Presento un racconto breve che ad agosto ho inviato a Radio 24 - Il Sole 24 Ore per il programma "Voi siete qui" condotto da Matteo Caccia e che va in onda tutti i pomeriggi alle 16,05 (dopo il GR24).
Ho avuto il piacere di vedere prescelto questo racconto e la puntata del 6 dicembre scorso, arricchita da un contatto telefonico e da una chiacchierata con il conduttore, è stata dedicata ad esso e a questi argomenti.

 

Di solito le riunioni avevano inizio nel pomeriggio, dopo la pausa pranzo e si svolgevano nella luminosa e spaziosa sala dell’Area della Banca che era uscita vittoriosa dalla guerra dell’incorporazione.
Per i vincitori rappresentava una continuità che rassicurava e che forniva ossigeno all’ego dell’etnia bancaria di appartenenza; per i vinti era una sorta di forca caudina recarsi presso la sede di un istituto che, solo a fino pochi mesi prima era stato un concorrente, sedersi lì e trovarsi di fronte i nuovi capi.
In genere essi si facevano vedere quando la sala era già quasi piena. Entravano con sorrisi smaglianti anche se non riuscivano a camuffare del tutto la loro falsità di fondo.
“Guarda un po’ chi ci siamo tirati dentro, questo branco di bifolchi! Ma adesso impareranno a lavorare, a muoversi. E’ finita la pacchia!”. Erano i pensieri scomposti che frullavano nelle loro teste, soprattutto quando una frettolosa investitura aveva conferito loro i nuovi traguardi da raggiungere e sui quali si giocavano i loro scampoli di carriera.
Un sottile divertimento mi pervadeva quando prendevo posto e mi guardavo attorno: strette di mano, pacche sulle spalle, battute di cui comprendevo solo in parte il significato, nuove gergalità impregnavano l’aria.
Ai vinti era concesso di ambientarsi velocemente, di impadronirsi al più presto della nuova realtà aziendale, che, guarda caso, era identica a quella dei vincitori. Cosa fosse successo negli anni precedenti era cosa che non doveva riguardare l’oggi, il futuro. Un po’ come studiare la fisica pensando che Archimede è obsoleto.
Nomi anglofoni infarcivano i discorsi, nel vano tentativo di nobilitare tecniche di vendita da mercato ambulante. Prodotti sofisticati e di esotica origine rimbalzavano nella sala e molti presenti, solo in minima parte, ne comprendevano il significato.
Ma che importanza aveva? L’importante era vendere e, per chetare l’ansia dell’ignaro e titubante acquirente, un termine in inglese funziona sempre. Come quando vai dal medico e questi utilizza qualche parola astrusa di origine greca o latina per definire la tua patologia.
Mi guardavo attorno e con un indefinibile piacere pregustavo il fatto che, tra qualche mese, questo non sarebbe stato più il mio mondo.


Claudio Santoro

 


 

 

 

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Piazza Scala - dicembre 2011