un articolo di Fernando Mazzotta - Taranto    

 

I giornali del 9 luglio 1960 titolavano più o meno in questo modo «Si inizia una nuova era» riferendosi alla posa della prima pietra per la costruzione del IV Centro Siderurgico di Taranto che rientrava nel quadro di quella metamorfosi industriale varata nel 1959 dal governo Tambroni con il patrocinio delle Partecipazioni Statali e con il sigillo impresso da Moro e Fanfani per lo sviluppo del rapporto tra Mezzogiorno e lavoro al Sud.

Avevo appena conseguito a Lecce il diploma in ragioneria apprendendo l’esito degli esami lo stesso giorno in cui mio padre moriva di cancro. La necessità di trovare subito un lavoro per non gravare sul già magro bilancio familiare mi spinse a recarmi a Taranto in quanto ritenevo che la nascente industria potesse offrire tante possibilità ai giovani. E così avvenne. Con una buona dose di faccia tosta mi presentai all’Assindustria di Taranto. Fui ricevuto e ascoltato con molta bonomia dall’allora Segretario Generale il quale senza promettermi nulla mi assicurò il suo interessamento e, intanto, mi invitò a procurarmi innanzitutto il Libretto di Lavoro e il famoso tesserino rosa della disoccupazione. Per farla breve, a fine agosto ero già al lavoro assunto come impiegato dalla GEM Generale Montaggi Industriali di Milano con sede nella Torre Velasca.

Il mio ufficio/baracca era posto proprio a ridosso della costruenda prima batteria della cokeria. Difatti, la GEM aveva assunto dalla STILL (Germania) l’esecuzione dei lavori delle cokerie e dalla Badoni Srl. di Lecco la realizzazione dei gazometri. Fu una crescita impetuosa che io vedevo realizzare giorno per giorno davanti ai miei occhi: gli altiforni, l’agglomerato, l’acciaieria, il laminatoio. Il lavoro era duro: sveglia all’alba e rientro a sera inoltrata, casco e stivaloni, polvere d’estate e fango d’inverno, non esistevano ancora le strade asfaltate interne, e i grandi mezzi di lavoro che scorrazzavano tutt’intorno. Già nel 1961 il primo reparto a entrare in funzione è il Tubificio dove si producono tubi di grande diametro saldati longitudinalmente, mentre il primo altoforno ha cominciato a funzionare nel 1964 e il secondo nel 1965. Frattanto, le vicende della vita mi avevano condotto verso l’assunzione nella Filiale di Taranto della Comit (e in giro per l’Italia, poi) dove era appena giunto come Direttore Luigi Fausti.

Nel 1965 il Presidente Saragat inaugura lo stabilimento e i giornali glorificano la fine degli oliveti e l’arrivo della “grande fabbrica”.

Ma chi mai, quando ero in cantiere Italsider, poteva immaginare che a una svolta economica eccezionale per questa città la parabola dell’acciaio avrebbe seguito un percorso discendente già negli anni ’70.

Il modello dell’industria di Stato si rivelò un fallimento. Prima si discusse del raddoppio dello stabilimento poi, aggirata quella che allora venne definita la “vertenza Taranto”, una lunga discesa fino al tracollo e alla “svendita” dello stabilimento nel 1995 a Emilio Riva “il rottamaio” che diventa il patron dell’ILVA. Per questo signore l’acquisto dello stabilimento si rivela un vero e proprio affare: smantella l’intero sistema produttivo, emargina le industrie e le attività locali dell’indotto che, in verità, non avevano mai brillato per autonomia, entra in conflitto con i sindacati e con le istituzioni e così giungiamo al 2000 quando prende piede la questione ambientale come emergenza con il primo stop alle cokerie nel 2002. Intanto Riva, noncurante, macina record su record di produzione avendo come unico obiettivo il profitto senza tener conto dei necessari adeguamenti per la compatibilità ambientale degli impianti. E siamo ai giorni nostri con le inchieste della magistratura su inquinamento e morti.

Ora, da vecchio pensionato guardo con tristezza ogni giorno il levarsi dei fumi e delle polveri inquinanti e penso con timore al futuro delle mie nipotine una delle quali non ha ancora 10 anni ed è stata già ricoverata due volte d’urgenza per attacchi da soffocamento di asma. E vi posso assicurare che i reparti di pediatria dei due ospedali cittadini sono occupati da piccoli pazienti tutti affetti da patologie respiratorie. Non parliamo poi dei reparti di oncologia: la vicenda ILVA di Taranto, ormai riempie i giornali ogni giorno.

Il centro dei veleni è rappresentato proprio dalle emissioni delle cokerie e ogni volta che penso di aver contribuito con il mio lavoro, sia pure amministrativo, alla realizzazione di questa fabbrica di morte mi vengono i brividi. E a Taranto si produce il 92% della diossina prodotta in tutta Italia provocando tumori, malformazioni dei feti, inquinamento dei capi di bestiame e contaminazione degli alimenti!!!!!!!!!!!!

Le foto delle cokerie qui allegate spiegano eloquentemente e solo in parte perché finalmente la magistratura ha deciso di sottoporre a sequestro le cokerie e altri reparti “a caldo” dell’intera area industriale. Dai forni fuoriescono fumi parzialmente incendiati. I fumi non dovrebbero fuoriuscire in quanto parzialmente cancerogeni. I morti per tumori a Taranto sono aumentati di oltre il 100% dal 1971 a oggi. Nelle immagini delle cokerie potete osservare operai sommersi dal fumo e circondati da lingue di fuoco. Sembra una scena da inferno dantesco. Questi lavoratori sono esposti agli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) presenti nei fumi appunto prodotti dalla distillazione del carbon fossile. Gli IPA contengono degli agenti cancerogeni (benzo-a-pirene e altri). La temperatura del piano delle cokerie su cui camminano gli operai addetti alla rimozione (con la scopa!!!) delle polveri residue (cancerogene) è superiore ai 100 gradi. Usano, ovviamente, scarpe con suole coibentate.

Il problema è che sinora Taranto è vissuta sotto lo schiaffo del ricatto occupazionale: prima il lavoro e poi la salute? O viceversa? Questo è il dubbio amletico su cui gli operai dell’ILVA e tutti gli abitanti, anche dei comuni limitrofi si dividono.

Entro fine settembre il Ministro Clini ha assicurato che si dovrebbe chiudere la procedura per il rilascio di una nuova AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) in sostituzione di quella rilasciata dall’allora Ministro Stefania Prestigiacomo: un regalo fatto all’ILVA in quanto riuscì a far inserire, tra la disattenzione generale, un emendamento nel recepimento della direttiva europea sull’aria pulita sottoposto al parere delle Commissioni Ambiente della Camera per “prorogare” l’entrata in vigore dei limiti della concentrazione di benzopirene. E in Italia manca una legge sulle diossine e, intanto però, ci fracassano i “cabbasisi”, per dirla alla commissario Montalbano, con i grillini, i caravan, le primarie, i candido o non mi ricandido, le intercettazioni, i casini vari, gli sproloqui di questo e quel politico che farebbe bene a ritornare fra i banchi di scuola per una ripassata sui congiuntivi e la consecutio temporum………………………… e, intanto, la gente a Taranto rischia di restare senza lavoro o muore. E non solo a Taranto (leggi ALCOA – Sulcis, ecc. ecc.).

 

Fernando Mazzotta - settembre 2012

 

 

 

Galleria fotografica (degli orrori): clicca sulle miniature per ingrandirle

 

 

 

 

Segnala questa pagina ad un amico:



 

 

Piazza Scala - settembre 2012