Piazza Scala

 

 
Su autorizzazione espressa dell'autore presentiamo un pezzo di Gino Luciani sulla Lunigiana, terra di origine del collega. Ricordiamo che l'articolo è già comparso su uno dei numeri passati di NOICOMIT, notiziario cartaceo dell'ANPECOMIT.
Piazza Scala - marzo 2012

 

 

La Lunigiana è la terra che forse più di ogni altra si onora di possedere e di mantenere vive antiche tradizioni e memorie dantesche.

E’ infatti cosa nota e ampiamente documentata la permanenza di Dante in Lunigiana durante gli anni dell’esilio, ospite della nobile famiglia Malaspina. L’ipotesi più accreditata per spiegare l’arrivo di Dante in Lunigiana nell’anno 1306 è  quella che lo ricollega alla conoscenza acquisita dal poeta, prima dell’esilio, del marchese di Giovagallo Moroello Malaspina, attraverso il comune amico Cino da Pistoia. Ma chi era Moroello Malaspina e dove si trova Giovagallo?

Moroello era il “vapor di Val Magra” di cui parla Vanni Fucci a Dante nel XXIV° canto dell’Inferno vv. 145-151.

“Tragge Marte vapor di Val di Magra”

“ch’è di torbidi nuvoli involuto”

“e con tempesta impetuosa e agra”

“sovra Campo Picen fia combattuto;”

“ond’ei repente spezzerà la nebbia,”

“sì ch’ogni Bianco ne sarà feruto.”

“E detto l’ho, perché doler ti debba”

Cito dal libro “Dante, i Malaspina e la Lunigiana” (Alberto Ricciardi Editore) di Claudio Palandrani:

“Questo marchese Moroello II è figlio di Manfredi Malaspina di Giovagallo.

Del castello di Giovagallo, che oggi si trova nel comune di Tresana, non rimangono che pochi ruderi difficili da individuare.

Eppure il castello di Giovagallo e il marchese Moroello Malaspina sono stati importanti nella storia della Lunigiana. Come molti dei Malaspina che per l’esiguità del loro territorio non possono vivere solamente della rendita del feudo, Moroello dedica la propria vita alle armi. E’ un capitano di grande valore schierato con i guelfi Neri e proprio per questa ragione viene chiamato alla guida dell’esercito dei Neri di Lucca e Firenze. Ma tutta la sua carriera militare è molto importante. Già nel 1288 è stato capitano dei fiorentini contro i ghibellini di Arezzo; nel 1297 comanda i bolognesi contro Azzo d’Este e l’anno dopo viene nominato podestà di Bologna.

Nel 1301 lo troviamo al comando dei lucchesi contro Pistoia, ove nei pressi, in luogo che Dante chiama Campo Piceno sconfigge con il suo esercito i Bianchi fiorentini.

E’ dunque un personaggio di primo piano, dal punto di vista militare e politico, nella Toscana a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. Dante non cita esplicitamente il nome di Moroello. La sua identificazione tuttavia è certa ed universalmente

accolta dalla critica dantesca. Si deve ad elementi inconfutabili quali il riferimento al suo travolgente e vittorioso comando nella battaglia di Campo Piceno e poi all’indicazione toponomastica che lo avvicina al fiume Magra.”

Altro elemento che conferma lo stretto rapporto di Dante con Moroello, la sua famiglia ed il suo feudo di Giovagallo, dove sicuramente ha soggiornato per un tempo non breve, è la descrizione che il poeta fa, attraverso la voce del papa Adriano V, della moglie di Moroello, Alagia Fieschi nel XIX° canto del Purgatorio vv.142-145:

“Nepote ho io di là c’ha nome Alagia”

“buona da sé, pur che la nostra casa”

“non faccia lei per esemplo malvagia;”

“e questa sola di là m’è rimasa.”

Cito ancora dal libro di Palandrani: “E’ questo un ulteriore, forte riferimento alla casata malaspiniana a cui Dante si sente legato da un’affettuosa e sincera amicizia. Infatti Alagia Fieschi, dei conti di Lavagna, è la moglie del marchese Moroello di Giovagallo, il “Vapor di Val di Magra” ed è la figlia di Nicolò Fieschi fratello di Adriano V. Il ricordo della bella figura di Alagia ha anche lo scopo di mandare un messaggio: non tutti i Fieschi sono stati cattivi, non tutti hanno seguito l’esempio negativo di molti dei suoi membri.

Questa nipote, l’ultima rimasta in vita è “buona da sé”, sempreché, fa dire Dante ad Adriano V, la famiglia, che ha dato una brutta dimostrazione di sé, non la coinvolga e non le faccia da cattivo esempio.

E’ certo che Dante l’ha conosciuta a Giovagallo ed è probabile che, durante la sua permanenza al castello il poeta possa aver colto nelle parole di Alagia espressioni di sincera simpatia per questo suo importante parente, morto ormai da trent’anni, ed abbia voluto ricordare entrambi come segno di affetto e di gratitudine per l’ospitalità ricevuta.

