Mammone

Io m'arricordo quanno criaturiello,/'a dint' 'o scuro accumpareva 'e bbotto,/na saguma 'e nu viecchio cu 'o mantiello,/n'ombra malegna e nera, tutt' e’ nnotte./E vvòte me pareva nu lione/ch'era zumpato 'a dint' 'a capa mia;/chell' ombra, sì, chell'ombra era 'o mammone/ca tutt' 'e nnotte me faceva 'a spia. 

Ecco allora i primi elementi di riflessione, abbastanza attendibili da essere presi in considerazione. Franchini afferma che il nemico sta nel profondo delle grotte, basterebbe forse ignorarlo e andare avanti, verso il mare, verso gli astri che brillano nel cielo, anche se la notte prima o poi inghiotte ineluttabilmente  tutto e riconduce le cose al loro posto, nell’immobilità del silenzio e nella mancanza del chiaro. Senza dubbio, si tratta di un mostro legato all’oscurità, nemico del sole e della luce. I nostri severi precettori lo associavano abitualmente agli spazi bui. Ricordo che venivano dischiuse porticine su stanzette anguste, oppure ante di profondi stiponi, per evocare al loro interno la presenza del personaggio che, evidentemente,  si celava nella penombra degli ambienti ristretti. “Accorte, si no vene o’ Mammone”, era l’ammonimento definitivo quando le insistenze dei ragazzini cominciavano a diventare insopportabili. La minaccia era accompagnata dall’atto del bussare con la mano sul legno. La voce dell’adulto si faceva bassa e profonda, il tono diveniva  evocativo di un evento malevolo che, una volta messo in moto, non si sarebbe potuto più arrestare. Che cosa potesse fare veramente o’ Mammone non era dato però sapere. Avrebbe fatto sparire la luce?  Sarebbe scomparso il sole per sua mano? Ci avrebbe trascinato dentro lo sgabuzzo per chiuderci in un sacco senza farci più rivedere i nostri genitori? In effetti, un’invincibile paura si collega al fatto di non poter vedere quello che abbiamo realmente di fronte. Per riempire lo spazio ignoto, la mente elabora istintivamente l’ombra che potrebbe celarsi in esso; sotto il letto, dietro gli usci, dentro un armadio poteva quindi ben annidarsi la figura nascosta che da un momento all’altro si sarebbe impadronita di noi.

Nell’oscurità, per tenere lontano il Mammone, occorrerebbe sbarrare le porte, come recita Pino Daniele, e restare vicini e abbracciati, perché nulla potrebbe il mostro contro l’amore e la protezione delle persone che ci proteggono. Almeno questo sembrerebbe l’esorcismo giusto. Ma, per fare questo, sarebbe stato necessario che gli educatori non avessero dato consistenza, proprio loro, a quelle  evocazioni pericolose. Se ancora oggi ci ricordiamo del Mammone, bisogna ammettere che sulla psicologia infantile i nostri vecchi sapevano ben poco. E contribuivano a suscitare un turbamento indelebile che lasciava tracce nelle coscienze dei più piccoli, indotti al rispetto delle regole attraverso l’iterazione della minaccia.

Dopo di ciò, diamo per assodato il principale ruolo del personaggio, quello del nemico della luce e signore delle tenebre.

L’afro-napoletano James Senese offre invece una rilettura “movimentista”, tipica della fine degli anni settanta: il Mammone è rappresentato come un bandito/vendicatore che diventa una specie di Robin Hood, perché toglie senza esitare ai ricchi, anche se il reato che commette non sembra avere finalità sociali, perché rivolto in fin dei conti soltanto alla soddisfazione dei consumi individuali. E, quindi, a parte il rap, diventa un’interpretazione collegabile a uno scontato lessico ribellista di certi gruppi musicali che nulla aggiunge alle funzioni di deterrenza preventiva del misterioso soggetto.

