Lorenzo Milanesi: L'ultimo cavaliere    
     Don Chisciotte della Mancia - di Miguel de Cervantes Saavedra    
     ILMIOLIBRO.IT    

 

Al lettore
Sappi, lettore, che quando ha occasione di ascoltare o di leggere il nome di Don "Chisciotte, la gente comune corre rapida col pensiero ai mulini a vento, alle stravaganze, alle fantasie e, per questo motivo, colloca Cervantes, autore di quel libro, nella nutrita schiera degli scrittori perdigiorno o addirittura da strapazzo.
Invece noi - te compreso - dobbiamo adoperarci per sovvertire questo superficiale pregiudizio, presente fra le persone ignoranti, e diffondere il concetto, condiviso dalle menti più illuminate, che quelle di Cervantes sono bizzarrie soltanto nell'immediata apparenza, che sono - al contrario - metafore profonde scritte per mettere alla berlina certa mentalità priva di senso comune, avulsa dalla realtà del vivere quotidiano e dunque condannata a soccombere irrimediabilmente.
Quella patrocinata da Cervantes, caro lettore, è una società basata su principi morali di elevatissima qualità, i cui dettami egli mette in bocca, di volta in volta, ai personaggi che popolano il suo romanzo immortale.......

 

 

Riflettendo sul capolavoro

 

