Ci siamo tornati per la seconda volta quest'anno a luglio. Eravamo circa ad un migliaio di chilometri, all'estremo nord della Francia, ma abbiamo voluto includerla, forzando la marcia, fra le nostre tappe. Perché?

Nel  tentare di rispondere comincia il difficile di queste brevi note.  Infatti non ho intenzione di ripetere cose dette e ridette, tanto meno per chi non ha bisogno di raggiungere Lourdes per scoprire Dio.

Lo faccio, convinto che una visita a Lourdes non è solamente un momento di raccoglimento religioso per i credenti, ma anche una notevole esperienza umana per tutti, spalla a spalla con l'umanità sofferente. Come nella notte, quando migliaia di fiaccole accese si spostano nell'ampio piazzale quasi fossero una lingua di lava incandescente e l'umanità, resa omogenea da un misterioso denominatore comune, si ritrova avvicinata, spoglia di presunzione e avverte il senso del niente che siamo.

E uno dei miracoli di Lourdes che si rinnova ogni giorno da maggio ad ottobre.

Arrivando nella cittadina, della cui topografia ci si impossessa facilmente, la prima cosa che colpisce sono le numerose stradine fiancheggiate da innumerevoli negozi, in una successione ossessiva: vendita di santini, madonnine, recipienti per raccogliere l'acqua nella Basilica, crocifissi, candele e via dicendo:  un brutto impatto, diciamolo francamente e la sensazione di un grosso business,  anche se tutto rigorosamente fuori dall'immenso spiazzo recintato della Basilica.

Solo dopo essere stati dentro il recinto "sacro",  dopo aver trovato un'oasi di pace e silenzio, tornando in mezzo al brusio della gente che sciama fra i negozi  ed i numerosissimi  bar e piccoli ristoranti,  si comincia a fare una netta distinzione d'aspetto turistico dominato dalle leggi di mercato che nessuno può sovvertire (e poi perché?) e  l'aspetto religioso e di conseguenza umano. Tutti quei negozietti e bar illuminati sino a tarda notte contribuiscono a creare  un'atmosfera di animazione,  sulla cui importanza dirò più avanti.

Nel pomeriggio, si snoda attorno al grande piazzale la processione al seguito di un sacerdote con l'Ostensorio d'oro sotto il baldacchino di color solare. E dietro segue gente delle più diverse razze,  lingue, età  e ceto. E loro:  gli storpi, gli immobilizzati nei letti da anni. Loro liberati dall'ansia, accettati, non più emarginati,  parte integrante di quel popolo in processione,  con volti sereni,  alle volte persino sorridenti. Loro partiti dalle case o dagli ospedali senza che nelle teste sia passata l'idea che le gambe avrebbero ricominciato a sorreggere o gli occhi a rivedere la luce. Perché il punto è questo:  nessuno si attende il miracolo, ma conta di abbeverarsi di forza morale,  per una maggiore capacità di sopportazione.

Vicino agli infermi, a sorreggerli, a trainare le carrozzelle col tettino blu, ci sono i barellieri con le bretelle di cuoio, uomini di mezza età e giovanissimi:  gente delle fabbriche,  degli uffici,  delle scuole,  che non percepisce nessuna ricompensa ed ha rinunciato alle ferie.

Vi è anche un'altra presenza che colpisce per la compostezza,  la professionalità e l'impegno:  l'esercito bianco.  Medici ed infermiere.

Per consentire ad una vecchia donna distesa in una barella di partecipare, abbiamo visto bianche infermiere seguire la processione al  fianco dell'inferma,  tenendo levata in alto la flebo: dopo la processione le carrozzine con i malati meno gravi (gli altri vengono subito ricoverati) si riversano nelle stradine, trainati dai loro pazienti e resistenti  barellieri:  gli infermi cicalecciano, scherzano fra loro e con gli assistenti. Sembrano aver dimenticato la miseria del corpo mentre sostano nei  negozi  e nei bar con i "sani" in una straordinaria normalità.

Ad ora tarda, in alcuni locali, si levano  allegri canti di ragazzi e ragazze:  accompagnano  coetanei  ammalati nella straordinaria animazione di una notte.  In un mondo imbarbarito, accecato d'odio,  sempre in bilico fra pace e guerra,  ci si rasserena a vedere certe cose;  per esempio una ragazza bianca che accompagna abbracciata una ragazza nera, per aiutarla a camminare.  La parola "apartheid" non viene neppure in mente, rappresentando una  realtà  ancor  più lontana ed assurda.

Ma  a Lourdes  ci vanno anche coloro che,  a vederli  da fuori,  sembrano non aver nulla, i cosiddetti sani che in qualche occasione si tradiscono con una lacrima prepotente e furtiva. Quanti  sono,  spalla a spalla così?

Forse per un giorno, un solo giorno almeno,  si riesce a comprendere il senso di una parola abusata: fratellanza.  Forse sono pessimista.  Forse qualcosa accompagna anche dopo:  i credenti  e - a questo punto credo poter  ribadire la convinzione - i non credenti.
 

Giovanni Noera

 

 

Il titolo dato a questa raccolta di alcuni miei racconti, riassume ispirazioni trasmesse da vicende umane i cui protagonisti ho4 conosciuto nel corso della mio vita o stati d'animo particolari connessi allo tragedia che fu la guerra. Spero che dai vari racconti emerga la luce della speranza o il balsamo dello rassegnazione che sempre albergano nel cuore umano anche nei tragitti accidentati che tanto spesso lo vita costringe a percorrere. Giovanni Noera

Giovanni Noera
Laureatosi all'Università di Torino, deve la sua formazione culturale ai tanti incontri avuti nelle sue varie residenze. Numerosi sono i suoi viaggi negli USA e in Europa, oggetto di suoi articoli. Nato in Sicilia; ha vissuto in Friuli, Trentino, Lombardia e Liguria. Da diversi anni vive in Emilia.
Ha pubblicato tre romanzi:
- «Tempi perduti e ritrovati» (1° premio concorso letterario "La Vecchia Lizza a Marina di Carrara");
- «Per caso per sempre» (2° premio... Marina di Carrara);
- «Son tornate a frinir le cicale»; (Delta 3 edizioni).
Il romanzo «C'e una logica nel destino?» è arrivato 2°al premio letterario «L'inedito».
I racconti presenti in Emozioni hanno ricevuto il primo premio - XIii edizione concorso letterario «Padus Amoneus» a Parma).
Ha collaborato con alcuni periodici.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico




 

 

 

Piazza Scala - ottobre 2010