Lorenzo Milanesi: Tiramisù - o sia l'incontenibile desiderio    
     Rubbettino Editore    
 

 

"Che non men che saper dubbiar m'aggrada."
Dante, Divina Commedia, Inferno, XI, 93)

Nel corso della sua quarantennale attività bancaria l'Autore ha avuto l'opportunità di entrare in contatto con un gran numero di persone di estrazione e sesso diversi; una variegata rappresentanza della nostra società. Di una buona parte di esse, quelli che per qualche piega dei loro comportamenti, risultavano interessanti, ha steso un breve profilo. Una volta collocato a riposo, ha riesaminato con calma tutti questi profili ed ha avuto la sorprendente conferma di aver fatto, senza il sussidio di conoscenze scientifiche, una sconcertante scoperta. Che cioè una certa parte degli esseri umani è colpita da un tipo particolare di sofferenza, quella di sentirsi afflitta dalla condizione nella quale percepisce di essere relegata e che essa giudica "inferiore". Ma come fare a rendere pubbliche queste sue osservazioni senza inciampare in qualche limite o inesattezza scientifica?
L'Autore ha scelto di calare questo delicato argomento in una vivace sto¬ria di paese, così il lettore potrà leggere il libro con maggiore piacevolezza.


PERTINACE


Immensa soddisfazione prova di sicuro colui il quale, chiamato a prestare la propria opera dal paese natale in altro luogo, vi trova l'ambiente e l'accoglienza talmente favorevoli che vi profonde il massimo delle energie, ne ricava le opere più importanti e durature e ne riceve, come premio alle sue fatiche, onore e reputazione. Così fu di Pertinace, trapiantato in un paese non suo, nel quale svolse, con virtù esemplare, il mestiere di educatore dei giovani.

 

Sembrava che su ogni cosa si fosse posato un soffice manto di sonnolenza.
Il profilo dei monti si intravedeva a malapena attraverso la lieve cortina lattiginosa sospesa fra la terra umida e l'avaro azzurro del cielo. Il caldo insopportabile e l'aria viziata e pesante scollarono Pertinace dalla sedia sulla quale stava godendosi la lettura di uno dei tanti libri prediletti. Si avviò, il capo coperto da un cappello di paglia a larghe tese, verso il bosco di castagni che sapeva fresco d'ombre.
Era, Pertinace, un maestro elementare sulla cinquantina inoltrata. Uomo di buona salute e senza parenti, viveva in una casetta a un piano, con lo scantinato, una soffitta per riporvi le cose vecchie e un piccolo giardino tutt'intorno. Quando non era impegnato con la scuola, dedicava il suo tempo alle letture e alle passeggiate in campagna in mezzo agli alberi.
Convinto che i grandi pensatori dell'antichità avevano già detto tutto, ne aveva selezionato meticolosamente le opere che formavano la sua piccola ma pregiata biblioteca. Accanto a quelle di Platone e Aristotele, trovavano posto le opere dei tragici greci, di Seneca, Plutarco, Terenzio, Cicerone, S. Agostino e Dante. Qualche concessione all'età di mezzo, ma soltanto per quegli autori che considerava grandissimi, come Rabelais, Cervantes, Moro, Erasmo, Montaigne, Kant e pochi altri.
Lo scrupolo puntiglioso e l'amorevole attenzione che poneva nell'esercizio del mestiere di educatore erano pari alla bramosia di apprendere, di allargare vieppiù il patrimonio di conoscenze che era, peraltro, di considerevole spessore.
La vita a contatto della natura costituiva poi l'ingrediente indispensabile per ritemprare il fisico e tingere di verde le sue giornate.
Arrivare al bosco costava sempre un po' di fatica.
Spalancò l'uscio ed ebbe una piacevole sensazione di sollievo, quasi sospinto dalla fumosa massa d'aria stagnante nella stanza che cedette finalmente il posto a quella del vicolo, dalla quale fu accarezzato fino all'angolo della casa. Poi il vicolo divenne piazza e l'ombra vampe.
In fondo a questa piazza, da dove si dipartiva una stradetta che s'inoltrava nella campagna, il cannello di una vecchia fontana lacrimava pigramente.
Accelerò il passo per ristorarsi con ua sorsata di quell'acqua di montagna leggerissima e fresca prima di imboccare la stradetta verso il bosco.
Lo sforzo compiuto sotto il dardeggiare del sole impietoso gli inondò il viso di sudore e il cappello di paglia si tinse di un colore fungaceo tutt'intorno alla base di contatto col capo. Arrivò alla fontana quasi annaspando e si appoggiò al cannello con la mano sinistra per riprendere fiato.
Un passerotto, che si frullava le piume nella piccola pozzanghera ai piedi della fontana, volò via impaurito, sibilando nell'aria. Pertinace si piegò verso il cannello disponendo le labbra alla sorsata per pregustarne il piacere, ma il cappello gli cadde nella vaschetta. Lo ritrasse lesto, lo scuotè, borbottò qualcosa e finalmente bevve.
Già la comoda posizione e la frescura del luogo lo ripagarono, come accadeva sempre del resto, della fatica compiuta per raggiungerle. Ma il contatto fisico con l'albero gli rigenerò le forze come fosse l'abbraccio di una persona amata. Respirò a pieni polmoni e socchiuse gli occhi quasi per voler prolungare l'attimo ineffabile e assaporare fino in fondo il sottile piacere del momentaneo possesso del luogo che, senza esserlo, sentiva suo.
Il lieve ondeggiare delle fronde si fondeva armoniosamente col chiacchiericcio delle acque del ruscello accrescendo il piacere della frescura. Sentiva il sangue scorrergli fluido e frizzante nelle vene e gli tornò alla mente il brano, letto in mattinata, di un saggio indiano: "...vivendo all'aria aperta, voglio fissare la mia abitazione alla radice di un albero e rinunciare a tutto, alle cose piacevoli e a quelle spiacevoli, non sentire né affanno né gioia, accettare allo stesso modo biasimo e lode, non nutrire speranza né manifestare reverenza, libero dagli opposti, senza nulla possedere".
Pietro tornava a casa dalla campagna con un paniere, contenente frutta e ortaggi, infilato in un bastone appoggiato sulla spalla. I suoi passi, strofinati nelle foglie secche dei castagni, ridestarono Pertinace che volse lo sguardo verso l'intruso. Lo riconobbe e atteggiò le labbra a un mezzo sorriso.
Non vi era fra i due quel legame amicale capace di creare una sorta di connubio fra due anime. V'era piuttosto dimestichezza tendente alla familiarità. Del resto non poteva che essere così, tenuto conto dell'abissale diversità culturale esistente fra i due. Pertinace accettava di buon grado questa situazione perché considerava una fortuna che un uomo di modesta levatura, e tuttavia desideroso di apprendere, intelligente e moralmente in ordine, lo seguisse nel suo girovagare per i boschi ma soprattutto nei suoi ragionamenti, anzi nel suo irrefrenabile bisogno di comunicare.


Il primo capitolo di "Tiramisù".
Potete acquistare l'intero libro sul sito RUBBETTINO EDITORE

 

 

 

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Piazza Scala - novembre 2010