Dopo il sintetico excursus del romanzo affiora qualche interrogativo.
Anzitutto quando, dove, come Cervantes trovò il tempo di concepire e scrivere un'opera
di tale, universale portata.
Di certo egli lavorò nelle peggiori condizioni possibili.
Sappiamo della sua vita oltremodo tormentata fin dall'infanzia, dall'adolescenza e dalla giovinezza, del suo girovagare col padre alla ricerca di come sbarcare il lunario, delle vari altalenanti permanenze nelle carceri, dell'arruolamento, nel 1570, nella flotta d Marcantonio Colonna diretta a Lepanto, dove rimedia ferite al corpo e menomazione alla mano sinistra; della breve permanenza presso un alto prelato in Italia, della cattura, nel 1S75, per mano di pirati magrebinl e della prigionia durata cinque anni (aveva libri al seguito?).
Sappiamo anche che prima, durante e dopo la prigionia, pubblica, come s'è visto parecchio materiale. Come ha potuto? Sappiamo infine del suo rientro a Madrid e della pubblicazione dell'opera nel 1605 quando aveva 58 anni. Ma è noto d'altronde che egli inizia a scrivere a circa vent'anni con una composizione per Isabella di Valois. Dunque comincia fin da giovane ad essere 'colto'. Ma dopo questo periodo lo attendono prove indescrivibili di miseria, carcere e prigionia. Ciò nonostante, egli non si stanca di produrre opere letterarie. Si può dire che nulla, nessun ostacolo riesca a fermare la sua caparbia determinazione. E di smisurata caparbietà bisogna dunque parlare per spiegare le sue estesissime conoscenze letterarie. Ha dimestichezza con i filosofi greci e con i più rati autori dell'antichità latina. Conosce perfettamente la produzione letteraria italiana epoca e quella europea. Non a caso taluni tendono a fare accostamenti con Ariosto ed Erasmo da Rotterdam.
In maniera quasi maniacale - lo si avverte per tutto il libro - si accalora per i poemi cavallereschi, dei quali percepisce i difetti specifici: ampollosità, espedienti, ostentazione, uniformità, stramberie, verso i quali nutre disprezzo, mirando - e poi riuscendovi - al loro definitivo sgretolamento.
C'è anche chi ravvisa in questa specie di accanimento un fine personale. Cervantes fu un vero eroe a Lepanto, ma si ritrova in carcere; per di più il suo valore non è in alcun modo riconosciuto, anzi è dimenticato da tutti. Così si ribella a modo suo di fronte agli eroi immaginari della cavalleria, con l'intento di indirizzare verso il concreto le credenze della gente comune riguardo all'effettivo valore dei soldati.
Ma quando e dove ha potuto accumulare tanto vasto bagaglio culturale? Escludendo il tempo materiale impiegato nella prima giovinezza ad accompagnare il padre alla ricerca di mezzi di sostentamento, quello dedicato agli impegni militari, al cardinale Acquaviva, alle carceri, alla prigionia per mano dei pirati, alle tormentate vicende con le compagne di vita, si può concludere che Cervantes fece tesoro, con inimmaginabile tenacia e incoercibile volontà, di ogni benché piccolo spazio temporale per irrobustire prima, e allargare vieppiù, dopo, le acquisizioni culturali.
A quell'epoca circolavano per l'Europa le opere del Boiardo, di Erasmo, dell'Ariosto, di Tommaso Moro, di Rabelais, di Montaigne, del Tasso, tanto per citare i più noti e c'è da presumere che egli le abbia lette con avidità. Nonostante tutto, un pizzico di mistero resta.
Comunque, il maggior periodo di tempo disponibile sarà quello che troverà a Madrid, dove peraltro si dedica al completamento dell'opera che sarà ultimata e pubblicata nel 1605.
Avrà letto Cervantes la frase contenuta nello stemma della copertina del suo libro stampato dall'editore Francisco de Robles? E' scritta in latino: "Fero lucem post tenebras" (Dopo le tenebre porto la luce) e immaginare che sia stato proprio l'autore a ispirarla o suggerirla all'editore, tanto bene essa si attaglia alle finalità del romanzo, aggiunge un fascinoso tocco in più allo splendore dell'opera.
In qualunque modo le vicende si siano svolte, Cervantes ci consegna alla fine un'opera grandiosa. Con la sua maestria nell'invenzione, l'ineguagliabile umorismo, il rilievo canzonatorio, l'ingegno creativo per nulla minore di quello di Shakespeare, l'impeccabile padronanza dello scrivere e soprattutto la naturalezza, si colloca fra gli spiriti immortali.
In una lettera indirizzata a George Sand (1804/76), Gustave Flaubert (1821/80), noto per l'amore quasi morboso per lo stile, scrive: "Rileggo in questo momento Don Chisciotte, libro gigantesco! Ce n'è uno più bello?'
Non sappiamo se la domanda abbia avuto un seguito ma, a distanza di tanti anni risponde James Fitzmaurice-Kelly (1857/1923), membro della British Academy e autore della 'Storia della letteratura spagnola' (1898):
"No, nessuno. Cervantes deve essere posto accanto a Omero e a Shakespeare come uomo di tutti i tempi e di tutti i Paesi: Don Chisciotte, al pari dell'Iliade e di Amleto appartiene alla letteratura universale ed è divenuto per tutte le nazioni un godimento eterno dello spirito"
Gli imitatori di Cervantes sono uno stuolo e non mette conto di citarli. Vanno invece segnalati, fra le personalità di rilievo, quelli che ammisero francamente di essersi ispirati a lui, come Victor Hugo, Molière, Walter Scott, che si aggiungono a quanti ne subirono l'influenza come Defoe, Fielding, Sterne, Dickens, Flaubert, Melville, Dostoevskij e, a detta di qualche generoso critico, anche Italo Calvino con il suo 'Cavaliere inesistente'. Si ispirarono altresì al Don Chisciotte anche compositori musicali come Paisiello, Teleman, Massenet, De Falla, Richard Strauss, registi come Pabst e Kozinev, un coreografo - George Balanchine - che ne fece un balletto e artisti come Daumier, Gustavo Dorè, Picasso e Dalì.

La prima traduzione del 'Don Chisciotte' in lingua italiana si deve a Lorenzo Franciosini (lessicografo toscano, autore di una grammatica e di un dizionario italiano-spagnolo spagnolo-italiano) che la completò in due tempi: la prima parte del romanzo nel 1622, la seconda nel 1625 presso il medesimo editore, Andrea Baba di Venezia (1611-1647). Passarono quasi due secoli prima che ne fosse ottenuta una seconda traduzione, opera di Bartolomeo Gamba (1766/1841) del  1818. Di questa, ristampata nel 1875 a Milano nello Stabilimento Tipografico dell'editore Francesco Pagnoni ci siamo avvalsi per il nostro lavoro, rispettandone scrupolosamente la traduzione nel fascinoso linguaggio dell'epoca.



Brano tratto da L'ultimo cavaliere.
Potete acquistare l'intero libro sul sito ILMIOLIBRO.IT

 

 

 

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Piazza Scala - novembre 2010