 


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Ma quale potrebbe essere l’etimologia dell’appellativo “O’ Mammone”? Le versioni più accreditate attribuiscono a due diverse atrocità l’alone di terrore che circonda questo nome. La prima si riferisce a un leggendario coccodrillo napoletano del XV secolo circa, del quale subdolamente si sarebbe servito Ferrante d’Aragona per disfarsi dei prigionieri scomodi gettati a marcire nelle segrete del Maschio Angioino. La seconda ricorderebbe invece la ferocia inaudita di Gaetano Mammone da Sora, già mugnaio ma soprattutto brigante di strada, nominato sul campo “generale” dell’esercito sanfedista dal cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria; un protagonista minore della tragedia cruenta nella quale si spense la nobile Repubblica Napoletana del 1799. Figura marginale, ma non tanto da non lasciare un segno: Gaetano Mammone si distinse per l’efferatezza della furia distruttrice di giacobini e repubblicani, soprattutto nella capitale e nel casertano. Alexandre Dumas, con la sua penna immaginifica, ebbe a descrivere ne “La Sanfelice” una di quelle “imprese”:

Il ferito rimase in piedi, ma oscillando come se stesse per cadere. Gaetano Mammone gettò la scure, balzò su di lui, con una mano lo tenne appoggiato al muro, con l’altra lacerò - senza che don Clemente avesse la volontà o la forza di opporvisi - la veste da camera e la camicia di batista, gli denudò il petto, strappò via il coltello piantato nella gola e attaccò avidamente le labbra alla ferita, da cui sgorgava un lungo filo scarlatto” .

Persino Benedetto Croce dedica al “vilain”un passaggio di questo tenore: “Il terribile Gaetano Mammone, il più efferato tra i capi realisti del 1799 (quel tale che soleva adornare le mense dei suoi banchetti, in cambio di fiori, di teste recise e sanguinanti di giacobini) morì in Napoli, nel 1802, nelle carceri della Vicaria, sotto l’accusa di aver tramato coi giacobini un’insurrezione contro il re…” (La Rivoluzione Napoletana del 1799).

Qualunque fosse stata la sua effettiva cifra (sanfedista, doppiogiochista), il nome di Mammone circolò senz’altro in Italia del Sud dalla fine del settecento in poi e non appare fuori luogo immaginare che a questo losco figuro fosse associato il nome e il simbolo dello spauracchio per bambini. Sul WEB qualcuno azzarda che “era tanta la sua bruttezza e il terrore che incuteva nel seviziare e uccidere le sue vittime che le sue gesta rimasero così impresse nel meridione, dove…per far paura ai ragazzini che facevano qualche marachella si era soliti dire <fai il buono altrimenti chiamo Gatto Mammone>…Gatto era una modifica di Gato che altro non era che il diminutivo di Gaetano”.

Se invece vogliamo ricorrere alla tradizione diversa (lo fa, per esempio, tale Johnny Seventyone, su YouTube, nel postare il famoso pezzo del 1979 di Pino Daniele), leggiamo assieme questo breve commento: "A Napoli, fino al secolo scorso, mamme insofferenti  minacciavano (i bimbi refrattari, diremmo noi) con questa frase e altre simili in cui s’intimava ai piccoli di comportarsi bene, altrimenti, il "mammone", spauracchio che si trovava sul portone secondario di Castel Nuovo, li avrebbe rapiti e portati via. Chi era per i napoletani dell'epoca il mammone? Una leggenda vuole che quello strano animale imbalsamato fosse un coccodrillo, il quale, nel quindicesimo secolo, si trovava nel fossato del castello per volere del terribile re Ferdinando I. Pare che l'animale avesse divorato i prigionieri catturati durante la congiura dei Baroni”. Una volta scoperto questo inusuale strumento di morte, si creò spontaneamente una caccia al sauro: il coccodrillo fu attirato con una coscia di cavallo quale esca; uscito allo scoperto, fu ammazzato, impagliato e agganciato alla porta posteriore del maniero. Il feroce divoratore sarebbe stato chiamato dal popolino, per la sua mostruosità, il ”mammone”. Vera o romanzata la vicenda, resta il fatto che l’immagine inquietante del coccodrillo campeggia ancora sulla porta a mare del Maschio Angioino (vedi foto). Che la leggenda si fosse tramandata per secoli, ne è testimone ancora una volta Alexandre Dumas che nell'opera «Storia dei Borbone di Napoli» nell’episodio “Nelle segrete” così riferisce (Dumas è bello e caro, ma nu’ poco prolisso. Si è eseguito perciò un drastico riassunto):

