|
"Che non men che saper
dubbiar m'aggrada."
Dante, Divina Commedia, Inferno, XI, 93) Nel corso
della sua quarantennale attività bancaria l'Autore ha avuto
l'opportunità di entrare in contatto con un gran numero di
persone di estrazione e sesso diversi; una variegata
rappresentanza della nostra società. Di una buona parte di
esse, quelli che per qualche piega dei loro comportamenti,
risultavano interessanti, ha steso un breve profilo. Una
volta collocato a riposo, ha riesaminato con calma tutti
questi profili ed ha avuto la sorprendente conferma di aver
fatto, senza il sussidio di conoscenze scientifiche, una
sconcertante scoperta. Che cioè una certa parte degli esseri
umani è colpita da un tipo particolare di sofferenza, quella
di sentirsi afflitta dalla condizione nella quale percepisce
di essere relegata e che essa giudica "inferiore". Ma come
fare a rendere pubbliche queste sue osservazioni senza
inciampare in qualche limite o inesattezza scientifica?
L'Autore ha scelto di calare questo delicato argomento in
una vivace sto¬ria di paese, così il lettore potrà leggere
il libro con maggiore piacevolezza. |
PERTINACE
Immensa
soddisfazione prova di sicuro colui il quale, chiamato a
prestare la propria opera dal paese natale in altro luogo,
vi trova l'ambiente e l'accoglienza talmente favorevoli che
vi profonde il massimo delle energie, ne ricava le opere più
importanti e durature e ne riceve, come premio alle sue
fatiche, onore e reputazione. Così fu di Pertinace,
trapiantato in un paese non suo, nel quale svolse, con virtù
esemplare, il mestiere di educatore dei giovani.
Sembrava che su ogni cosa
si fosse posato un soffice manto di sonnolenza.
Il profilo dei monti si intravedeva a malapena attraverso la
lieve cortina lattiginosa sospesa fra la terra umida e
l'avaro azzurro del cielo. Il caldo insopportabile e l'aria
viziata e pesante scollarono Pertinace dalla sedia sulla
quale stava godendosi la lettura di uno dei tanti libri
prediletti. Si avviò, il capo coperto da un cappello di paglia
a larghe tese, verso il bosco di castagni che sapeva fresco
d'ombre.
Era, Pertinace, un maestro elementare sulla cinquantina
inoltrata. Uomo di buona salute e senza parenti, viveva in
una casetta a un piano, con lo scantinato, una soffitta per
riporvi le cose vecchie e un piccolo giardino tutt'intorno.
Quando non era impegnato con la scuola, dedicava il suo
tempo alle letture e alle passeggiate in campagna in mezzo
agli alberi.
Convinto che i grandi pensatori dell'antichità avevano già
detto tutto, ne aveva selezionato meticolosamente le opere
che formavano la sua piccola ma pregiata biblioteca. Accanto
a quelle di Platone e Aristotele, trovavano posto le opere
dei tragici greci, di Seneca, Plutarco, Terenzio, Cicerone,
S. Agostino e Dante. Qualche concessione all'età di mezzo,
ma soltanto per quegli autori che considerava grandissimi,
come Rabelais, Cervantes, Moro, Erasmo, Montaigne, Kant e
pochi altri.
Lo scrupolo puntiglioso e l'amorevole attenzione che poneva
nell'esercizio del mestiere di educatore erano pari alla
bramosia di apprendere, di allargare vieppiù il patrimonio
di conoscenze che era, peraltro, di considerevole spessore.
La vita a contatto della natura costituiva poi l'ingrediente
indispensabile per ritemprare il fisico e tingere di verde
le sue giornate.
Arrivare al bosco costava sempre un po' di fatica.
Spalancò l'uscio ed ebbe una piacevole sensazione di
sollievo, quasi sospinto dalla fumosa massa d'aria
stagnante nella stanza che cedette finalmente il posto a
quella del vicolo, dalla quale fu accarezzato fino
all'angolo della casa. Poi il vicolo divenne piazza e
l'ombra vampe.
In fondo a questa piazza, da dove si dipartiva una stradetta
che s'inoltrava nella campagna, il cannello di una vecchia
fontana lacrimava pigramente.
Accelerò il passo per ristorarsi con ua sorsata di
quell'acqua di montagna leggerissima e fresca prima di
imboccare la stradetta verso il bosco.
Lo sforzo compiuto sotto il dardeggiare del sole impietoso
gli inondò il viso di sudore e il cappello di paglia si
tinse di un colore fungaceo tutt'intorno alla base di
contatto col capo. Arrivò alla fontana quasi annaspando e si
appoggiò al cannello con la mano sinistra per riprendere
fiato.
Un passerotto, che si frullava le piume nella piccola
pozzanghera ai piedi della fontana, volò via impaurito,
sibilando nell'aria. Pertinace si piegò verso il cannello
disponendo le labbra alla sorsata per pregustarne il
piacere, ma il cappello gli cadde nella vaschetta. Lo
ritrasse lesto, lo scuotè, borbottò qualcosa e finalmente
bevve.
Già la comoda posizione e la frescura del luogo lo
ripagarono, come accadeva sempre del resto, della fatica
compiuta per raggiungerle. Ma il contatto fisico con
l'albero gli rigenerò le forze come fosse l'abbraccio di una
persona amata. Respirò a pieni polmoni e socchiuse gli occhi
quasi per voler prolungare l'attimo ineffabile e assaporare
fino in fondo il sottile piacere del momentaneo possesso del
luogo che, senza esserlo, sentiva suo.
Il lieve ondeggiare delle fronde si fondeva armoniosamente
col chiacchiericcio delle acque del ruscello accrescendo il
piacere della frescura. Sentiva il sangue scorrergli fluido
e frizzante nelle vene e gli tornò alla mente il brano,
letto in mattinata, di un saggio indiano: "...vivendo
all'aria aperta, voglio fissare la mia abitazione alla
radice di un albero e rinunciare a tutto, alle cose
piacevoli e a quelle spiacevoli, non sentire né affanno né
gioia, accettare allo stesso modo biasimo e lode, non
nutrire speranza né manifestare reverenza, libero dagli
opposti, senza nulla possedere".
Pietro tornava a casa dalla campagna con un paniere,
contenente frutta e ortaggi, infilato in un bastone
appoggiato sulla spalla. I suoi passi, strofinati nelle
foglie secche dei castagni, ridestarono Pertinace che volse
lo sguardo verso l'intruso. Lo riconobbe e atteggiò le
labbra a un mezzo sorriso.
Non vi era fra i due quel legame amicale capace di creare
una sorta di connubio fra due anime. V'era piuttosto
dimestichezza tendente alla familiarità. Del resto non
poteva che essere così, tenuto conto dell'abissale diversità
culturale esistente fra i due. Pertinace accettava di buon
grado questa situazione perché considerava una fortuna che
un uomo di modesta levatura, e tuttavia desideroso di
apprendere, intelligente e moralmente in ordine, lo seguisse
nel suo girovagare per i boschi ma soprattutto nei suoi
ragionamenti, anzi nel suo irrefrenabile bisogno di
comunicare.
Il primo capitolo
di "Tiramisù". Potete acquistare l'intero libro sul sito
RUBBETTINO EDITORE
|