Sono passati alcuni giorni dalle elezioni politiche in Grecia e già abbiamo potuto leggere i commenti dei nostri politici, della stampa nazionale e internazionale che hanno sottolineato la prevista vittoria del partito di sinistra radicale "Syriza" e del suo leader Tsipras. Ho sentito definire il risultato come un trionfo epocale, un mandato forte da parte del popolo greco a una forza politica che non ha fatto mistero, nel suo programma, di opporsi strenuamente alle regole imposte dalla cosiddetta Troika alla disastrata economia di quel paese, fino al punto di mettere in discussione il pagamento del suo debito pubblico ed ottenerne, invece, la parziale cancellazione.

Desidero anzitutto osservare che gli elettori greci, con un'astensione dal voto che sfiora il 40%, hanno assegnato al partito di Tsipras poco più del 36% dei consensi, mentre l'altro 64% ha votato per altri partiti. Contando gli indifferenti o contrari che si sono astenuti, Tsipras ha ottenuto la sua quasi maggioranza assoluta in Parlamento con il consenso di meno del 20% dei greci aventi diritto al voto, grazie al premio di maggioranza previsto da quella legge elettorale, come del resto dalla nostra. Non vedo quindi il "trionfo" descritto da molte parti.

Detto ciò per motivi di chiarezza, per il Premier greco la vedo molto dura, una strada irta di ostacoli e non solo da parte della Troika, delle autorità monetarie europee, dell'Unione Europea, della Bundesbank e della signora Merkel, ma dalla stessa realtà greca, dal disastro economico e sociale creato non dall'Euro come alcuni tentano di suggerire, da decenni di cattiva amministrazione, di corruzione, di evasione fiscale, di spese pazze da parte di uno stato demagogico che risolveva i problemi sociali gonfiando la macchina statale di milioni di dipendenti inutili, magari malpagati, lasciando nel contempo correre l'evasione fiscale e la spesa privata al di sopra dei mezzi della classe media.

Tsipras, con i limiti indicati ed essendo comunque obbligato ad accettare la coalizione con un piccolo partito di estrema destra,,  ha vinto le elezioni promettendo di porre rimedio ai mali sopra descritti, in particolare alleviando nell'immediato la povertà dei ceti più colpiti dalla crisi. C'è da augurargli successo che potrà forse avvenire in  parte soltanto se i paesi del club dell'Euro gli accorderanno una maggiore elasticità nel rimborso del debito pubblico, non importante in valore assoluto nell'ambito dell'Eurozona, e maggiore flessibilità nei parametri di bilancio per qualche anno, consentendo alla Grecia di rimanere nell'Euro, anzitutto nel suo interesse ma anche in quello di tutti i membri. La Grecia ha un'economia marginale in Europa, poco più grande di quella del Veneto, ma storicamente e per i valori che rappresenta, è parte importante dell'Europa, come lo è in maggior misura l'Italia.

Vi sono certamente molte similitudini con la nostra situazione economica, ma vi sono anche grandi differenze. Il nostro debito pubblico è enorme e ci costa un'ottantina di miliardi all'anno per interessi, ma in termini di percentuale sul PIL è inferiore a quello greco (circa il 130% contro il 175%) ma i risparmi privati, il patrimonio immobiliare e mobiliare degli italiani è molto superiore, l'avanzo primario statale è positivo, le esportazioni e la bilancia commerciale sono in attivo, il tessuto industriale, anche se in affanno, è efficiente grazie a molti settori nelle piccole e medie imprese, ma anche nel settore aerospaziale, nella cantieristica e nell'industria agroalimentare e nella moda.

Le similitudini riguardano soprattutto la corruzione, l'evasione fiscale, la criminalità organizzata (da noi anche più organizzata) e la disoccupazione (da noi meno drammatica ma comunque inaccettabile). Non è tuttavia paragonabile l'impatto che una nostra eventuale crisi finanziaria avrebbe sull'Euro e sull'economia dell'Europa e ciò significa che l'Europa potrebbe sì guardare con un certo distacco a un default greco, ma non potrebbe permettersi quello italiano, come l'Italia non può permettersi di staccarsi dall'Europa e nemmeno dall'Euro, pena il precipizio economico e sociale, nonostante quanto  dicono certi nostri populisti.

La Grecia ha poco margine per migliorare in tempi brevi lo standard di vita dei suoi cittadini, salvo effettuare misure drastiche a carico dei più abbienti, ma con il rischio di far fuggire gli investitori domestici e stranieri e può essere aiutata proprio dagli organismi sovranazionali europei che sembra voler sfidare. Non può certamente percorrere la strada del default del debito perchè la taglierebbe fuori per molti anni dai mercati dei quali anch'essa ha bisogno. Potrà esserle accordata una ristrutturazione, cioè una proroga delle scadenze e una riduzione dei tassi d'interesse. Operazione che peraltro somiglia molto a un taglio.

Non è ammissibile e  non è lecito parlare di non onorare i propri debiti con la motivazione che sono stati contratti da altri governi. Non è neppure ragionevole chiedere che se li prendano sulle spalle i virtuosi contribuenti del nord Europa. Oltretutto, anche l'Italia ha in portafoglio crediti verso la Grecia per una quarantina di miliardi. Potrebbe cancellarli?

E' già una lodevole deroga il recente provvedimento della BCE di Draghi che ha assunto il rischio default dei debiti sovrani della zona Euro per un buon 20% del loro ammontare, superando strenue ma comprensibili resistenze, non solo da parte tedesca.

I nostri 2160 miliardi di debito, fra l'altro, sono per metà in mano privata italiana e per il resto appartengono in parte a risparmiatori stranieri privati che continuano a darci la fiducia di cui abbiamo assoluto bisogno.

 

Giacomo Morandi - febbraio 2015

                             

 

 

 

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Piazza Scala - febbraio 2015