Domandate di vedere al Castel Nuovo la fossa del coccodrillo (...) Nel centro di un sepolcro scavato e costruito dalla mano degli uomini per seppellirvi i cadaveri vivi de' loro simili, si urta a un grosso masso di granito. Chiude ora l'orificio d'un pozzo che comunica col mare. Nei giorni di tempesta l'onda sale e perseguita il prigioniero persino negli angoli più lontani della sua prigione. Da questa bocca dell’abisso, dice la lugubre leggenda, appariva un tempo l’immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa. Quasi sempre vi trovava una preda e, dopo averla divorata, tornava a immergersi nel mare…Giovanna, la Regina crudele, dopo averne goduto i servigi, gettava i suoi amanti ancora vivi nelle fauci del coccodrillo nascosto nel castello. Sarebbero finiti in pasto al coccodrillo del Maschio Angioino anche i Baroni, protagonisti di una congiura ai danni di Ferrante d' Aragona. Il coccodrillo del castello sarebbe stato ucciso con un trabocchetto: gli avrebbero dato in pasto una grossa coscia di cavallo avvelenata.

Ecco che ritorna con insistenza la leggenda di Castel Nuovo, con ben due locali sotterranei adibiti quali luoghi di contenzione: uno detto “fossa del miglio” (era un deposito per il grano), l’altro “prigione della congiura dei Baroni”, probabilmente un allestimento d’occasione quando il primo ambiente non era bastato più per il numero dei detenuti. Il tutto prese nell’immaginario collettivo il nome di “fossa del coccodrillo”. I prigionieri scomparivano all’improvviso; fu predisposto un controllo maggiore e si venne quindi a conoscenza della presenza di questo enorme sauro che entrava da un’apertura nella parete, azzannava i reclusi e li trascinava con sé in mare. Pare che l’animale fosse giunto a Napoli seguendo una nave proveniente dall’Egitto. I governanti del XV secolo, efferati e senza scrupoli, si sarebbero serviti delle fauci del rettile per eliminare gli avversari che si volevano mandare a morte senza troppo scalpore. Sappiamo peraltro che un coccodrillo ha in natura una vita media dai 70 ai 100 anni e, qualora avesse fatto razza sotto gli scogli di Posillipo, potrebbe ben aver coperto un periodo tanto lungo che va dal regno della dissipata Giovanna II (morta nel 1435) alla Congiura dei Baroni (1491 circa), accedendo al menù prediletto grazie alla ferocia dei sovrani dell’epoca.

Chiudiamo con un accenno all’altro grande concorrente del Mammone, l’Uomo Nero, che ha all’incirca le medesime finalità di deterrenza. Questi è più propriamente un démone dell’iconografia anglosassone e ha vagamente l’aspetto di un uomo (il Mammone è  invece un’entità astratta, una citazione. Non sapremmo bene come raffigurarlo graficamente). Numerose sono le canzoncine negli Stati Uniti per questo personaggio degli incubi. Apprendiamo da Wikipeedia che  Il nome Boogeyman deriva probabilmente dalla parola inglese Bogman, usata per indicare  banditi costretti a rifugiarsi nelle torbiere (Bogs). Un'altra interpretazione fa derivare il termine dai bogie, spiritelli dispettosi che possono trovarsi nei granai, nelle cantine e nelle soffitte dove la gente accatasta le cose che non vuole buttare via. A differenza del nostro Mammone, che svolge il compito pedagogico su richiesta e non per esclusivo sadismo personale, l’Uomo Nero appare piuttosto come un criminale seriale che agisce in proprio, per la soddisfazione di un intrinseco sadismo. Descritto come una creatura atticciata e villosa,  vestita con pelli di orso e con cappucci che ricoprono corna e orecchie puntute e con stivali che nascondono i piedi caprini, il mostro si spinge dai boschi montuosi, ove normalmente dimora, verso paesi e città, con la sua gerla in spalla alla ricerca dei bambini da sequestrare. Insomma, un pessimo soggetto e bene fanno i bambini a evitarlo con cura.

In conclusione, suggeriamo sommessamente di non dare eccessivi fastidi al nostro Mammone che in fin dei conti non se li merita. Accontentiamoci di evocarlo proprio quando è indispensabile e con garbo sopraffino: lui farà il suo provvisorio dovere e ci saluterà con educazione. Ma, ove fosse contrariato, hai visto mai che la storia del coccodrillo risultasse autentica! Potremmo ritrovarci azzannati senza rimedio non da un  ectoplasma incorporeo, ma da qualche discendente di quel rettile che terrorizzò, per oltre un secolo, un popolo  incline al magico come quello partenopeo! 
 

Enzo Barone  - Salerno
 

 

 

 

 

 

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Piazza Scala - agosto 2014