Lorenzo Milanesi: Montaigne - Socrate a cavallo    
     Giornale di viaggio in Italia (1580-1581)    
     Rubbettino Editore    

 

Antesignano del "gran tour", Montaigne, assetato di conoscenza, attraversa la Francia, la Svizzera, sfiora la Germania meridionale e l'Austria e, infine, giunge in Italia da Vipiteno. Toccherà le principali città del nord-est e poi, dopo Bologna e Firenze, arriverà alla sospirata Roma, della quale brama diventare, riuscendovi, cittadino onorario.
Osservatore curioso e attentissimo, nulla si lascerà sfuggire. Così, ci consegnerà immagini indelebili dei personaggi incontrati casualmente e di quelli volutamente cercati, fino al papa Gregorio XIII. Ci descriverà, con maestria insuperata, le località di rilievo culturale e artistico (con buona pace di Stendhal), nonché gli ambienti, i paesaggi, le accoglienze, i caratteri delle popolazioni e perfino i riti, i cibi, le feste, le costumanze, le bellezze delle donne e dei luoghi, senza trascurare - ove li ha incontrati - gli inevitabili disagi.
Il lungo viaggio, durato 17 mesi a cavallo del 1580-81, si distinguerà comunque come uno spaccato, una nitida fotografia dell'Italia qual era sotto l'ennesima dominazione straniera e dello Stato Pontificio.

 

 

Folklore e aneddoti - Personaggi della vita quotidiana

 

Nel journal trovano spazio anche fatti e personaggi minori che incuriosiscono Montaigne o per la loro originalità o perché possono suscitare improvviso interesse grazie al rilievo che essi assumono nel loro ambito modesto. Egli li avvicina e li tratteggia con la consueta schiettezza e con piacere pari a quello provato per personaggi di più consistente spessore.


Vitry - le Francois
«Là apprendemmo tre storie memorabili. L'una, che la signora vedova di Guisa-Bourbon, viva e di ottantasette anni, si faceva ancora un quarto di lega coi propri piedi. L'altra, che da pochi giorni c'era stata un'impiccagione lì vicino, in un luogo chiamato Montier-en-Der e per questo motivo: sette od otto ragazze dei dintorni di Chaumonten-Bassigny complottarono, qualche anno fa, di vestirsi da maschi e di continuare a quel modo la loro vita per il mondo. Fra le altre, una venne da queste parti a Vitry sotto il nome di Mary per guadagnarsi la vita come tessitore, giovane di buona condizione e che sapeva essere amico di tutti. Qui a Vitry si fidanzò con una donna che è ancora vivente, ma per qualche disaccordo che venne fra di loro, il loro traffico non passò più oltre. Trasferitosi a Montieren-Der, dove si guadagnava sempre la vita col detto mestiere, s'innamorò di una donna, che sposò, e visse quattro o cinque mesi con lei e, a quanto si dice, con piena soddisfazione di lei; ma essendo stato riconosciuto da qualcuno di Chaumont e portata la cosa dinanzi alla giustizia, essa fu condannata a essere impiccata; ciò che essa amava di più soffrire piuttosto che tornare allo stato di ragazza. E fu impiccata per delle invenzioni illecite finalizzate a supplire alle deficienze del suo sesso. L'altra storia è quella di un uomo ancora vivente, chiamato Germain, di bassa condizione senza alcun mestiere od occupazione, è stato una ragazza fino all'età di ventidue anni, vista e conosciuta da tutti gli abitanti della città e notata per il fatto d'avere intorno al mento un pò più di pelo delle altre giovani, tanto che la chiamavano Maria barbuta. Un giorno mentre faceva uno sforzo per saltare, le vennero fuori le parti virili, e il cardinale di Lenoncourt, allora vescovo di Chalons, gli diede il nome di Germani».
«Ciò nonostante non si è sposato; porta una grande barba assai folta. Non potemmo vederlo perché era al villaggio. C'è ancora sulla bocca delle ragazze in questa città una semplice canzone, con la quale esse sono avvertite di non fare più grandi salti per paura di diventare maschi, come Marie Germain. Dicono che Ambroise Parè, mise questo racconto nel suo libro di chirurgia; che è certissimo, testimoniato tale e quale al signor di Montaigne dai più notabili esponenti della città».