Naturalmente Dante nella sua opera non si limita a citare il marchese Moroello e la moglie Alagia, ma evoca altri

esponenti della famiglia Malaspina, titolari di altri feudi e di altri castelli (ve ne sono più di cento) dislocati lungo la valle, come Corrado, marchese di Villafranca, che colloca nell’antipurgartorio ad espiare l’eccessivo amore portato alla sua casata.
Sappiamo inoltre per certo che Dante fu ospite di Franceschino Malaspina, marchese di Mulazzo, il quale nel 1306 gli conferì una procura per trattare la pace, dopo lunghi anni di conflitti, tra il suo casato ed il potente vescovo di Luni Antonio da Camilla, la cosiddetta pace di Castelnuovo. I due atti notarili, cioè la procura appunto di Franceschino e l’atto finale della pace, furono rogitati a Sarzana nel 1306 dal notaio Giovanni di Parente Stupio.
Pubblicati nel 1767 da Giambattista Lami sulle fiorentine “Novelle letterarie”, vengono definiti dallo Zingarelli “la scoperta più importante dell’esilio di Dante”.
I motivi per cui mi sono soffermato sulla descrizione di Moroello e della moglie Alagia e non degli altri personaggi della famiglia Malaspina sono quelli che mi hanno colpito e affascinato fin dal primo incontro in età giovanile con Dante e con i personaggi della sua Commedia:
- il primo è dovuto, come ho detto all’inizio, al ruolo determinante svolto dal marchese di Giovagallo nella venuta di Dante in Lunigiana, grazie alla loro conoscenza, o forse già amicizia, anteriore al periodo dell’esilio, acquisita tramite il comune amico Cino da Pistoia;
- un altro è legato all’ episodio, narrato qualche anno più tardi dal Boccaccio, del ritrovamento in Firenze dei primi sette canti dell’Inferno, affidati da Gemma Donati (moglie del poeta) a Dino Frescobaldi e da questi a Moroello Malaspina che lo ospitava nel suo castello, affinché convincesse il poeta a riprendere il lavoro letterario interrotto con l’esilio, cosa puntualmente avvenuta;
- un altro ancora al meritorio interessamento, purtroppo infruttuoso, di Moroello, che per certo era tenuto in grande considerazione per i suoi successi militari dai nemici di Dante al potere in Firenze, per far cessare l’esilio del poeta e
farlo rientrare in patria; il gesto del marchese assume un valore particolare essendo i due di schieramenti politici avversi, Dante guelfo di parte bianca e Moroello addirittura comandante dell’esercito dei guelfi di parte nera;
- un quarto motivo è la lettera che Dante scrisse a Moroello Malaspina (un’altra l’aveva scritta all’amico Cino da Pistoia, come lui sventurato e cacciato dalla patria) che conferma l’attenzione e l’affetto nei confronti del marchese. In questa  lettera, scritta dopo aver lasciato la Lunigiana per il Casentino, Dante si rivolge a Moroello e gli confida che appena giunto sulle rive dell’Arno aveva incontrato una donna bellissima che l’aveva fatto innamorare perdutamente.
E affinché Moroello comprendesse meglio la forza di questo amore, Dante univa alla lettera un componimento poetico.
- l’ultimo motivo, e forse il più importante, è che io sono nato e vivo per alcuni mesi l’anno nel comune di Tresana a due passi da Giovagallo e da quello che rimane del maniero di Moroello Malaspina. Durante gli anni del liceo mi capitava, dopo una lezione sulla Divina Commedia, di incamminarmi per una stradina che attraversava un fitto bosco di castagni per raggiungere in solitudine i ruderi del castello, ancora imponenti, e fermarmi a pensare.
Non mi sembrava possibile che per quei luoghi fosse passato settecento anni prima il marchese Malaspina alla testa delle sue truppe al rientro dalla battaglia vittoriosa di Campo Piceno e che in una stanza della torre,che ancora si erge austera pur segnata dalle ferite del tempo e dall’incuria degli uomini, Dante avesse ricevuto, dalle mani di Moroello, la prima parte della sua opera rimasta a Firenze ed avesse ripreso a scrivere di buona lena. Nel silenzio del bosco provavo sensazioni bellissime.
L’estate scorsa, forse dopo una cinquantina d’anni dall’ultima volta, sono tornato con i nipoti al castello: ho fatto un po’ di fatica a ritrovare la stradina che è diventata uno stretto sentiero pieno di rovi e quando sono arrivato davanti ai ruderi ho risentito e rivissuto con un po’ di nostalgia l’atmosfera dantesca degli anni del liceo e provato il desiderio di raccontarla, cosa che oggi ho fatto, dal luogo.

 

Gino Luciani

 

 


 

 

 

Segnala questa pagina ad un amico: