Riflettendo sul
capolavoro
Dopo il sintetico excursus
del romanzo affiora qualche interrogativo.
Anzitutto quando, dove, come Cervantes trovò il tempo di
concepire e scrivere un'opera
di tale, universale portata.
Di certo egli lavorò nelle peggiori condizioni possibili.
Sappiamo della sua vita oltremodo tormentata fin
dall'infanzia, dall'adolescenza e dalla giovinezza, del suo
girovagare col padre alla ricerca di come sbarcare il
lunario, delle vari altalenanti permanenze nelle carceri,
dell'arruolamento, nel 1570, nella flotta d Marcantonio
Colonna diretta a Lepanto, dove rimedia ferite al corpo e
menomazione alla mano sinistra; della breve permanenza
presso un alto prelato in Italia, della cattura, nel 1S75,
per mano di pirati magrebinl e della prigionia durata cinque
anni (aveva libri al seguito?).
Sappiamo anche che prima, durante e dopo la prigionia,
pubblica, come s'è visto parecchio materiale. Come ha
potuto? Sappiamo infine del suo rientro a Madrid e della
pubblicazione dell'opera nel 1605 quando aveva 58 anni. Ma è
noto d'altronde che egli inizia a scrivere a circa vent'anni
con una composizione per Isabella di Valois. Dunque comincia
fin da giovane ad essere 'colto'. Ma dopo questo periodo lo
attendono prove indescrivibili di miseria, carcere e
prigionia. Ciò nonostante, egli non si stanca di produrre
opere letterarie. Si può dire che nulla, nessun ostacolo
riesca a fermare la sua caparbia determinazione. E di
smisurata caparbietà bisogna dunque parlare per spiegare le
sue estesissime conoscenze letterarie. Ha dimestichezza con
i filosofi greci e con i più rati autori dell'antichità
latina. Conosce perfettamente la produzione letteraria
italiana epoca e quella europea. Non a caso taluni tendono a
fare accostamenti con Ariosto ed Erasmo da Rotterdam.
In maniera quasi maniacale - lo si avverte per tutto il
libro - si accalora per i poemi cavallereschi, dei quali
percepisce i difetti specifici: ampollosità, espedienti,
ostentazione, uniformità, stramberie, verso i quali nutre
disprezzo, mirando - e poi riuscendovi - al loro definitivo
sgretolamento.
C'è anche chi ravvisa in questa specie di accanimento un
fine personale. Cervantes fu un vero eroe a Lepanto, ma si
ritrova in carcere; per di più il suo valore non è in alcun
modo riconosciuto, anzi è dimenticato da tutti. Così si
ribella a modo suo di fronte agli eroi immaginari della
cavalleria, con l'intento di indirizzare verso il concreto
le credenze della gente comune riguardo all'effettivo valore
dei soldati.
Ma quando e dove ha potuto accumulare tanto vasto bagaglio
culturale? Escludendo il tempo materiale impiegato nella prima
giovinezza ad accompagnare il padre alla ricerca di mezzi di
sostentamento, quello dedicato agli impegni militari, al
cardinale Acquaviva, alle carceri, alla prigionia per mano
dei pirati, alle tormentate vicende con le compagne di vita,
si può concludere che Cervantes fece tesoro, con
inimmaginabile tenacia e incoercibile volontà, di ogni
benché piccolo spazio temporale per irrobustire prima, e
allargare vieppiù, dopo, le acquisizioni culturali.
A quell'epoca circolavano per l'Europa le opere del Boiardo,
di Erasmo, dell'Ariosto, di Tommaso Moro, di Rabelais, di
Montaigne, del Tasso, tanto per citare i più noti e c'è da
presumere che egli le abbia lette con avidità. Nonostante
tutto, un pizzico di mistero resta.
Comunque, il maggior periodo di tempo disponibile sarà
quello che troverà a Madrid, dove peraltro si dedica al
completamento dell'opera che sarà ultimata e pubblicata nel
1605.
Avrà letto Cervantes la frase contenuta nello stemma della
copertina del suo libro stampato dall'editore Francisco de
Robles? E' scritta in latino: "Fero lucem post tenebras" (Dopo
le tenebre porto la luce) e immaginare che sia stato proprio
l'autore a ispirarla o suggerirla all'editore, tanto bene
essa si attaglia alle finalità del romanzo, aggiunge un
fascinoso tocco in più allo splendore dell'opera.
In qualunque modo le vicende si siano svolte, Cervantes ci
consegna alla fine un'opera grandiosa. Con la sua maestria
nell'invenzione, l'ineguagliabile umorismo, il rilievo
canzonatorio, l'ingegno creativo per nulla minore di quello
di Shakespeare, l'impeccabile padronanza dello scrivere e
soprattutto la naturalezza, si colloca fra gli spiriti
immortali.
In una lettera indirizzata a George Sand (1804/76), Gustave
Flaubert (1821/80), noto per l'amore quasi morboso per lo stile,
scrive: "Rileggo in questo momento Don Chisciotte, libro
gigantesco! Ce n'è uno più bello?'
Non sappiamo se la domanda abbia avuto un seguito ma, a
distanza di tanti anni risponde James Fitzmaurice-Kelly
(1857/1923), membro della British Academy e autore della
'Storia della letteratura spagnola' (1898):
"No, nessuno. Cervantes deve essere posto accanto a Omero e
a Shakespeare come uomo di tutti i tempi e di tutti i Paesi:
Don Chisciotte, al pari dell'Iliade e di Amleto appartiene
alla letteratura universale ed è divenuto per tutte le
nazioni un godimento eterno dello spirito"
Gli imitatori di Cervantes sono uno stuolo e non mette conto
di citarli. Vanno invece segnalati, fra le personalità di
rilievo, quelli che ammisero francamente di essersi ispirati
a lui, come Victor Hugo, Molière, Walter Scott, che si
aggiungono a quanti ne subirono l'influenza come Defoe,
Fielding, Sterne, Dickens, Flaubert, Melville, Dostoevskij
e, a detta di qualche generoso critico, anche Italo Calvino
con il suo 'Cavaliere inesistente'. Si ispirarono altresì al
Don Chisciotte anche compositori musicali come Paisiello,
Teleman, Massenet, De Falla, Richard Strauss, registi come
Pabst e Kozinev, un coreografo - George Balanchine - che ne
fece un balletto e artisti come Daumier, Gustavo Dorè,
Picasso e Dalì.
La prima traduzione del 'Don Chisciotte' in lingua italiana
si deve a Lorenzo Franciosini (lessicografo toscano, autore di
una grammatica e di un dizionario italiano-spagnolo
spagnolo-italiano) che la completò in due tempi: la prima
parte del romanzo nel 1622, la seconda nel 1625 presso il
medesimo editore, Andrea Baba di Venezia (1611-1647).
Passarono quasi due secoli prima che ne fosse ottenuta una
seconda traduzione, opera di Bartolomeo Gamba (1766/1841)
del 1818. Di questa, ristampata nel 1875 a Milano
nello Stabilimento Tipografico dell'editore Francesco Pagnoni ci siamo avvalsi per il nostro lavoro, rispettandone
scrupolosamente la traduzione nel fascinoso linguaggio
dell'epoca.
Brano tratto da
L'ultimo cavaliere. Potete acquistare l'intero libro sul sito
ILMIOLIBRO.IT
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