A Festa ‘i Maronna  non potevano mancare ‘U Giganti e ‘a Gigantissa.  Non era Festa senza i Giganti.

 Personaggi mitici di un’antica leggenda popolare, simboli di un grande amore, Mata e Grifone erano due enormi pupazzi di cartapesta, alti più di tre metri:  la Gigantessa bianca e il Gigante moro.

 

A Messina viveva Marta (in dialetto Matta o Mata) una bellissima ragazza virtuosa e fervente cristiana. Pare che verso il 910 d.C. un moro di nome Ibn-Hammar sbarcò a Messina e con i suoi compagni depredò la città. Poi vide la bella Mata, se ne innamorò e le chiese di sposarlo. Ma la bella rifiutò. Il moro allora divenne più crudele. E Mata resisteva dedicandosi alla preghiera finché il moro si convertì e cambiò il suo nome in Grifo che per l’imponente statura dell’uomo divenne Grifone. Egli dunque diventò un vero cristiano e alla fine Mata se ne innamorò. Grifone celebra sempre ancora oggi il suo grande amore per Mata con il leggendario ballo, anche questo di corteggiamento, insieme alla sua amata.  In altri racconti popolari Grifone è un turco e Mata è calabrese.

A testimonianza di un’antica  e comune matrice culturale, i Giganti si ritrovano anche nella cultura popolare di altre nazioni: oltre che in Italia e Grecia anche in Spagna e ancora  in Belgio e a Malta.

“Secondo una storia popolare re Murat nell’ottobre del 1815 sarebbe dovuto sbarcare a Briatico dove però quel giorno era festa  e le grida che provenivano dal paese  e i tam tam della grancassa  ma soprattutto la vista dei Giganti… spaventarono i francesi che decisero di sbarcare a Pizzo. I Giganti, in quel momento stavano cambiando la storia… (da: Armoni Centro Studi umanistici e scientifici).

Esemplari dei Giganti, vere e proprie opere d’arte popolare, troviamo in Calabria a Taurianova, a Polistena, Palmi, Bellantoni di Laureana di Borrello, a San Leo, Mesiano, Briatico, Ionadi, Sciconi, Papaglionti di Zungri, Dasà. 

 

 

Nascosti sotto le lunghe tuniche di seta e raso di vari colori,  indossate dai due enormi fantocci, due uomini li sostenevano, se ne intravedeva appena il luccichio degli occhi attraverso due buchi nelle leggere vesti all’altezza dello stomaco dei giganti. Malgrado il peso  considerevole, al ritmo dei tamburi,  i due portatori riuscivano a farli agilmente danzare nel “ballo del corteggiamento”.

 Grifone avanzava imponente col suo elmo e i grossi baffi neri,  Mata, appariscente nelle forme, fianchi e seno prorompenti, sembrava volersi fare ammirare con i suoi pomelli colorati di rosso e le collane variopinte e i voluminosi orecchini.  Testoni rigidi,  occhi fissi senz’ anima, i due Giganti avanzavano perciò seguendo il ritmo, con giravolte e piroette e mezzi inchini, in un frenetico antico ballo rituale carico di simbolismi. Ad ogni giro su se stessi le lunghe leggere braccia di pezza senza vita si allargavano come ali per ricadere subito sbattendo mosce lungo i fianchi, mentre la gonna di Mata, svolazzando, accarezzava le teste dei bambini timorosi e imbambolati là a guardare con il mento alzato e un dito in bocca. La forte emozione collettiva esorcizzava l’infantile paura innata. “Scindìti, scindìti! Arrivaru i Giganti!” gridavano i suonatori di tamburo e tutti, anche quelli affacciati alle finestre o ai balconi vestiti a festa, battevano a tempo le mani e gettavano monetine.

 A mezzanotte i primi spari. E subito cominciarono a salire verso il cielo mille stelle luminose, jochi ‘i focu scintillanti, per la gioia dei bambini. Grande frastuono, ventagli di luci colorate nel cielo stellato e gridi e scoppi e risate. Infine di seguito quattro spari finali distanziati di cui l’ultimo, staccato di qualche secondo ma più forte e assordante,  avvisò tutti che la festa era finita.  Le strade cominciarono a svuotarsi lentamente. Prima l’una poi l’altra si spensero  le luci delle bancarelle. I tamburi si zittirono  e  sparirono i Giganti.  Suoni smorzati adesso, bisbigli qua e là.  Nel silenzio quasi improvviso  solo il pianto di un bimbo si percepiva laggiù, in fondo alla piazza quasi vuota: sgomento il piccolo,  trattenuto per mano dalla mamma, con gli occhi lacrimosi rivolti verso l’alto, seguiva  alla luce di un lampione,   il desiderato palloncino a lui sfuggito che saliva, saliva sempre più in alto, fino a superare la luce della lampada, sempre più su, verso il mistero della notte.


 

 

Mariella Di Pasquale

 

 

 

 

 

 

 

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