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Il titolo dato o questa raccolta di alcuni miei racconti, riassume ispirazioni trasmesse da vicende umane i cui protagonisti ho conosciuto nel corso della mio vita o stati d'animo particolari connessi allo tragedia che fu la guerra. Spero che dai vari racconti emerga la luce della speranza o il balsamo dello rassegnazione che sempre albergano nel cuore umano anche nei tragitti accidentati che tanto spesso lo vita costringe a percorrere. Giovanni Noera

Giovanni Noera
Laureatosi all'Università di Torino, deve la sua formazione culturale ai tanti incontri avuti nelle sue varie residenze. Numerosi sono i suoi viaggi negli USA e in Europa, oggetto di suoi articoli. Nato in Sicilia; ha vissuto in Friuli, Trentino, Lombardia e Liguria. Da diversi anni vive in Emilia.
Ha pubblicato tre romanzi:
- «Tempi perduti e ritrovati» (1° premio concorso letterario "La Vecchia Lizza a Marina di Carrara");
- «Per caso per sempre» (2° premio... Marina di Carrara);
- «Son tornate a frinir le cicale»; (Delta 3 edizioni).
Il romanzo «C'e una logica nel destino?» è arrivato 2°al premio letterario «L'inedito».
I racconti presenti in Emozioni hanno ricevuto il primo premio - XIH°edizione concorso letterario «Padus Amoneus» a Parma).
Ha collaborato con alcuni periodici.

INCONTRI

Ho fatto parecchi viaggi ma i ricordi emotivamente più vivi sono legati a due episodi.
In Germania ero andato con mia moglie soprattutto per visitare la Foresta Nera
Eravamo entrati dal confine svizzero di Basilea e dopo aver viaggiato fra boschi e ridenti località avevamo raggiunto Freiburg da dove, dopo una sosta per visitare la città, siamo partiti addentrandoci per strade minori nello Schwarzwald, la più affascinante regione della Germania: una sequenza di boschi, valli, laghi e paesetti lindi, di case con finestre traboccanti di fiori.
Attraversavamo uno di questi paesi verso il lembo orientale della Foresta Nera, quando dallo specchietto retrovisore vidi un uomo che gesticolava verso la nostra auto, con le braccia levate in alto, come capita di vedere in certi film quando qualcuno cerca di richiamare l'attenzione di un aereo di soccorso.
Superato un momento di perplessità mi fermai ed innestai la retromarcia chiedendomi che avessi fatto di male.
Quando fui all'altezza dell'uomo, questi mi urlò con voce emozionata: "Sono un operaio, da tre anni non vedo una macchina targata Italia e lei se ne passa via senza un saluto !"
Era un friulano, che lavorava fuori dalla sua terra come tanti altri corregionali in tante parti del mondo.
Quando seppe che anche mia moglie era friulana, ci pregò di concedergli qualche minuto e di parlargli dell'Italia e del Friuli di cui sentiva tanta nostalgia.
Senza accorgercene eravamo passati a darci del tu.
Mi chiedeva: "Non hai nulla dell'Italia? Anche una scatola di cerini, qualunque cosa!"
Ci raccontò della sua vita e della speranza di ritornare presto al suo paese. Sostammo con lui il più a lungo possibile e ci scambiammo dei piccoli doni. Non lo rividi né seppi più nulla di lui.
Sembra un racconto di tipo deamicisiano ed invece è vero. A pensarci bene questo ricordo non provoca solo emozione: ci si sente dentro anche un confuso senso di amarezza.
In Olanda giungemmo dopo aver attraversato buona parte della Germania risalendo lungo il Reno e con qualche puntata in Francia.
Eravamo all'epoca in cui l'idea dell'unità europea entusiasmava alcuni e per molti altri era comunque suggestiva. Le migliorate condizioni economiche facevano intravedere un avvenire più sicuro senza fantasmi di guerre. Eravamo capitati in un tipico paesetto olandese. Avevamo trovato alloggio in un modesto alberghetto circondato su due lati da canali. Le camere da letto, linde ed accoglienti erano all'ultimo piano con abbaini che davano sui tetti. Vi si accedeva salendo una solida scala di legno che si dipartiva dalla sala del piano terreno che fungeva da bar, trattoria e luogo di riunione.
Rimanemmo con i padroni di casa a parlare seduti intorno ad un tavolo ovale; poco dopo arrivarono altri avventori: due olandesi, uno spagnolo ed un francese. I nostri ospiti erano anziani ma ancora arzilli e molto ospitali come tutti gli olandesi con i quali avemmo rapporti durante quel viaggio. Fu aperta una bottiglia di vino del Reno. L'atmosfera si fece ovviamente ancora più cordiale.
Il miracolo di capirci perfettamente pur parlando lingue diverse forse fu dovuto a quella formidabile bottiglia. Ad un certo punto, quando ormai la confidenza aveva reso i rapporti naturali, dando ad ognuno la sensazione di conoscersi, uno dei presenti si alzò invitando gli altri ad imitarlo ed a mettere una mano sulla spalla del vicino: vide che il suo gesto era stato capito ed allora in un misto di italiano e francese esclamò: "Noi siamo l'Europa unita!".
A distanza di anni, di questo episodio forse si coglie solo il lato retorico.
A chi l'ha vissuto invece procura ancora emozione, ma sembra tutto così patetico.

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Piazza Scala - luglio 2010