Da
un po’ di tempo sento discorsi e leggo analisi sui giornali provenienti da
politici impegnati e da qualche economista di seconda fila che non posso non
attribuire al bisogno di crearsi una piattaforma di qualche presa sulla
pancia di una parte un po’ più sprovveduta dell’opinione pubblica, in vista
delle ormai imminenti elezioni europee.
Le tesi portate avanti da questi signori non sono del resto fondate sul
nulla. Utilizzano infatti un disagio diffuso nella maggior parte delle
categorie sociali a causa della crisi economica, della disoccupazione, della
stagnazione produttiva e dei consumi.
Il messaggio che sta passando e in buona parte è acquisito da una discreta
parte dell’opinione pubblica perché ormai ripetuto ossessivamente da chi ha
sulle spalle molta responsabilità della situazione attuale, è che la causa
della crisi, almeno in Italia, sia l’adesione alla moneta unica, l’Euro, a
un cambio sfavorevole per noi e, addirittura, alle regole dettate “dai
burocrati” di Bruxelles e alla conseguente perdita di sovranità da parte del
nostro paese (a favore, dicono, della Merkel….). Ho sentito rimpiangere,
addirittura, la libertà di stampare moneta, strumento principe per
distruggerla.
Per quanto riguarda le “regole di Bruxelles”, volutamente si ignora quanto
progresso civile è stato ottenuto con l’applicazione di norme che nei paesi
più evoluti del nord Europa erano già state adottate molti decenni fa, in
tema di trasparenza, concorrenza, diritti dei consumatori, sicurezza
alimentare, protezione dei marchi, denominazioni d’origine, libertà di
movimento delle persone, delle merci, dei capitali. L’eliminazione dei dazi
doganali, l’uniformità delle tassazioni sull’import/esport, e soprattutto,
nella zona Euro, il cambio forte e stabile che permette la programmazione,
anche a lungo termine, della produzione.
E’ senz’altro vero che, con l’Euro, è venuto a mancare il classico e comodo
(per alcuni) strumento delle periodiche svalutazioni della nostra vecchia
moneta, produttive di inflazione anche a due cifre, di impoverimento delle
masse e di tutti i percettori di reddito fisso, ma, d’altro canto, in grado
di ricostruire competitività alle aziende esportatrici, contemporaneamente
all’aumento dei prezzi dei prodotti importati e dei tassi d’interesse per i
prenditori di prestiti bancari e finanziari.
Quando si parla di tasso di cambio stabilito per trattato all’ingresso
nell’Euro, si dimentica che già da anni il cambio lira/marco, lira/dollaro e
il valore della già esistente moneta di conto (l’ECU) che aveva preceduto
l’arrivo dell’Euro, era stabile e non c’era molto da negoziare per cambiarne
la parità anche perché i nostri prezzi interni erano ormai comparabili con
quelli degli altri paesi dell’Unione e, in molti casi, erano competitivi.
Piuttosto, il governo in carica al momento dell’entrata in vigore della
nuova moneta (Berlusconi/Tremonti) trascurò del tutto le misure necessarie
di controllo del mercato e della speculazione, previste dai regolamenti
concordati con gli altri partner e con le autorità monetarie centrali.
Non è vero che i prezzi medi e il costo della vita calcolato con i metodi in
vigore fossero già il primo anno raddoppiati. Un aumento purtroppo ci fu per
un certo numero di prodotti, come ad esempio gli alimentari, ma
l’importazione, come quella dei prodotti petroliferi e delle materie prime ,
fu di molto agevolata in termini di stabilità.
C’è chi gioca sullo slogan dell’uscita dall’Euro senza spiegarne le
conseguenze. Alla gente basterebbe pensare all’assalto che si scatenerebbe
su una nostra nuova moneta (la debolissima vecchia Lira?), con conseguente
inflazione a due cifre, tassi sui mutui e sui prestiti bancari a livelli
impraticabili, la benzina a tre Euro, la necessità di ripristinare dazi
doganali e contingenti d’importazione che provocherebbero ovviamente
contromisure da parte di altri paesi e via dicendo.
Il peso del nostro enorme debito pubblico che non si accenna ad affrontare
con serietà, grava anche sugli altri partner dell’Eurozona perchè espone la
moneta ad attacchi periodici ed obbliga la Banca Centrale a costosi
interventi, malvisti dai cittadini dei paesi virtuosi. Si critica aspramente
il limite del 3% di disavanzo pubblico imposto dai trattati, ma non si vede
come sia possibile cominciare a ridurre l’indebitamento con un bilancio in
rosso. Si critica il “Fiscal Compact” che imporrebbe la riduzione graduale
(in 20 anni) del debito e non si capisce che ciò sarebbe anche nel nostro
interesse. Sperare che il debito lo si possa ridurre con la prevista
modestissima crescita dei prossimi anni è un sogno.
Teniamoci stretti alla moneta unica, piaccia o non piaccia, vista
l’alternativa.
Giacomo Morandi (Rivergaro)
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