Ho seguito, come tutti i piacentini, le polemiche di alcune parti politiche e ho letto su "Libertà" gli interventi di cittadini sul problema dell'immigrazione verso l'Italia e l'Europa dalle sponde africane e mediorientali, in fuga dalle guerre, dalle persecuzioni, dalla fame, dalle condizioni di sottosviluppo, dalla miseria, alla ricerca  non solo di una vita migliore, ma spesso per disperata necessità di sopravvivenza.

Ho letto di una nuova accusa che viene lanciata contro chi si fa carico realisticamente del problema e si sforza di esaminarlo sotto i vari aspetti, non solo umanitari, ma pratici. La parola che viene usata è "buonismo", attribuendole un senso negativo.

Concordo anzitutto con quella lettrice che invita a firmare con nome e cognome chi scrive al giornale e  non trincerarsi comodamente dietro sigle o gruppi impersonali, oltre a non lanciare accuse non provate e non corroborate da denunce alle autorità preposte all'ordine pubblico. 

Penso che siamo tutti d'accordo che un'immigrazione incontrollata e di massa, soprattutto se clandestina e organizzata dalla criminalità, sia  da contrastare e che il fenomeno debba essere controllato anche in modo stringente.  Ogni paese ha diritto a proteggere le proprie frontiere da invasioni, piccole o grandi che siano, anche non armate, nel rispetto delle vite umane e dei principi umanitari, doverosi per un paese civile. Ma come? Se ne sentono di tutti i colori, soprattutto da esponenti della Lega Nord e dai gruppi di estrema destra.

Per mesi si è sparato contro l'operazione Mare Nostrum che aveva compiti di contrasto militare ma soprattutto di salvataggio in mare aperto. Si è invocato l'intervento dell'Europa, la quale non ha trovato di meglio che implementare il limitato pattugliamento delle acque territoriali nel Mediterraneo con l'operazione "Triton", già fallita in partenza e costata, in pochi mesi, centinaia di vite.

Salvini ripete che bisogna sospendere ogni salvataggio e, invece, "andare ad aiutarli a casa loro". Gli concedo lo scherzo. Vuol forse dire che dovremmo trasferire centinaia di centri di accoglienza negli stessi paesi africani, naturalmente previo consenso dei rispettivi governi, dove ci sono, in mezzo alle cannonate, e prepararci eventualmente ad assistere milioni di aspiranti emigranti? Dove, anche nei paesi in guerra? Ammesso che ciò sia possibile, quanti soldi occorrerebbero? Quanto personale civile e militare? Quali e quante infrastrutture?

E' chiaro che il flusso è e sarà per molto tempo inarrestabile,  finchè le condizioni in quei paesi saranno quelle attuali o magari peggioreranno. Chi s'imbarca su quelle vetuste carrette del mare o su fragili gommoni pagando con i pochi risparmi e rischiando la vita propria e quella della famiglia, è alla disperazione ed è altrettanto chiaro che non si può permettere che affoghino e trasformino il Mediterraneo in un cimitero.

Qualcuno ha suggerito di schierare le flotte europee davanti alle coste e ai porti mediterranei e tentare di fermare le partenze. Dove? Dalla Turchia al Marocco? Anche questa sarebbe una soluzione, oltre che praticamente irrealizzabile, estremamente costosa, e pericolosamente vicina ad un vero e proprio contrasto militare, cioè all'affondamento a cannonate dei barconi degli immigranti che si spera nessuno, ma proprio nessuno, possa anche lontanamente avere in mente. Come si fa a fermare un barcone in mare se non sparandogli contro? Come si fa a impedire gli sbarchi se non con gli stessi mezzi? E un volta sbarcati, li abbandoniamo sulle spiagge? Sbarriamo spiagge e scogliere con centinaia di chilometri di filo spinato? Raccontano favole.

Resta la speranza di una stabilizzazione dei regimi in Libia e in Siria e una loro cooperazione, in qualche modo concordata, per impedire o limitare le partenze, individuando e arrestando gli scafisti e le organizzazioni criminali che stanno dietro. Resta, in ogni caso, l'accoglienza, una civile accoglienza che ha indubbiamente un costo per lo stato. Un'accoglienza che si spera temporanea, dato che la maggioranza degli immigranti è notoriamente orientata a proseguire verso i paesi del nord Europa, dove gli arrivi sono stati negli ultimi anni altrettanto massicci.

Dovremo anche prevedere, realisticamente,  qualche disagio dovuto alla convivenza con persone con abitudini diverse, come sempre accade quando si muovono masse di persone in cerca di una vita migliore. Del resto, in parte a causa della crisi,  il fenomeno della piccola criminalità è in aumento anche senza il concorso degli stranieri. Cerchiamo di non esagerare con le accuse ai comportamenti dei nuovi arrivati e di non seminare timori nelle menti dei concittadini.  Non raccontiamo favole per ottenere qualche consenso in più. E' buonismo dire queste cose?

 

Giacomo Morandi (Rivergaro)

 

 

 

 

 

Segnala questa pagina ad un amico




 

 

Piazza Scala - marzo 2015