Plombères
«Fra l'altro il signor di Montaigne contrasse amicizia e familiarità col signor d'Andelot, della Franca Contea, il cui padre era grande scudiero dell'imperatore Carlo V; e lui, primo maresciallo di campo dell'armata di don Giovanni d'Austria, e fu poi lui stesso che rimase governatore di S. Quintino quando noi la perdemmo. Aveva un lato della barba e delle sopracciglia tutto bianco, e riferì al signor di Montaigne che tale cambiamento gli era venuto in un istante, un giorno, a casa sua, mentre era pieno di tristezza per la morte d'un suo fratello che il duca d'Alba aveva fatto uccidere come complice dei conti d'Egemont e di Hornes; teneva la testa appoggiata alla mano proprio in quel punto di modo che gli astanti pensarono che, per fortuna, vi fosse caduta sopra un po' di farina. Da quel momento rimase in questo modo».


Roma
«Il signor di Montaigne si irritava di trovare un sì gran numero di francesi, al punto da non trovare quasi nessuno nella strada senza essere salutato nella sua lingua».
[...]
«Gli uomini, in qualsiasi occasione, sono vestiti con grande semplicità, di nero o di sargia di Firenze; e poiché sono un po' più bruni di noi, hanno, non so come mai, l'aspetto non di duchi, conti e marchesi quali essi sono, ma un'apparenza un poco comune; cortesi nondimeno e graziosi quanto più è possibile... Noi facciamo in tutti i modi ciò che possiamo per farci screditare. Tuttavia verso la Francia essi hanno una antica affezione o rispetto, che permette a coloro che lo meritano, solo che si guardino bene dall'offenderli, di essere molto rispettati e bene accolti».
[...]
{originale in italiano]
«La domenica alli 8 d'ottobre 1581 andai a vedere ne i termini di Diocleziano in sul monte Cavallo un italiano il quale essendo suto molto tempo schiavo de i turchi, aveva imparato mille rare cose nel cavalcare; come, che correndo a tutta briglia si stava dritto in piè sulla sella, e gittava con ogni forza un dardo; e poi d'un tratto si calava nella sella. Correndo in furia, e tenendo l'una mano all'arcione, scendeva del cavallo, toccando del pie dritto a terra, il mancino tenendo nella staffa; e più volte scendeva, e saliva sulla sella a questo modo. Faceva parecchi giri del corpo sulla sella correndo sempre. Tirava d'un arco turchesco dinanzi, e di dietro con grande agevolezza. Appoggiando la testa, e la spalla sul collo del cavallo, e stando i pie in su dritto, dava carriera al cavallo. Avendo una mazza in mano, la gittava in aria, e ripigliava correndo. Essendo in piede sulla sella, una lancia in mano dritto dava in un guanto, e l'infilava, come si corre all'anello. A piedi girava una piqua [picca] intorno al collo dinanzi, e dietro, avendola prima spinta forte con la mano».


Spoleto
«Fummo costretti a mostrare la nostra "bolletta", non per la peste, che in quel momento non c'era in alcuna parte d'Italia, ma per il terrore, nel quale si trovano, di un certo Petrino, loro compaesano, che è il più noto bandito e ladro d'Italia e del quale si hanno le azioni più famose, e del quale essi temono qui e nelle città d'intorno di essere sorpresi».

Firenze
[originale in italiano}
«Fui accarezzato d'un Gondi (*), ch'abita a Lione: il quale mi mandò vini bonissimi, cioè Trebisiano».

(*) Trattasi, molto probabilmente, di Antonio de' Gondi, banchiere residente a Lione.
 



Brano tratto da Montaigne - Socrate a cavallo.
Potete acquistare l'intero libro sul sito RUBBETTINO EDITORE

 

 

 

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Piazza Scala - novembre 2010