Si
sentiva Capo, Dux nel senso pieno della parola: colui che
giudica e manda secondo che avvinghia.
La sua parola era legge, la sua interpretazione Vangelo, le
sue decisioni irrevocabili ordini.
Ciascuno si sentiva sollevato in ogni azione ed in ogni
pratica una volta interrogato l’oracolo, talvolta veramente
sollevato... di peso.
Ciascun Procuratore deglutiva e strabuzzava gli occhi quando
rapporti sulla clientela erano capovolti, concessioni
revocate, facilitazioni promesse e non mantenute, pensando
alla figura che avrebbe fatto poi nell’affrontare con gli
stessi l’argomento penoso di una parola non mantenuta, senza
una valida ragione che lo sostenesse, se non l’umore
mattiniero della superiore autorità.
I più smaliziati facevano in modo ormai che fosse sempre il
Capo a decidere su ogni cosa, e di solito proponevano il
contrario per ottenere ciò che volevano, ma non sempre
l’operazione riusciva per quegli imponderabili scherzi dati
forse al carattere umano dagli astri e che gli astronomi e
chiaroveggenti ancora non sono riusciti a localizzare nella
composizione dei loro oroscopi.
Qualcuno, bene informato, diceva che di solito erano le
reazioni di uno che in casa sua non poteva dir parola ed
allora per la sua dignità di uomo doveva dimostrare a se
stesso che, oltre che a consegnare il portafoglio intatto il
27 di ogni mese, aveva ancora delle capacità, delle
possibilità, della personalità, delle attitudini al comando.
Lo si vedeva nelle piccole cose che esigeva perfette, come i
cartacei soldi perfettamente nuovi, la pettinatura
impeccabile, la brioche segnata sul conto piccole spese
dell’istituto, o nell’amichevole colpetto dato sulla spalla
dell’anziano contabile.
In genere questo, concentrato nel suo lavoro e pensando
fosse un collega, gli diceva senza alzare la testa: « Non
scocciare », diventando poi tutto rosso quando l’occhio
raggiungeva la fibbia d’argento lavorato delle calzature
nitidamente ocra, uniche in tutta la circoscrizione doganale
del sito.
Amava il pubblico e la pubblicità.
In salone chiamava a raccolta la clientela e dal suo metro e
sessantasette e mezzo troneggiava, scambiando altisonanti
circonlocuzioni con gli esterrefatti campagnoli che
preferivano la ruvida stretta di mano di un contratto su
parola, che delle parole qualificanti un contratto
ipotetico.
Però soffriva di solitudine come tutti i grandi della
Storia.
Molto spesso, per non dire sempre, dopo l’affrettato saluto
cerimonioso esterno ed il moccolo augurale interno, ogni
piccolo capo sfuggiva per i propri impegni, cercando di
evitare un pro-lungato contatto.
Herr Direktor chiudeva allora la porta del suo regno e
legiucchiava le ultime notizie, chiamando poi a fargli
compagnia il commesso d’anticamera.
Fra i vari commessi in genere veniva scelto il più bello,
perchè ben impressionasse la clientela o i visitatori che
chiedevano del Direttore o di qualche Procuratore.
« Aristotile — lo interrogava lui con lo sguardo indagatore
e furbo come per dire ‘io lo so ma voglio vedere come tu mi
rispondi’ — come consideri la situazione politica attuale? »
Le prime volte il soprannominato Aristotile rimaneva in
confusione ad ascoltare le dotte disquisizioni direttoriali,
ma in seguito si adeguò al gioco, visto che durava, in modo
da poter rispondere con cognizione di causa una sua, molto
spesso inquietante, interpretazione dei fatti del giorno.
Non solo ma, essendo il soprannominato Aristotile di fertile
fantasia, poteva azzardare attraenti sottofondi politici per
ogni fatto notevole con previsioni talvolta marziane di
svolte semiradicali. Il Capo annuiva con gioia ed interesse,
il tutto incasellando nella ben dotata memoria non senza
averlo contraddetto per dignità superiore, ma per farne poi
sfoggio alla sera al club dei signorotti che amava
frequentare, imponendo la sua interpretazione che gli veniva
da fonti ben informate...
Voleva essere riverito ed obbedito, ognuno doveva scattare
al suo cenno e mancava solo lo sbattimento dei tacchi a
completare e dare un tono alla prassi. Così quando una
direttiva era emanata, guai ai vinti, guai a coloro che non
raggiungevano l’obiettivo.
Questa sua sicurezza, unita alla costante minaccia ‘di farla
trasferire in una Filiale in cui avrà forse meno da fare’,
derivava, dicevano, dalle sue conoscenze altolocate dovute,
dicevano, non tanto alla parentela o al sangue ma a quella
inestricabile rete di affari che sconfinava tra la politica
e la mafia e che teneva certi papaveri nella soggezione di
un cambio di segretario di Partito o della parola di un
barone che non ci metteva gran che a causare ‘un piccolo
incidente mortale’. Ma poiché erano solo vaghe dicerie il
vulgo si limitava a pensare romanescamente ‘te possimo
chiamà: presente!! », constatando che, qualunque fesseria
facesse, l’Herr era inamovibile dal suo seggio.
Il segno del suo potere era naturalmente l’urlo, era il
pugno energico e suadente dato sulla scrivania per
assecondare la sua tesi e che provocava in genere l'ammutolimento
dell'interpellato ed il cambio del portacenere, del
portapenne e del vasetto con fiori di vellutino che
rotolavano a terra.
Uno in particolare era ricordato dalla massa, un urlo emesso
in salone, fortunatamente a banca chiusa, quando esaminando
la scheda del suo conto personale vide che non gli era
ancora stata accreditata una certa rimessa fattagli da una
altra Filiale sul suo credito personale. Fu un urlo
agghiacciante.
Negli sguardi esterrefatti, nel silenzio di tomba che ne era
seguito, si potevano udire soltanto le cambiali che
scadevano...
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